Quello che forse mi ha colpito di più durante i giorni dell'isolamento è stato il silenzio. Avevo preso l'abitudine, dopo pranzo, di sedermi sul mio balcone a prendere un po' di sole in compagnia di un libro, e lì passavo volentieri un'oretta o anche più, apprezzando particolarmente il silenzio e l'atmosfera ovattata che era scesa sulla città.

In verità, quello che io sto chiamando silenzio, non lo era affatto. Si trattava solo della mancanza di uno specifico rumore - quello del traffico stradale - in assenza del quale affioravano altri suoni: il canto degli uccellini, ma anche i suoni provenienti da altre case, bambini che giocavano, il vicino che si esercitava al sassofono, due chiacchiere scambiate in strada (a distanza di sicurezza).

Rumori vivi, di persone e di animali, che prendevano il posto dei rumori prodotti dai mezzi meccanici.

Il silenzio non è mai veramente silenzio, non è deprivazione sonora. Sono invece suoni altri, che di solito non percepiamo perché sono coperti da qualcosa di più rumoroso.

La nostra infatti è una società che produce rumore, quello forte, quello che copre, il più delle volte proveniente da macchine e macchinari. La fabbrica, che è il simbolo della modernità, è il luogo rumoroso eccellenza, e dalla rivoluzione industriale in avanti la nostra vita si è riempita fino all'inverosimile di rumore.

Ci sono negozi in cui i clienti vengono accolti da musica ad alto volume. Spiagge nelle quali - ai già tanti rumori prodotti dai bagnanti - si aggiunge quello degli altoparlanti che diffondono ancora musica e pubblicità. Le nostre case sono stipate di apparecchi fatti per produrre suoni e comunicazione: radio, televisioni, computer.

Una volta il silenzio ricopriva ogni cosa. Erano soprattutto i suoni della natura a fare da sottofondo alla vita dell'uomo, mentre quelli prodotti dai trasporti e dal lavoro erano meno pervasivi rispetto a quelli di oggi.

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Anche la comunicazione si è fatta più rumorosa: si parla, sempre, senza sosta. La televisione, i social, i giornali. Anche da questo punto di vista siamo una società rumorosa: c'è un eccesso di informazione, notizie, pareri. Siamo sempre connessi e ci sentiamo sempre più quasi in dovere di esprimere la nostra posizione su qualsiasi cosa - molto spesso rilanciando opinioni di altri, senza alcuna capacità di ragionamento autonomo. Il risultato è spesso un bla bla bla continuo, un eloquio vano, privo di un vero significato. Non è sicuramente un caso se proprio con l'arrivo di questa pandemia, sia è diffuso il neologismo infodemia, che sta a indicare la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento. Anche l'informazione produce rumore.

Il silenzio come valore

Abbiamo reso il nostro mondo così rumoroso, che il silenzio ha cominciato a diventare prezioso, un bene raro e sempre più richiesto.

Da qualche anno, per esempio, sui treni ad alta velocità è possibile prenotare il posto in apposite carrozze dove è obbligatorio mantenere il silenzio. Tutto sommato è buffo che consideriamo normale - in uno spazio pubblico e condiviso come un treno - che ci sia la totale libertà di fare rumore (parlare ad alta voce, telefonare), mentre per avere diritto alla quiete bisogna ricorrere a spazi appositamente creati (e fino a qualche tempo fa più costosi, visto che inizialmente le zone di silenzio erano previste solo per la classe business).

Cominciano inoltre a diffondersi, sia pure timidamente, luoghi aperti al pubblico in cui fare rumore non è consentito. Conosco per esempio un piccolo agriturismo nel quale bisogna rispettare rigorosamente il silenzio nell'area della piscina. Non è consentito l'accesso ai bambini - non per antipatia nei  loro confronti, ma perché chiedere a un bambino di fare silenzio in una piscina sarebbe assurdo. Il numero di posti a disposizione è limitato e a chi entra è chiesto di parlare poco e comunque sempre a bassa voce. È il luogo ideale per passare la giornata a leggere o a dormicchiare al sole senza essere disturbati.

Anni fa sono anche stati organizzati addirittura dei silent party, l'antitesi dei rave party, feste nelle quali non c'è musica, non si beve, non si parla, non si balla, ma si sta assieme ascoltando i suoni del silenzio. Non che abbiano avuto un grande successo a quanto mi pare di capire, ma il fatto stesso che siano stati sperimentati, significa che questa attenzione al tema del silenzio c'è: la quiete è una condizione sempre meno diffusa e chi ne sente il bisogno deve ricercarla attivamente.

