Tutti noi desideriamo essere ascoltati, capiti e non giudicati. Ma siamo in grado di dare la stessa attenzione agli altri? In un mondo in cui tutti parlano e nessuno ascolta, diventare capaci di ascoltare gli altri in modo partecipato e senza giudizio può fare miracoli. E darci anche qualche vantaggio.


La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare - Chuck Palahniuk

Il miracolo di Boston

All'inizio degli anni novanta, un giovane sacerdote battista di nome Jeffrey Brown, appena terminati gli studi fu mandato a Boston per gestire la sua prima chiesa. Aveva, come tutti, le sue ambizioni: fare crescere la sua chiesa, raccogliere attorno a sé una numerosa comunità di fedeli e magari guadagnare una piccola fetta di notorietà. Si trovò però coinvolto in una storia ben diversa.

In quel periodo Boston stava affrontando un problema piuttosto serio: un picco di violenza tra i giovani. Solo nel 1992 erano stati uccisi 63 giovani per la strade della città. Lotte tra gang, contese tra spacciatori, nelle quali spesso venivano coinvolti anche ragazzi e bambini che con la gang non c'entravano niente. La situazione era arrivata a un punto tale che nei quartieri più popolari, anche in pieno giorno, le strade erano semideserte perché i genitori non permettevano ai figli di andare a giocare per strada per paura delle sparatorie.

Molti predicatori in quel periodo lasciarono la città per andare a fondare le loro chiese in zone più tranquille, dove prosperare. Altri, come Jeffrey, rimasero e cercarono di fare qualcosa. Programmi per coinvolgere i giovani, nella speranza di attirare i ragazzi a rischio, e molte prediche, riunioni e manifestazioni contro la violenza.

Nulla di tutto questo però sembrava funzionare.
Qualcuno allora provò a dire che in tutte quelle iniziative c'era un problema: nessuno era andato là fuori a parlare con i ragazzi delle gang, gli spacciatori, quelli con le pistole.



Henri Matisse - La conversazione


Jeffrey Brown, assieme a un piccolo comitato di strada, decise di provarci: uscirono di notte, andarono nelle strade e nei parchi più pericolosi, perché era lì che avrebbero trovato i ragazzi che volevano incontrare. Non ci andarono armati di volantini o di prediche, andarono con il solo obiettivo di ascoltare. Volevano capire con cosa avevano a che fare. Questi ragazzi chi erano? Come passavano le loro giornate? Cosa avevano per la testa? Cosa volevano? Perché si stavano ammazzando tra loro in quel modo?

Cominciarono così ad andare in giro la notte per cercare di avvicinare questi ragazzi per capire la loro realtà.

Abbiamo fatto una cosa meravigliosa per dei predicatori: abbiamo deciso di ascoltare e non predicare. Ma è stato meraviglioso. Abbiamo detto loro: "Non conosciamo le nostre comunità tra le 9 di sera e le 5 del mattino, ma voi sì. Voi siete gli esperti della materia, diciamo, di quel lasso di tempo. Quindi parlateci. Insegnateci. Aiutateci a vedere quello che non vediamo. Aiutateci a capire quello che non capiamo." Erano tutti contentissimi di farlo e ci siamo fatti un'idea su cosa fosse la vita per strada, molto diversa da ciò che si vede nel TG delle 11, molto diversa da come la dipingono i media e i social network. E parlando con loro, tanti miti sono stati sfatati - [Jeffrey Brown, Ted Talk]

Questo sparuto gruppo di religiosi riuscì con la presenza e con l'ascolto a conquistare la fiducia dei giovani più violenti e pericolosi (quanto meno di una parte di loro), e cominciando poi a fare un'opera di mediazione tra questi e la polizia. A poco a poco altri gruppi delle comunità interessate vennero coinvolti. A partire da quello che avevano imparato ascoltando e capendo la situazione, riuscirono a organizzare delle iniziative efficaci: aiuto a scuola, accesso al lavoro, supporto durante il doposcuola. In cambio chiedevano ai giovani coinvolti di rinunciare alle azioni violente.

La cosa funzionò. Nel giro di qualche anno il tasso di omicidi a Boston si ridusse del 79%. I risultati furono così sorprendenti che tutta questa storia è conosciuta come il miracolo di Boston.

