Nel 1957, allo scrittore Albert Camus fu attribuito il premio Nobel per la letteratura con questa motivazione:

per la sua importante produzione letteraria che con perspicace onestà illumina la coscienza degli uomini del nostro tempo.

Camus da bambino era stato molto povero. Aveva perso il padre ed era cresciuto assieme al fratello, una madre analfabeta e quasi sorda, e una nonna molto autoritaria.

Quando era alle elementari, il suo maestro (che si chiamava Louis Germaine) rimase colpito dalla sua intelligenza. Vide in lui un bambino molto dotato ma sfortunato, e per questo lo aiutò e lo incoraggiò a proseguire gli studi malgrado la difficile situazione.

Albert Camus

Albert Camus (1913-1960)

Anni dopo quel bambino povero e sfortunato diventa una delle figure intellettuali più importanti del suo tempo. Scrive romanzi bellissimi come Lo straniero, e La peste, e riceve il più alto riconoscimento nella carriera di uno scrittore.

Poco tempo dopo avere ritirato il premio a Stoccolma, Albert Camus scrive questa lettera al suo vecchio maestro:

Caro signor Germain,

ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza la mano affettuosa che lei tese al bambino povero che ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Non sopravvaluto questo genere d’onore. Ma è almeno un’occasione per dirle che cosa lei è stato, e continua a essere, per me, e per assicurarla che i suoi sforzi, il suo lavoro e la generosità che lei ci metteva sono sempre vivi in uno dei suoi scolaretti che nonostante l’età, non ha cessato di essere il suo riconoscente allievo. L’abbraccio con tutte le mie forze.

Una pura espressione di gratitudine, umiltà e devozione.

Aveva vinto un premio Nobel - non il concorso letterario per dilettanti allo sbaraglio indetto da qualche qualche associazione culturale di provincia. Eppure aveva subito rivolto il pensiero a un vecchio insegnante di scuola che decenni prima lo aveva incoraggiato e sostenuto.

Sentire il profumo della vita

Lasciamo perdere per un attimo Albert Camus e la sua lettera di gratitudine.

Immagina di entrare in una panetteria piena del profumo del pane appena sfornato.
Un aroma meraviglioso, vero?

Se ti trattieni nel negozio per un po' succede una cosa curiosa: nel giro di poco il profumo del pane non lo senti più, è come se si fosse dissolto.

In verità è ancora lì, ma il tuo olfatto si è abituato e tu non senti più niente.

Non è solo il senso dell'olfatto ad abituarsi. Succede lo stesso anche alla nostra psiche: ci abituiamo alla quotidianità e diventiamo via via meno sensibili alle cose che ci circondano, belle o brutte che siano.

Questo effetto di assuefazione è stato provato scientificamente da diverse ricerche.

Negli anni settanta lo psicologo Philip Brickman studiò un gruppo di persone che avevano vinto un sacco di soldi alla lotteria.

Ora prova un po' a pensare se succedesse a te: tanti soldi piovuti dal nulla. Puoi fare tutto quello che vuoi, per te stesso ma anche per gli altri se lo desideri.

Io - non faccio nessuna fatica ad ammetterlo - penso che mi sentirei molto felice.

Philip Brickman e i suoi colleghi però scoprirono che questa felicità era di breve durata. Passato un po' di tempo i livelli di felicità delle persone che avevano vinto alla lotteria tornavano quelli di prima. Anzi, i ricercatori trovarono che erano diventati un po' meno capaci di godere in modo spensierato dei piccoli piaceri della vita.

Tendiamo ad abituarci a ciò che abbiamo. Quando riusciamo a ottenere qualcosa che desideriamo molto il senso di appagamento e soddisfazione non dura per sempre. Dopo un po' diventa normale e la nostra attenzione si sposta su qualcosa d'altro di cui avere bisogno.

Questo effetto è molto evidente con i beni materiali: quanto tempo passa dal momento in cui ti senti eccitato nel guidare la macchina nuova, al momento in cui comincia a sembrarti solo la tua auto?

Succede anche con beni non materiali.

Sono tante le cose che tendiamo a dare per scontate (quando ci sono): l'essere vivi, la salute, la famiglia, il cane che ti saluta festoso, il profumo dei fiori in giardino, la birra fresca e l'aria condizionata in estate, il fuoco e la coperta in inverno, quel grazioso maglioncino di cashmere pagato un occhio della testa, l'amico di una vita che ancora ti sopporta, i genitori, il marito, la moglie.

Questa assuefazione è l'anticamera della scontentezza, del grigiore quotidiano, di quella malsana abitudine a lamentarsi di continuo.

Certe volte siamo così invischiati in questo meccanismo che rischiamo di scoprire il valore di ciò che abbiamo solo nel momento in cui lo perdiamo.

E questo - se ci pensi - è terribile.

