Arrenditi a te stesso. Vai avanti, sii la miglior persona imperfetta che puoi essere e comincia a fare quelle cose che vuoi realizzare prima di morire - Shoma Morita -

Siamo abituati a dare una certa importanza ai pensieri e alle emozioni.

Pensieri ed emozioni sono sempre con noi, sono un po' l'acqua in cui nuotiamo in ogni momento, ovvio che siano importanti.

Se pensieri ed emozioni negative - tristezza, preoccupazione, paura, insoddisfazione - vengono a trovarci troppo spesso stiamo male e sentiamo il bisogno di cambiare quello che pensiamo e quello che proviamo.

Alcuni degli articoli di questo blog, per esempio, vanno in questa direzione: come smettere di rimuginare, come coltivare emozioni positive come la gratitudine, come esercitarci a essere più felici, come rompere i nostri schemi mentali negativi.

Bene, tutto molto bello.

Però è vero anche che per quanto possiamo diventare bravi a indirizzare i nostri pensieri e le nostre emozioni, non possiamo controllarli del tutto. In una certa misura i pensieri e le emozioni sono eventi che ci accadono, non dipendono dalla nostra volontà.

Pretendere di sentirsi sempre bene, di avere motivazione, entusiasmo, voglia di fare, ottimismo, non è realistico e può fare aumentare il nostro livello di frustrazione.

Può portarci anche a una forma di paralisi: rischiamo cioè di non fare quello che c'è da fare nell'attesa di sentirci meglio, magari più motivati o di buon umore.

Quante volte ci siamo detti: oggi non ne ho voglia, lo faccio domani.

E poi? In questo ipotetico domani la voglia è arrivata, o abbiamo continuato a rimandare attività importanti solo perché non ci sentivamo dell'umore giusto? E questo rimandare come ci ha fatto sentire? Meglio o peggio? La motivazione è riapparsa o si è allontanata ancora di più?





E se imparassimo a fare quel che c'è da fare, senza prestare troppa importanza a come ci sentiamo?

Terapia Morita

Shoma Morita è stato uno psichiatra giapponese, direttore del dipartimento di psichiatria della scuola universitaria di medicina di Tokyo. Nato nel 1874, era contemporaneo di Sigmund Freud, Carl Jung, e altri padri della moderna psicologia. Il suo approccio è stato fortemente influenzato dal buddhismo zen.

Secondo Shoma Morita i sentimenti e le emozioni sono una risposta naturale agli eventi della vita, e non dovremmo fare assolutamente niente per renderli diversi da come sono.

Le emozioni sono incontrollabili, sono come eventi meteorologici che accadono nella nostra mente. Quindi l'unico atteggiamento saggio che possiamo assumere è di farle fluire accettandole così come sono. Lo sforzo di provare a cambiare quello che proviamo potrebbe essere controproducente e spingerci a stare sempre peggio.

Ostinarsi a volere controllare l'io emotivo con tentativi di manipolazione è come provare a decidere il numero uscente in un lancio di dati, o a far risalire le acque del fiume Kamo verso la sorgente. Di sicuro finiamo per aggravare l'agonia e cadere vittime di un dolore insopportabile perché non siamo riusciti a manipolare le nostre emozioni.

Dovremmo quindi smetterla di litigare con le nostre emozioni e con i nostri pensieri, e accettarli per quello che sono: eventi in gran parte incontrollabili.

Shoma Morita usava la parola giapponese arugamama che significa: prendere le cose come sono. Accettare di essere ansiosi, depressi, accaldati, nervosi e ... continuare a fare ciò che per noi è importante.

La terapia non sta nel rendere migliori le emozioni... sta nel tenerci le emozioni esattamente per come sono, e darci comunque una mossa per portare la nostra vita nella direzione che desideriamo. Dare meno importanza a come mi sento, e più importanza a quello che faccio, alle mie azioni.

Passare all'azione

I principi della terapia Morita li ho ritrovati in un libro che si chiama L'arte di passare all'azione. L'autore è Gregg Krech, profondo estimatore della psicologia giapponese e fondatore del ToDo Institute, nel Vermont.

È un libro pieno di spunti interessanti, che però sono presentati in modo un po' disorganico. Non segue un filo conduttore preciso, molto probabilmente si tratta di articoli scritti in momenti diversi e poi messi assieme per fare un libro.


Copertina del libro l'arte di passare all'azione di Gregg Krech

Krech riprende i fondamenti della terapia Morita e li elabora assieme ad altre ispirazioni di psicologia giapponese. L'idea di base è che agire sia terapeutico: riuscire a fare ciò che va fatto ci fa bene, ci rende più forti, più sicuri, e ha un effetto positivo anche sulle nostre emozioni.

In qualche modo non dobbiamo aspettare la motivazione per agire, ma sarà l'azione stessa a portare con sé la motivazione. Non dobbiamo aspettare di capire qual è la nostra vocazione prima di darci da fare, al contrario è dandoci da fare che troveremo il nostro posto nel mondo.