Il rumore è normale, se è il silenzio che vuoi, devi andartelo a cercare.

Silenzi e silenzi

Ha senso parlare del silenzio come valore, solo se stiamo parlando di un silenzio scelto e non imposto o subito. Il diritto di parola è una conquista delle società democratiche. Dove c'è qualcuno che parla e qualcun altro che può parlare meno significa, in gran parte dei casi, che siamo in presenza di uno squilibrio di potere. Il silenzio può essere la negazione di un diritto, o una imposizione.

Tacere diventa significativo quando si è assolutamente in grado di parlare ma si sceglie di non farlo. Non per negare la comunicazione ma per espanderla

Il filosofo David Le Breton, nel suo libro Sul silenzio. Fuggire dal rumore del mondo, cita alcune ricerche riguardo le disparità di genere. Analizzando le registrazioni di numerose conversazioni, i ricercatori si sono resi conto che laddove erano presenti sia uomini che donne, gli uomini erano i responsabili della quasi totalità delle interruzioni, e le donne in gran parte dei casi si adeguavano e non cercavano di riprendere la parola. Nelle conversazioni tra soli uomini, le interruzioni invece erano molte meno, quasi nulle. Buffo, considerando che alle donne viene spesso rimproverato di parlare troppo...

Ci sono poi silenzi che vengono usati come arma: ho litigato con te e quindi non ti rivolgo la parola. E ci sono anche silenzi imposti da chi ha il potere di farci tacere, a volte anche in modo implicito, nelle situazioni in cui sentiamo di non avere diritto di prendere la parola.

Il silenzio nella comunicazione tra le persone può assumere significati molto diversi. Tra due persone che si conoscono poco, o che stanno avendo una conversazione difficile, possono esserci silenzi carichi di imbarazzo. Il silenzio in alcune circostanze può essere minaccioso, o al contrario familiare e confortevole, per esempio tra due persone che si vogliono bene e che non sentono il bisogno di riempire di parole ogni momento passato assieme. A volte usiamo il silenzio come segnale di rispetto: non alziamo la voce durante un funerale, oppure osserviamo un minuto di silenzio per commemorare le vittime di qualche evento tragico.

Il silenzio non è quindi assenza di comunicazione, al contrario fa parte della comunicazione stessa e può dire molte cose diverse a seconda del contesto.

Rumore e salute

Vivere in una società tendenzialmente rumorosa non è privo di conseguenze sulla nostra salute. Non a caso esiste il concetto di inquinamento acustico. Lo sa bene chi ha la sventura di vivere vicino a un aeroporto, una ferrovia, o una strada molto trafficata.

L'esposizione a livelli eccessivi di rumore danneggia in modo piuttosto serio la nostra salute. Il rumore può avere effetti negativi sul sistema cardiovascolare (cuore, circolazione, pressione), può causare di disturbi del sonno, e anche ritardi dell'apprendimento nei bambini (vedi per esempio qui e qui).

Il rumore ha un effetto negativo anche per la nostra salute mentale: può contribuire a stati d'ansia e di depressione.

In generale il rumore agisce come evento stressante, e suscita quindi nel nostro organismo la classica reazione da stress, con le stesse conseguenze negative.

Non sono poche le persone a rischio: secondo le stime, in Europa, circa il 40% della popolazione è quotidianamente esposta a un livello di rumore da traffico stradale potenzialmente dannoso per la salute.

Sopratutto per chi vive in città, trovare il modo di difendersi dal rumore è una scelta di salute per niente secondaria. Perché è vero che dopo un po' abbiamo la sensazione di abituarci, e magari riusciamo a dormire anche se fuori c'è traffico o non facciamo più caso agli aerei che ci passano sulla testa... ma questo non significa che l'eccesso di rumore non stia continuando a danneggiarci.

Il silenzio come spazio di introspezione

Il silenzio ci è essenziale per concentrarci (per esempio nel lavoro) ed è anche la chiave per lavorare su di sé. Serve uno spazio di silenzio per ascoltarsi. Finché restiamo in un flusso fatto di rumore, comunicazione, parole, musica, notizie, discussioni, è difficile dare alle nostre emozioni lo spazio adeguato per esprimersi.

Il silenzio ha un ruolo importante nella relazione tra psicoterapeuta e paziente. Nella psicoanalisi freudiana il terapeuta trascorre molto tempo in silenzio. Si tratta, come spiega sempre David Le Breton nel suo libro Sul silenzio, di un silenzio attivo, con cui l'analista accoglie il paziente ascoltandolo, e invitandolo implicitamente ad ascoltarsi sempre meglio, fino a scoprire cose di sé che prima non vedeva.