Dobbiamo per forza aspettare di essere in un letto di ospedale per essere felici della nostra buona salute? Sperimentare la povertà per apprezzare l'abbondanza? Finire in una galera (reale o metaforica) per gioire della libertà?

La gratitudine

L'antidoto al rischio assuefazione esiste, e si chiama gratitudine, cioè: riconoscere di avere ricevuto un dono di valore.

Nel significato dalla parola gratitudine ci sono due implicazioni:

  • mi rendo conto che nella vita ho ricevuto qualcosa di buono

  • riconosco che questo qualcosa non dipende interamente da me: la sua fonte, almeno in parte, è esterna e forse non ho nemmeno fatto poi molto per meritarlo

Quando provi gratitudine esci dal perimetro ristretto del tuo ego e ti connetti con qualcosa che sta fuori di te.

La gratitudine comporta una certa umiltà. Quella per esempio che traspare nelle parole della lettera di Camus. Significa riconoscere che non potremmo mai essere ciò che siamo senza il contributo degli altri. Includendo, in questi altri sicuramente le altre persone, ma anche gli animali, e il pianeta in cui viviamo.

Spaghetti alla carbonara

La gratitudine non è altro che un modo diverso di guardare alle cose. È un atteggiamento, una mentalità.

Immagina di essere seduto a tavola davanti a un piatto di spaghetti alla carbonara - assumendo che ti piacciano, altrimenti sostituiscili con qualcosa di tuo gusto.

Non c'e nulla di straordinario nell'avere un buon piatto caldo e nutriente per cena. È abbastanza scontato.

Inoltre potresti pensare che in effetti sei tu il solo responsabile di quel piccolo miracolo che hai nel piatto. Hai fatto la spesa con i tuoi soldi e la carbonara te la sei pure cucinata da solo.

Quindi ok, c'è poco da essere grati. Vista così.

Oppure puoi vederla in un altro modo.

Intanto non è scontato avere il piatto pieno ogni sera. Non lo è per tutti gli abitanti della terra. Non lo è stato probabilmente per i tuoi avi, visto che in passato la povertà era più diffusa di quanto non lo sia oggi.

Quindi intanto potresti essere grato di essere nato in un paese e in un'epoca in cui, bene o male, l'essenziale è garantito alla maggior parte delle persone.

Poi potresti anche considerare che per apprezzare questo piatto di spaghetti hai una bocca e un apparato digerente perfettamente funzionanti. Se non avessi i denti faresti un po' fatica a mangiare gli spaghetti.

Inoltre, sarà anche vero che te lo sei cucinato da solo e che la spesa l'hai fatta con soldi tuoi onestamente guadagnati. Ma un pensiero alla gallina che ha fatto le uova lo vogliamo rivolgere? E al contadino che ha coltivato il grano? E non è forse stata tua madre a insegnarti come preparare la migliore carbonara del mondo?

È solo una questione di prospettiva. Puoi dare tutto per scontato, abituarti a quello che hai, e non guardare mai al contributo che il resto del mondo sta dando alla tua vita.

Oppure puoi cominciare a guardare le cose con occhi nuovi e scoprire che nella tua vita in fondo qualcosa di buono c'è. E che non tutto è merito tuo. Qualcosa ti è anche stato donato.

Anche Albert Camus i romanzi se li era scritti da solo. Il premio Nobel l'avevano dato a lui, mica al signor Germain. Il talento era il suo, e suo il tempo e la fatica che aveva impiegato nello scrivere. Eppure lui sentiva di avere un debito di riconoscenza verso un vecchio maestro di scuola che anni prima aveva in qualche modo influenzato positivamente la sua crescita.

Gratitudine e felicità

La psicologia ha cominciato a interessarsi al tema della gratitudine negli anni '80. Robert Emmons, ricercatore all'Università della California, assieme ai suoi colleghi, ha condotto molti studi cercando di capire il rapporto tra gratitudine e felicità.

Questi studi sono riassunti in un libro che si chiama appunto Thanks!, sottotitolo: come praticare la gratitudine può renderti più felice.

I ricercatori hanno scoperto che la gratitudine è un sentimento capace di trasformare, di curare e di portare nuove energie nella vita delle persone.

Thanks. How Practicing Gratitude Can Make You Happier, di Robert Emmons

Le persone capaci di provare gratitudine sono più felici, più fiduciose, più aperte. Conoscono il valore delle cose positive nella loro vita, non le danno per scontate e non pensano che siano garantite. Inoltre non si sentono isolate, in lotta con il mondo, ma al contrario sanno riconoscere la fitta rete di relazioni che ci lega gli uni agli altri.

La gratitudine è un antidoto alle due cause principali di infelicità: il senso di privazione (cioè quando sentiamo di non avere ciò di cui abbiamo bisogno) e l'isolamento: l'idea di essere soli con i nostri problemi, unici nel nostro dolore, separati dagli altri.