Passare all'azione è una delle tecniche più importanti da padroneggiare se si desidera conservare la salute mentale (...) Individuerete nuovi scopi man mano che svolgerete i compiti che siete chiamati ad assolvere e, reagendo alla situazione - per esempio dando da mangiare a un uccellino affamato o innaffiando una pianta di pomodori rinsecchita - troverete un posto nella ragnatela interdipendente della vita, una struttura di cui non siete il centro (un dettaglio facile da dimenticare) bensì un semplice partecipante.

Insomma secondo Krech invece di stare concentrati sul nostro umore, sui nostri pensieri, sulle nostre emozioni, magari sezionando ogni minimo moto dell'animo, è molto meglio farsi tutt'altro genere di domande. Come queste:

  • Faccio quello che è davvero importante?
  • Reagisco alle situazioni del modo opportuno?
  • Presto attenzione alle mie azioni?
  • Ho le idee chiare sul traguardo da raggiungere e sulle iniziative da intraprendere per arrivare alla meta?

E tutto questo ovviamente non significa tenersi occupati, o fare qualcosa tanto per fare. Significa imparare, quando ce n'è bisogno, ad agire per il meglio, anche se ci sentiamo poco motivati, o confusi, o di cattivo umore.

Diventare capaci di fare quel che c'è da fare, anche quando non ne abbiamo voglia, è un po' come acquisire un potere da supereori. Però - e questo molti di noi lo sanno bene - non è sempre così semplice.

Certe volte siamo così impantanati nelle nostre fatiche, nel nostro umor nero, nel nostro rimuginare, che agire ci viene davvero difficile.

In questi casi... c'è un trucco ;)

Cambiare strategia

A volte sappiamo bene quale sarebbe la cosa giusta da fare, e tuttavia non la facciamo. I motivi possono essere i più disparati: stanchezza, paura, pigrizia, demotivazione, ansia, mancanza di coraggio.

Una parte di noi desidera un cambiamento (cambiare lavoro, rimettersi in forma, smettere di fumare, pulire la casa) ma contemporaneamente facciamo resistenza. Il cambiamento spaventa, e quasi inconsapevolmente remiamo contro le nostre stesse intenzioni e restiamo fermi.

In queste situazioni si genera facilmente un circolo vizioso molto brutto. Facciamo programmi importanti, teniamo alto l'entusiasmo per un po', poi cominciamo a sentirci stanchi e demotivati, smettiamo di fare quel che dovevamo fare, e il risultato è che siamo nuovamente sul divano e ci sentiamo peggio di prima perché abbiamo incassato un'altra sconfitta.

Un modo per aggirare questo ostacolo, per evitare questo brutto circolo vizioso, è di applicare ai nostri cambiamenti la strategia Kaizen.

Kaizen è una parola giapponese che significa: cambiare in meglio. Nasce come sistema di miglioramento aziendale. L'idea è quella di apportare ai processi produttivi e organizzativi dei piccoli miglioramenti continui. Modifiche impercettibili, che inizialmente non sembrano portare a niente, ma che poi, nel corso del tempo, andandosi a sommare un giorno dopo l'altro, portano a grandi cambiamenti.

Secondo lo psicologo Robert Maurer, autore del libro Un piccolo passo può cambiarti la vita, la filosofia Kaizen può essere utile anche per il miglioramento personale.

Lui la mette giù così. Ci sono due modi per ottenere un cambiamento: l'innovazione o la strategia del miglioramento continuo; e questo vale sia se stiamo parlando di imprese e lavoro, sia se parliamo di cambiamenti personali.

L'innovazione è il nostro modo tradizionale di intendere il cambiamento. Nel momento in cui in un'impresa, per esempio, viene introdotta una nuova tecnologia, si ha una innovazione: un cambiamento rapido, radicale, dal quale ci si aspetta un miglioramento deciso ed evidente in tempi brevi. Esempi di innovazione, dal punto di vista personale, sono smettere di fumare, seguire una dieta, cominciare un serio programma di allenamento.

Copertina del libro un piccolo passo può cambiarti la vita di Robert Maurer


L'innovazione è senza dubbio un buon metodo di cambiamento... quando funziona. Il problema però è che non funziona sempre, non funziona per tutti, e, quando non funziona, rischia di innescare quel circolo vizioso di cui ho detto prima.

Se crediamo che l'innovazione sia l'unico modo per cambiare, e per qualche motivo non riusciamo a ottenere risultati, finiamo con il sentirci sconfitti e demotivati.

E se non fosse questa l'unica strada? Se ce ne fosse un'altra?

I cambiamenti radicali sono come una corsa in salita su una ripida altura: i rischio è di restare senza fiato prima di raggiungere la vetta, oppure di rinunciare ancor prima di partire, spaventati al solo pensiero della fatica da compiere.
Ma esiste un'alternativa all'innovazione ed è una via completamente diversa, un percorso che sale così dolcemente lungo il pendio che quasi non fa percepire la fatica: basta mettere un piede davanti all'altro e la salita diventa piacevole e sopportabile.