La psicoterapia che viene praticata oggi è in genere distante dalla psicoanalisi, e c'è maggiore spazio per il dialogo, ma il silenzio continua a rivestire un ruolo importante. Un po' paradossalmente, proprio in quella che viene definita anche terapia della parola, i momenti in cui si tace possono essere tra i più potenti e significativi.

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Tutte le pratiche di mindfulness poi sono pratiche silenziose, al massimo guidate dalla voce dell'istruttore, che però si limita a dare poche istruzioni e suggestioni. Il protocollo MBSR - ideato da Jon Kabat Zinn e insegnato ormai quasi ovunque - prevede anche una intera giornata di silenzio, che in genere si svolge la domenica. I partecipanti si riuniscono in un luogo tranquillo e trascorrono la giornata facendo diverse pratiche di meditazione una dietro l'altra senza mai parlare. Si resta in silenzio anche durante il pranzo e durante la breve pausa che segue.

Nei ritiri di meditazione, questo silenzio si mantiene per periodi ancora più lunghi. Ci si impegna in una vera e propria disciplina del silenzio, sicuramente difficile da mantenere così a lungo (almeno credo, personalmente non ci ho mai provato).

In ogni caso - che siano quindici minuti al giorno o quindici giorni durante un ritiro - la meditazione richiede uno spazio di silenzio, durante il quale si mettono da parte le normali attività quotidiane e si presta attenzione in modo consapevole al momento presente. Così si impara a osservare più da vicino il comportamento della nostra mente, e si fa amicizia con i nostri meccanismi, si lascia che i pensieri si depositino sul fondo e così facendo spesso si trova un po' di quiete.

Camminare in silenzio

Proprio perché il silenzio, nella nostra società, è diventato una merce rara, ce lo dobbiamo andare a cercare appositamente. E sempre più persone lo cercano camminando nella natura.

Camminare - scrive David Le Breton - è un atto di resistenza civica che privilegia la lentezza, la disponibilità, la conversazione, la curiosità, l'amicizia, la gratuità, la generosità, valori che si oppongono risolutamente alla sensibilità neoliberale che condiziona ormai le nostre vite. Si tratta soprattutto di una ricerca di interiorità, di pacificazione. Camminare è un modo gioioso di mettere una distanza tra sé e il rumore per immergersi di nuovo nel mare del silenzio offerto da una foresta, un sentiero, un deserto...

Il silenzio, durante l'isolamento degli scorsi mesi, ha avuto per me un sapore ambiguo. Da un lato era piacevole l'assenza del sottofondo rumoroso del traffico e il riemergere di suoni umani, familiari, dallo sbattere delle stoviglie ai pochi momenti di gioco dei bambini nei cortili. Non ho mai potuto assaporare una quiete così a casa mia, e l'ho apprezzato davvero tanto. Dall'altro lato però era un silenzio carico di angoscia, spezzato fin troppe volte dalle sirene delle ambulanze a ricordarci il perché non c'erano macchine per la strada. Per questo quindi non lo rimpiango. Però le mie passeggiate al parco e nelle aree verdi qui attorno sono decisamente aumentate rispetto all'anno scorso. Questa normalità, che forse a fatica stiamo riconquistando, non è esattamente un tornare indietro, almeno per me. Dalla parrucchiera non sono ancora andata (ma lo farò), a cercare il silenzio camminando lontano dal traffico invece sì, più volte. Poi verrà anche il momento di tornare in modo ancora più attivo alla vita sociale, ma questo bisogno di silenzio io ho intenzione di continuare ad assecondarlo.

P.S. Proprio un momento prima di pubblicare questo articolo, mi sono imbattuta in questo intervento molto bello di Duccio Demetrio. Ecco un passaggio:

Il silenzio rappresenta una delle esperienze umane più contraddittorie e lo stiamo scoprendo in questi giorni drammatici del Coronavirus, perché viviamo il silenzio in modo diverso, anche a seconda di come lo abbiamo coltivato e lo coltiviamo nel corso della nostra vita. Lo percepiamo come un momento di raccoglimento e di meditazione, ma non tutti l'hanno vissuto o lo stanno vivendo in questa direzione, perché il silenzio ci terrorizza anche, ci spaventa, ci fa sentire tremendamente soli...

Duccio Demetrio è un filosofo e ha anche fondato, assieme a Nicoletta Polla-Mattiot, l'Accademia del Silenzio.