Coltivare la gratitudine significa assumere una prospettiva diversa:

  1. mettere a fuoco ciò che abbiamo (e non ciò che ci manca)
  2. esercitarci a vedere e a dare valore a tutto quello che riceviamo dagli altri.

Questa prospettiva però non è detto che venga naturale. Anzi.

Lo stesso Robert Emmons - che ha dedicato molti anni a studiare la gratitudine - dice che lui per primo è in difficoltà con la pratica. Non è facile infatti contrastare la tendenza a dare tutto per scontato e garantito.

Attenzione in ogni caso a non confondere la gratitudine con l'esercizio del pensiero positivo (stile Pollyanna). Provare a essere grati non significa cercare di vedere per forza il lato buono delle cose.

Se scivoli e ti rompi una gamba non è che devi trovare un motivo per essere felice di quello che ti è successo. Ma magari potresti rivolgere un pensiero di gratitudine al tizio che passava di lì e si è fermato a darti una mano. Ed essere grato dell'esistenza di un ospedale gratuito e bene attrezzato con dei professionisti capaci di guarirti.

Imparare la gratitudine

Nel libro Thanks! How Practicing Gratitude Can Make You Happier l'ultimo capitolo è dedicato a come esercitare la gratitudine giorno per giorno.

Se in qualche modo abbiamo capito - o intuito - l'importanza della gratitudine, ma abbiamo la sensazione di non esserci naturalmente molto portati, possiamo prendere l'impegno di esercitarci ogni giorno a osservare la realtà con questi nuovi occhiali.

Nel libro sono suggeriti 10 diversi modi per esercitare la gratitudine. Io mi voglio soffermare sul primo di questi. Un po' perché è una cosa che già faccio da diverso tempo e quindi ne ho una esperienza diretta; un po' perché lo stesso Emmons nel suo libro scrive che probabilmente è l'esercizio più potente.

Si tratta di tenere un diario della gratitudine.

Qui sul blog ho dedicato altri articoli al potere della scrittura. Scrivere aiuta il pensiero: lo traduce in parole rendendolo più lucido e concreto.

Scrivere un diario della gratitudine significa prendersi un tempo, ogni giorno, per fare un elenco - per esempio di tre cose - per cui essere grati.

Riflettere e domandarsi: cosa mi rende felice? cosa mi conforta? cosa c'è nella mia vita di buono?

In questa riflessione, dice Emmons, bisogna stare attenti a evitare gli automatismi.

La lista dovrebbe essere periodicamente aggiornata. È normale che certe cose si ripetano, però se uno si ritrova in automatico a scrivere tutti i giorni: il mio cane, il mio gatto, il mio appartamento, finisce che l'esercizio non funziona.

Una certa ridondanza è normale, però se per giorni e giorni ci troviamo a scrivere sempre le stesse cose, occorre uno sforzo di riflessione in più. Magari anche una giornata di sole nel pieno dell'inverno merita il nostro ringraziamento, no? Insomma fare l'esercizio in modo passivo e automatico non aiuta.

Inoltre è utile scavare nelle motivazioni che ci spingono a essere grati di qualcosa. Per esempio io posso dire di essere grata a mio marito per la sua presenza nella mia vita. Ma questo sentimento si rafforza se penso nel concreto alle cose che lui fa per me. Per esempio a come mi è stato accanto quando mi è capitato di stare male, o al fatto che abbia deciso di occuparsi lui della cena perché a me cucinare non piace ;)

In questo modo la mia gratitudine non è una etichetta formale, un compitino da fare tutti i giorni sul diario, ma diventa un vero e proprio esercizio di consapevolezza.

Così facendo - secondo Robert Emmons - piano piano si innesca una spirale positiva e si può arrivare a sentire benessere e gratitudine per molte e molte cose che eravamo abituati a dare per scontate.

L'importante comunque è partire da dove sei. Se arrivi alla fine della tua giornata e l'unica cosa di cui ti sembra di potere essere grato è: non è successo nulla di brutto oggi, ok, va bene, parti da qui. Forse per una settimana di seguito non sarai in grado di scrivere altro, ma magari un giorno ti verrà in mente di ringraziare il sorriso gentile della cassiera del supermercato, o l'autobus che una volta tanto è arrivato puntuale.

Poi chissà che un giorno non diventiamo tutti capaci di svegliarci in questo modo:

Svegliandomi questa mattina, vedo il cielo blu.
Unisco le mie mani in segno di ringraziamento
per le tante meraviglie della vita
e per avere altre 24 ore nuove di zecca davanti a me - Thich Nhat Hanh

Sullo stesso tema puoi leggere anche Come costruire la tua pratica di gratitudine