Morale: se sei capace a cambiare con l'innovazione, buon per te. Se però non ci riesci, invece di darti del fallito e sprofondare in un circolo vizioso di demotivazione e fallimento, cambia strategia e prova con i piccoli passi.

Esempi concreti?

Robert Maurer nel suo libro racconta l'esempio di una donna che chiama Julie. Divorziata, con due figli, faceva i salti mortali per fare fronte a tutti i suoi impegni. Era sovrappeso, continuamente sotto stress, e questo la metteva a rischio di sviluppare diversi problemi di salute.

La soluzione in un caso come questo c'è, ed è molto semplice: si chiama esercizio fisico.

Ma la domanda è: una persona già stanca, sovraccarica, che si fa in quattro per tenere assieme lavoro e famiglia, riesce da un giorno all'altro a trovare la forza per dedicarsi a un esercizio fisico regolare e costante?

In molti casi no; e noi lo sappiamo bene, anche senza bisogno di essere Julie.

A diverse persone capita di sapere che la propria vita avrebbe bisogno di questo o di quello ma di non riuscire a inserirlo nella propria routine.

Julie riusciva a ritagliarsi ogni giorno una mezz'oretta di relax, che passava sul divano a guardare la televisione. Il dott. Maurer avrebbe potuto dirle: invece di guardare la televisione quella mezz'ora vai fuori a correre, o fai ginnastica aerobica in casa.

Suona ragionevole, certo, ma avrebbe funzionato?

Invece a Julie venne chiesta una cosa diversa: di fare un minuto di marcia sul posto davanti alla televisione tutte le sere.

Poteva farlo? Certo che sì. Un minuto... sul posto... mentre guardava la televisione... più facile di così.

Ovviamente un minuto di marcia sul posto non è un esercizio fisico sufficiente ad avere effetti benefici... ma è un punto di partenza.

Con il passare dei giorni, e delle settimane, Julie trovò quella abitudine piacevole, e cominciò a incrementare il numero di minuti da dedicare alla sua passeggiata sul posto. A poco a poco scoprì da sola che il movimento le faceva bene e arrivò a decidere di volersi allenare con regolarità e impegno.

Invece di un circolo vizioso di demotivazione e fallimento, in questo caso scatta un circolo virtuoso. Diciamo a noi stessi: ehi, sono capace di marciare sul posto un minuto tutti i giorni, so mantenere fede a questo impegno. E dalla fiducia in sé scatta un po' di ottimismo, desiderio di migliorare ancora, gusto nel fare le cose. L'azione, anche quella più piccola, chiama altra azione.

Un viaggio lungo mille chilometri inizia con un piccolo passo - Lao Tze

Il trucco è darsi un obiettivo chiaro e procedere con una azione quotidiana così facile da rendere impossibile il fallimento.

Altri esempi di azioni minime?

Scrivere cinquanta parole al giorno. Mettere in ordine per cinque minuti. Non fumare in macchina. Usare il filo interdentale su un solo dente ogni sera. Leggere una pagina di un libro (o anche mezza). Meditare per un minuto.

Riassumendo

Direi che i passaggi essenziali di questo articolo li possiamo sintetizzare in quattro punti.

  1. Per quanto ognuno di noi desideri essere sempre in compagnia di pensieri ed emozioni positive e motivanti, questo non è possibile. Invece di combattere contro noi stessi, è molto meglio accettare i nostri stati d'animo così come sono, senza respingerli.

  2. Anche se non possiamo controllare i nostri pensieri e le nostre emozioni, possiamo esercitare sicuramente un maggiore controllo sulle nostre azioni. Possiamo cioè agire anche quando i nostri stati d'animo non sono dei migliori, senza bisogno di aspettare la motivazione, l'entusiasmo, l'ispirazione, la voglia di fare.

  3. Agire però non significa cercare di tenersi occupati, o fare la prima cosa che ci viene in mente tanto per non stare con le mani in mano. Attenzione infatti alla procrastinazione camuffata da operosità: quando sai che dovresti fare una certa cosa, ma ti pesa, e allora ti impegni in mille altre attività, così da illuderti che in fondo stai pur sempre facendo qualcosa...

  4. Quando ci troviamo bloccati nell'incapacità di fare quel che c'è da fare, invece di insistere con i grandi progetti di cambiamento, molto meglio applicare la strategia dei piccoli passi: azioni piccole, piccolissime, ma ripetute ogni giorno. Il trucco è stabilire un obiettivo giornaliero così piccolo che è impossibile fallire, e da lì, a poco a poco, andare migliorando.

Io ho avuto esperienza più volte del funzionamento di questi piccoli passi. Senza nemmeno saperlo per esempio ho adottato questa strategia per smettere di fumare e per diventare un po' più ordinata.

E tu l'hai mai applicata? Cosa te ne sembra?