Scrittura e precisione: chiamare le cose con il proprio nome secondo Natalie Goldberg

Quando ho letto il bellissimo memoir di Joan Didion, L'anno del pensiero magico - in cui l'autrice ripercorre l'anno successivo alla morte del marito - avevo sottolineato questo paragrafo, verso la fine del libro.

Scrivo mentre si approssima la fine del primo anno. Il cielo di New York è buio quando mi sveglio alle sette e torna a oscurarsi verso le quattro del pomeriggio. Sui rami del cotogno nel soggiorno ci sono delle luci natalizie colorate. C'erano delle luci natalizie colorate anche un anno fa, la sera in cui accadde, ma in primavera, non molto tempo dopo, le lampadine si bruciarono, si spensero. Questo funse da simbolo. Comprai nuove file di luci colorate. Questo funse da professione di fede nel futuro. Colgo l'occasione per simili professioni dove e quando mi riesce di inventarle, perché in realtà non ho ancora questa fede nel futuro.

Mi è tornato in mente questo passaggio mentre rileggevo uno dei brevi capitoli di Scrivere Zen, il libro di Natalie Goldberg dedicato alla pratica della scrittura. O forse si potrebbe dire alla scrittura come pratica, perché tutto il libro è permeato da un approccio meditativo, come si legge nel risvolto di copertina.

Dicevo, ho ripensato alle lucine di Joan Didion mentre leggevo il capitolo che si intitola Siate precisi.

Probabilmente succede a molte persone quando cominciano a scrivere di avere la tendenza a utilizzare termini generici. Se ambientiamo la nostra storia in un parco a primavera parliamo di erba, di alberi, di fiori. Ma un ciliegio è diverso da un salice e un prato di margherite da un cespuglio di ortensie. Se entriamo in una cucina diciamo che c’è odore di cibo. Ma l’odore di una zuppa di cavolo è molto diverso da quello di una torta che cuoce nel forno.
Le parole generiche tendono a creare un mondo opaco, impreciso, non a fuoco.

Ecco cosa suggerisce Goldberg.

Siate precisi. Non dite “frutto”. Dite di che frutto si tratta. “È una melagrana”. Date alle cose la dignità del loro nome. È molto meglio dire “il geranio alla finestra” che “il fiore alla finestra”. “Geranio”: basta una parola a darci un’immagine molto più precisa, a penetrare più profondamente nell’essenza di quel fiore. Davanti agli occhi abbiamo immediatamente l’immagine di ciò che si trova alla finestra: verdi foglie circolari e petali rossi, tutti protesi verso la luce del sole. Quando conosciamo il nome di qualcosa, questo ci dà una maggiore concretezza. Elimina le nostre sfocature mentali; ci lega alla terra. Se camminando per strada  vedo una “sanguinella” o una “forsythia” mi sento più in armonia con l’ambiente. Mi sto accorgendo di quello che mi circonda, e so dargli un nome. Sono più vigile e attenta.
Se diciamo "geranio" anziché "fiore" penetriamo più a fondo in ciò che è qui e ora. Più riusciamo ad avvicinarci a quel che abbiamo davanti, più gli permettiamo di insegnarci tutto quello che ci serve.

Per questo mi è tornato in mente il brano di Joan Didion, perché lei parla delle lucine sui rami del cotogno in soggiorno. Forse se avesse parlato di una generica pianta nel soggiorno, o di un alberello, non  me lo sarei ricordato, il cotogno invece sì. E questo malgrado io in effetti non abbia le idee chiarissime su come sia fatto un cotogno. Mi viene in mente un piccolo albero, non esattamente un tipo di pianta che si tiene in casa: forse era sul terrazzo? O forse era una varietà particolare che cresce in appartamento? Non lo so, non è nemmeno importante saperlo, è importante però che fosse un cotogno, non una generica pianta.

Precisione quindi, che però non significa utilizzare termini specialistici che nessuno capisce e nemmeno diventare pedanti nelle descrizioni. Per esempio, è ok chiamare il finestrino della cabina di una nave oblò, perché questa è la parola giusta e il suo significato è noto. Scrivere un oblò circolare di circa trenta centimetri di diametro con telaio in ottone e il vetro spesso due dita, può risultare pedante... a meno che non ci sia un motivo molto valido per esaminare in modo così dettagliato le caratteristiche di quell'oblò, per esempio perché c'è un incendio e il personaggio sta valutando le sue possibilità di fuga ;)

Su questo si può fare un bell'esercizio di revisione. Prendi un pezzo che hai già scritto e rileggilo. Sottolinea tutte le parole generiche, quelle che secondo te non rimandano a una immagine abbastanza concreta ed esatta, e poi pensa a come le puoi sostituire con altre parole più precise.

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Writing Lab è la mia rubrica settimanale sulla scrittura.
Mi piace leggere i manuali di scrittura e imparare qualcosa sulla tecnica. Mi piace forse ancora di più leggere i testi che i grandi autori hanno dedicato al loro mestiere. Se ne ricavano consigli pratici ma anche suggerimenti su come affrontare con la giusta mentalità il lavoro di scrivere storie. È confortante scoprire che quasi tutti se la devono vedere con l'insicurezza, le voci critiche e il dubbio di non essere all'altezza delle proprie intenzioni. Scrivere secondo me fa bene proprio perché è un atto di fiducia.
Ogni settimana scrivo un piccolo pezzo, con alcuni consigli - di solito non i miei, ma quelli degli scrittori da cui prendo ispirazione - e provo a costruirci attorno un esercizio. È un laboratorio: combino gli elementi che ho a disposizione, cerco di produrre qualcosa di sensato e di utile per chi, come me, ama scrivere. Puoi seguire la rubrica qui sul blog, sotto l'etichetta Writing Lab, oppure sul Canale Telegram.