Newsletter novembre 2025
Ho avuto qualche settimana più stressante del solito. Gatto malato, viaggio da organizzare, finire il romanzo e cominciare a proporlo, qualche tensione relazionale. Inoltre, a causa del gatto che probabilmente ha l’asma, mi sono caricata di un bel po’ di lavoro domestico extra.
Avevo la sensazione di avere tutto sotto controllo, anzi mi sentivo proprio soddisfatta per come stavo gestendo la situazione.
C’era però una cosa che avrebbe dovuto farmi riflettere: la sera, quando mi mettevo a letto, non avevo voglia di rilassarmi. Prendevo appunti, rimuginavo su nuove idee, mi perdevo in infiniti scroll sul telefono...
Poi una mattina mi sono svegliata con la febbre e tutto l'arsenale dei sintomi influenzali.
Mi è sembrato di essere un treno in corsa in cui qualcuno tira di botto il freno di emergenza. Strideva tutto. I miei pensieri continuavano a correre a velocità folle ma io non potevo fare niente perché avevo 39 di febbre e un gran mal di testa.
Ovvio che se vengono febbre, nausea, mal di gola e raffreddore è perché il corpo sta combattendo un virus. Ma il nostro sistema immunitario non reagisce sempre allo stesso modo, tante volte risolve senza che quasi ce ne accorgiamo, o con sintomi minimi.
In questo caso ho avuto la sensazione precisa che il mio corpo mi stesse dicendo: stavolta non te la faccio passare liscia, adesso ti fermi per forza.
La febbre è durata solo quattro giorni, ma mi ha lasciato in eredità una preziosa briciola di consapevolezza.
Il punto non era che stavo facendo troppo, era come lo stavo facendo: con un’ansia stringente. Era tutto buio e minaccioso. La sensazione di dovere prendere decisioni che si sarebbero rivelate in ogni caso sbagliate. Situazioni anche piacevoli - come la chiusura del romanzo, il viaggio, nuovi progetti - vissuti come macigni pesanti. Ce la farò? Funzionerà? Farò in tempo? Sono le scelte giuste?
Quando la mia testa comincia a funzionare in quel modo è come un motore ingolfato con i giri a mille: tanta fatica, tanta energia sprecata, poco movimento.
Mi sono obbligata a una convalescenza un po’ più lunga del necessario. Sono rimasta a letto. Ho passato molte ore a leggere, ho lavoricchiato un pochino con il portatile stando attenta a smettere appena mi sentivo stanca. Ho fatto un po’ di esercizi di respirazione e mi sono allenata ad ascoltare il mio corpo.
L’ho fatto in modo puntiglioso, meticoloso. Se solo mi sembrava di sentire un poco caldo toglievo una coperta. Se solo sentivo una minima tensione al collo cambiavo posizione e cercavo di scioglierla. Ho mangiato poco masticando a fondo ogni singolo boccone e facendo attenzione alle reazioni del mio stomaco. Ho bevuto tisane avendo l’accortezza che non fossero troppo calde. Appena l’ansia saliva aprivo la finestra, tornavo sotto le coperte, mettevo una mano sulla pancia e mi ascoltavo respirare. Quando ho ripreso le mie attività, l’ho fatto senza fretta.
Tutte le cose che facciamo necessitano di tempo e cura. Rifare il letto, pulire il lavandino, scrive una e-mail, fare una telefonata, passare in farmacia. La fretta – che molte volte non è altro che ansia travestita da mancanza di tempo – ti spinge ad affastellare attività, pensieri, idee, tutto uno sull’altro. Ma è una fretta mentale, un’urgenza interna, una forma cronica e inutile di iper-attivazione. Il mondo esterno nella grande maggioranza dei casi va avanti benissimo anche senza di noi ed è perfettamente in grado di ammortizzare i nostri ritardi e le nostre mancanze.
Nell’ultima settimana sono riuscita a mantenere questa attenzione al corpo e al mio quotidiano momento per momento ribaltando del tutto le mie priorità. Non più il romanzo, la casa, il gatto, la do to list da spuntare, ma imparare a respirare dentro la mia vita e fermarmi a ogni minimo accenno di tensione. La priorità è non andare in sovraccarico, disinnescare le micce, fare in modo che ogni piccola azione abbia il suo spazio dedicato, come se fosse un rituale.
Pensi che facendo così si diventi lenti e inefficaci? Che sia un lusso che al giorno d’oggi pochissimi si possono permettere?
Io sto notando che non è così. Il tempo che serve per prendere una tazzina dalla scrivania, sciacquarla sotto l’acqua, asciugarla e metterla a posto, è più o meno lo stesso, sia che lo facciamo in fretta, con tensione e nervosismo, sia che lo facciamo con tutta la calma del mondo.
Credo che dietro questo modo ansioso di vivere si nasconda un unico grosso problema di fondo, che è quello del controllo.
Come dicevo prima, non è tanto la quantità di cose di cui ci sobbarchiamo, ma è come le facciamo. E se le facciamo con ansia, rigidità e infinite “doverizzazioni” molto probabilmente è perché la nostra mente si sta affannando nel tentativo di controllare tutto.
C’è una frase della scrittrice Elizabeth Gilbert che è praticamente un manifesto.
“Hai paura di arrenderti perché non vuoi perdere il controllo. Ma non hai mai avuto il controllo, avevi solo l’ansia.”
Ho pensato di trascriverla su un post-it e tenerla sempre in bella vista.
Vuoi ricevere anche tu questa newsletter ogni mese comodamente al tuo indirizzo di posta elettronica? Clicca il pulsante qui sotto per iscriverti. Avrai accesso anche a tutti i contenuti gratuiti riservati.

