Piccolo manuale per non farsi mettere i piedi in testa di Barbara Berckhan

Sarebbe bello se non ci fosse bisogno di libri come questo.
Sotto sotto io sono un'idealista e sogno un mondo in cui le persone si accettano e si rispettano tra loro così come sono.

La realtà però è diversa. Là fuori è un po' una giungla e succede di doversi difendere da persone che cercano di imporre la loro volontà senza badare troppo alle conseguenze sugli altri.

Soprattutto negli ambienti di lavoro è inevitabile trovarsi davanti a dei conflitti e se non sei preparato ad affrontarli finisce che ti trovi messo all'angolo e nemmeno sai come è successo.

Serve a poco rimuginare, fare la vittima e tuonare contro l'egoismo altrui. Spesso gli altri non fanno altro che seguire la strada della minore resistenza: hanno bisogno di qualcosa e vanno laddove sanno di poterla ottenere.

A farne le spese sono le persone più disponibili, miti e vulnerabili. Quelli che non amano gli scontri, che dicono sempre di sì e non chiedono niente in cambio.

Ma anche chi si comporta esattamente al contrario a volte lo fa solo per nascondere l'insicurezza. Passività e aggressività sono due facce della stessa medaglia.

Barbara Berckhan, tedesca, esperta di comunicazione interpersonale, nel Piccolo manuale per non farsi mettere i piedi in testa presenta alcune strategie per imparare a comportarsi con sicurezza, senza però diventare aggressivi.

È un libro molto semplice, senza pretese, dal taglio molto pratico. Buono per capire come funzionano certi meccanismi nelle relazioni e ricco di suggerimenti da mettere in pratica subito.

Ecco quali sono, secondo Barbara Berckhan, le cinque strategie per farsi rispettare.

1. Controllare il linguaggio del corpo

Lo stato d'animo interno si riflette nei gesti. Quando siamo nervosi, insicuri e fragili tutto il nostro corpo comunica ad alta voce il nostro disagio: chiudiamo le spalle, abbassiamo gli occhi, incurviamo la schiena.

Chi ci sta davanti percepisce tutto questo in modo immediato. Il linguaggio del corpo è più potente delle parole.

Se affermiamo una certa cosa a parole ma a gesti diciamo il contrario è probabile che il nostro interlocutore - anche inconsciamente - creda a quel che dice il nostro corpo e non alle nostre parole.

Per questo la prima strategia proposta nel libro è questa: assumere un contegno fiero e regale. Abituarsi cioè a una gestualità che comunichi sicurezza, calma, decisione.

Ecco come si fa.

  • Occupa bene tutto lo spazio che ritieni necessario. Se sei in piedi tieni la schiena dritta. Da seduto evita di stare sull'orlo della sedia o di rifugiarti nell'angolino; non accavallare le gambe e poggia per terra entrambi i piedi.

  • Controlla le spalle: quando siamo tesi tendiamo ad alzarle verso il collo, come se volessimo proteggere la nuca. Cerca invece di rilassarle, di farle scendere e di aprirle un po'.

  • Evita gesti di nervosismo: dondolare una gamba, giocherellare con lo scatto della penna, toccarsi di continuo i capelli. Un modo per evitare questi gesti è usare una cartelletta rigida o un blocco che ci tenga occupate le mani.

  • Mantieni il contatto visivo con l'interlocutore. Non evitare il suo sguardo (ma evita anche di fissarlo senza tregua).

  • Quando cammini non muoverti troppo velocemente. Tieni la testa alta, lo sguardo dritto davanti a te e lascia le braccia libere di seguire l'andatura.

L'idea è di fare tutto questo senza sembrare rigido come un burattino di legno. Quindi bisogna allenarsi un po' e cercare di apparire naturali e rilassati.

La cosa veramente affascinante è che se è vero che lo stato d'animo influenza l'atteggiamento del corpo, è vero anche il contrario: cioè assumere un certo atteggiamento con il corpo induce lo stato d'animo corrispondente.

Schiena dritta, spalle aperte e postura rilassata ma dignitosa non solo comunicano agli altri sicurezza e fiducia, ma effettivamente ci aiutano a sentirci così.

A questo proposito c'è un famoso TED Talk di Amy Cuddy sulle posture di forza, direi imperdibile su questo tema.

2. Imparare a chiedere

Molti di noi coltivano un sogno segreto: che gli altri possano leggerci nel pensiero, per comprendere (e soddisfare) i nostri desideri senza che ci sia bisogno di chiedere nulla.

Ogni volta che ti senti anche solo vagamente stizzito con qualcuno perché pensi che stia ignorando i tuoi bisogni, fatti questa domanda: questa persona
è davvero al corrente di quello che desidero?

Finché tacete - dice Barbara Beckham - nessuno capisce di cosa avete bisogno.

Succede anche con le persone che amiamo... figurati quanto è vero nelle relazioni con i conoscenti, sul lavoro, con il tuo dottore, o con il portiere dell'albergo.

Non chiedere è una caratteristica delle persone introverse. Andare a chiedere qualcosa infatti è un po' come puntarsi addosso un enorme riflettore, e gli introversi eviterebbero con tutto il cuore.

I fatti però dimostrano che stare zitti non garantisce nessuna ricompensa. Anzi è facile che anche i nostri più elementari diritti vengano calpestati se non siamo noi per primi a chiedere che vengano rispettati.

Barbara Berckhan parla del dramma delle persone competenti: cioè quelle in gamba e che sul lavoro danno il massimo... ma che non chiedono mai niente perché si aspettano che qualcuno riconosca il loro valore. Cosa che molto spesso non accade.

Se tutto questo ti suona familiare, forse anche tu hai bisogno di allenarti a chiedere quello che desideri.

Imparare a chiedere non è facile per chi non ci è abituato. Nel Piccolo manuale per non farsi mettere i piedi in testa ci sono diversi consigli su come farlo.

Eccone alcuni:

  1. Comincia con le situazioni più facili: per esempio chiedi un tavolo migliore al ristorante o uno sconto in un negozio. Così fai un po' di allenamento prima di affrontare situazioni più importanti.

  2. Non dare troppe spiegazioni. Se hai dei buoni motivi per avanzare la tua richiesta ovviamente falli presente, ma non ti dilungare. Troppe spiegazioni possono essere scambiate per giustificazioni.

  3. Non cercare di apparire troppo bisognoso: nel momento in cui avanziamo una richiesta è possibile che ci venga istintivo farci più piccoli, o fare troppi salamelecchi, il tutto per fare sentire l'altro più forte e importante e indurlo così ad aiutarci. È una strategia controproducente perché comunica questo: io sono debole, puoi fare con me quello che vuoi.

  4. Cerca di essere diretto: esprimi in modo chiaro quello che vuoi. Spesso siamo portati ad avanzare generiche lamentele, sbuffare, sbattere gli occhi, nella speranza che gli altri capiscano il nostro bisogno e ci vengano incontro. Ma questo crea un sacco di incomprensioni e fraintendimenti. Molto meglio essere diretti.

La richieste però è bene che non si trasformino in pretese: l'altra persona è sempre libera di rispondere con un no.

Spesso è proprio la paura del no a inibire le nostre richieste. Certe volte non chiediamo per non correre il rischio di un rifiuto. La paura di ricevere una risposta negativa ci può paralizzare e così rinunciamo senza nemmeno provare.

Chiedere è segno di forza, non di debolezza. Chiedere vuol dire: mi prendo la responsabilità di ciò che desidero e sono abbastanza forte da potere sopportare un eventuale rifiuto. L'uomo che non deve chiedere mai è solo una scemenza pubblicitaria degli anni '80 ;)

3. Il "no" gentile

Se è difficile imparare ad accettare un no, per qualcuno è altrettanto difficile pronunciarlo.

Rovescia la situazione del paragrafo precedente e pensa a tutte le volte in cui sono gli altri a chiedere a te qualcosa.

Come reagisci?

Sei capace di mettere un confine chiaro e dire di no ogni volta che è necessario?

Oppure sei quel tipo di persona che spesso dice solo per pentirsi un attimo dopo?

Barbara Beckham prende in considerazione diversi tipi di no che dovremmo imparare a dire.

No - quando le persone ci scaricano addosso incombenze che non sta a noi svolgere (quindi evitare di farsi sfruttare).

No - quando gli altri si immischiano - senza essere invitati - nella nostra vita e si sentono in diritto di dirci cosa è giusto fare.

No - quando veniamo insultati o mortificati. Attenzione in particolare a quelle forme di umiliazione abilmente camuffate da battute di spirito. Mai cadere nella trappola di sorridere.

No - quando gli altri ci chiedono di fare qualcosa che non vogliamo fare. Sono quei no che comunicano agli altri chi siamo e cosa ci piace o non ci piace.

Nel libro trovi alcune strategie comunicative per pronunciare un no gentile, mantenendosi sempre comunque aperti al rapporto con l'altro.

4. Insistere

Se fosse sufficiente imparare a chiedere per ottenere quello che desideriamo sarebbe fin troppo semplice.

Nel momento in cui superi l'imbarazzo e ti esponi con le tue richieste ti accorgerai di una cosa: che spesso avrai un no come risposta.

Alcuni di questi rifiuti sono solo dettati dalla fretta e dalla poca voglia di affrontare delle complicazioni. Magari sei andato dal tuo capo nel momento sbagliato, e ti ha detto di no per liberarsi al più presto di te. Oppure quello che stai chiedendo esula dall'ordinario e ti viene risposto di no solo perché l'altra persona non ha voglia di mettersi lì con la testa a capire se la tua richiesta ha o meno un senso.

Quello che si deve fare davanti al primo no allora è insistere.

Lo so, può essere scoraggiante. Già hai fatto la tua bella fatica per chiedere, ora ti becchi un no e dovresti pure insistere?

Purtroppo certe dinamiche funzionano solo così: la vera trattativa comincia davanti al primo no.

È lì che si apre lo spazio di discussione e che dobbiamo tirare fuori le armi migliori.




Ecco alcune cose da fare davanti al primo no.

  • Ripetere la richiesta: tante volte ti trovi davanti a qualcuno che annuisce ma in verità sta pensando ai fatti suoi e non ha capito un bel niente di quello che hai appena detto.

  • Chiedere i motivi del rifiuto: potrebbe trattarsi di difficoltà che si possono superare facilmente e basta intavolare la discussione in termini chiari da parte di entrambi che si trova la soluzione.

  • Ascoltare sempre l'altro e non sminuire le sue motivazioni, continuando però ad insistere con la propria richiesta, motivandola in modo semplice e diretto.

  • Eventualmente modificare la richiesta iniziale: nel dialogo potresti capire che la cosa che stai chiedendo è veramente impossibile da ottenere, ma che c'è comunque un margine di trattativa su questioni collaterali di tuo interesse.

Questo modo di essere insistenti ma cortesi non mi sembra facile da applicare, ma - secondo Barbara Berckhan - per ottenere qualcosa è essenziale non fermarsi al primo no.

5. La fiducia in se stessi

L'ultima strategia proposta non si può considerare veramente una strategia perché in realtà va diritta al cuore del problema.

Possiamo anche allenarci con le quattro strategie come fossimo attori su un palco: ci muoviamo da persone decise, avanziamo le nostre richieste, stabiliamo dei confini, insistiamo per ottenere ascolto.

Ma forse ciò che conta veramente è come ci sentiamo.

Alla fine la migliore strategia di autoaffermazione è avere fiducia in se stessi.

Qui Barbara Berckhan invita a prestare particolare attenzione al dialogo interiore in modo da individuare con chiarezza la voce del nostro critico interiore.

Hai presente, no? Quella vocina che ti rimprovera ogni volta che sbagli, che ti offende se le cose non sono fatte per bene, che ti aggredisce quando non sei stato all'altezza delle tue stesse aspettative.

Identificare il dialogo interiore e imparare a modificarlo è un passaggio fondamentale per accrescere l'autostima.
Bisogna prima di tutto imparare ad ascoltarsi e a riconoscere quando ci stiamo rimproverando o biasimando per qualche motivo.

Si può fare anche per iscritto: è interessante vedere nero su bianco cosa ci dice il nostro critico interiore.

Nel Piccolo manuale per non farsi mettere i piedi in testa l'autrice suggerisce una strategia molto semplice per acquistare un po' di sicurezza: abbassare le pretese nei confronti di noi stessi. E secondo me non ha torto.

Io seguo con un occhio un po' critico i temi della crescita personale e il motivo è proprio questo: porsi obiettivi di miglioramento continuo va bene solo se non diventa una forma di aggressione verso noi stessi.

Da un lato è meraviglioso cercare di sfruttare al massimo le proprie potenzialità, non accontentarsi del primo risultato, lavorare sulle abitudini, sulla produttività, contrastare certe forme di pigrizia e trascuratezza.

Nello stesso tempo però è facile che dietro questa idea di crescita personale si nasconda l'insidia del perfezionismo. Non è mai abbastanza. Vado bene solo se studio otto ore al giorno, vado in palestra tre volte a settimana, mi alzo alle sei tutte le mattine. E anche questo non basta, perché appena ci riesco poi voglio anche praticare la meditazione ogni giorno, mangiare sano, dimagrire, imparare a giocare in borsa, parlare tre lingue e guidare l'elicottero.

Il critico interiore è implacabile e non si accontenta mai. Se facciamo tutto questo nel tentativo di metterlo a tacere siamo sconfitti in partenza.

Per questo io amo un'idea di crescita personale dolce: fatta di piccoli passi, di accettazione, di obiettivi in armonia con il nostro modo di essere.

Se siamo persone miti, magari un po' introversi, non ha senso leggere un libro come questo e poi pensare di stravolgere il nostro modo di essere dall'oggi al domani.

Sempre dolcezza, rispetto e gentilezza verso noi stessi al primo posto.

E lo dice chiaramente anche l'autrice:

Procedete a piccoli passi. Cominciate sempre con quello che vi risulta più facile e anche vi diverte, non prestando attenzione alle vocine critiche dentro di voi: non fatevi mai guidare da quei cattivi soggetti. Anche per l'autoaffermazione vale il principio di base di limitare le richieste a un livello che sapete di riuscire a soddisfare senza sforzi eccessivi.

Non fissatevi sul successo a tutti i costi. (...) Ovvio, riuscire nell'intento è bellissimo. Anche se questo non accadrà però avete imparato lo stesso qualcosa: vi siete fatti coraggio e avete affrontato il problema. Ci avete provato. Tutto questo merita di essere apprezzato, quindi compratevi un bel mazzo di fiori e fatevi un applauso!