A porre le basi per questo miracolo furono un paio di persone che semplicemente se ne andarono di notte per le strade della città. Non a predicare, non a offrire o a chiedere qualcosa, solo ad ascoltare. Presenza e ascolto furono le chiavi per aprire uno spiraglio di comunicazione. Nel momento in cui i religiosi cominciarono ad ascoltare, invece di pontificare e predicare, i giovani delle gang hanno smesso di essere solo il problema da risolvere, per diventare alleati preziosi nella ricerca di una soluzione.

Chiudere il becco

Diciamo la verità: ascoltare ci viene difficile. Quando una persona ci parla difficilmente ha tutta la nostra attenzione.

Accade perché restiamo con la mente impigliata nei nostri consueti pensieri, e quindi ascoltiamo con un orecchio solo, mentre la nostra attenzione continua a dirigersi verso le cose che impegnano la nostra mente in quel momento.

Accade anche perché nelle conversazioni spesso siamo spinti da bisogni che non c'entrano niente con l'ascoltare l'altro. Per esempio vogliamo fare bella figura dicendo cose intelligenti, vogliamo risultare simpatici, vogliamo capire se la persona che abbiamo davanti ci prende sul serio, vogliamo segnalare all'altro chi è che comanda.

Invece di ascoltare prestiamo un'attenzione il più delle volte superficiale alle parole degli altri, e subito cediamo all'impulso di interrompere per dare consigli, offrire il nostro parere, ricordare una nostra esperienza, affermare il nostro parere.

Eppure, come dimostra la storia del reverendo Brown, ascoltare può fare miracoli.

Ho letto del miracolo di Boston nel libro Il potere emotivo dei gesti, scritto da Amy Cuddy una psicologa sociale che insegna alla Harvard Business School, di cui forse avrai sentito parlare grazie al suo Ted Talk sul linguaggio corporeo.

Il paradosso dell'ascolto è che cedendo potere - il potere temporaneo del parlare, dell'asserire, del sapere - diventiamo in realtà più potenti.

Ecco quali sono secondo Amy Cuddy i diversi vantaggi se diventiamo dei bravi ascoltatori.

  • Gli altri si fidano di noi.
  • Acquisiamo informazioni utili, e questo può aiutarci a risolvere un sacco di problemi.
  • Cominciamo a capire meglio gli altri: li vediamo come individui e non come stereotipi. Da qui diventa più facile condividere obiettivi e costruire una squadra.
  • Mettiamo a punto soluzioni che le altre persone possono accettare a condividere. Sappiamo come la pensano, conosciamo i loro bisogni, ed è quindi più facile che accettino le nostre proposte. Quando le persone contribuiscono a una soluzione è molto probabile che si impegnino con costanza per perseguirla.
  • Quando una persona si sente ascoltata, è più probabile che sarà disponibile lei stessa ad ascoltare a sua volta quando ce ne sarà bisogno.

Sono vantaggi interessanti no? Sul lavoro, per affrontare le dinamiche di gruppo, per risolvere situazioni di conflitto, per mediare in modo efficace. Tutta roba molto utile, per esempio, a chi occupa posizioni di leadership.

Ma non è tutto qui. Imparare ad ascoltare equivale a fare una interessante pratica di mindfulness, benefica tanto per noi quanto per le persone che ci stanno accanto.

Esercizi per imparare ad ascoltare

Anche Chad Meng-Tang, l'inventore del corso Search Inside Yourself per lo sviluppo della mindfulness e dell'intelligenza emotiva sul lavoro (e non solo), ha dedicato un certo spazio al tema dell'ascolto.

L'ascolto è un dono che facciamo agli altri: essere davvero presenti per qualcun altro, un familiare, un amico, un collega, significa dare valore a quella persona, lasciarla libera di esprimersi comunicando interesse e piena accettazione.

È anche un dono che facciamo a noi stessi perché ponendoci nella disposizione d'animo di ascoltare facciamo pratica di mindfulness, mettendo da parte il chiacchiericcio della mente e stabilizzando la nostra attenzione su un oggetto fuori da noi.

Infine fa bene al contesto sociale in cui ci troviamo: può sciogliere tensioni, rendere più caldo il clima, avvicinare le persone. Tutte cose di cui spesso c'è un gran bisogno negli ambienti di lavoro. E talvolta anche in famiglia, perché presi come siamo da mille problemi rischiamo di diventare distratti e superficiali proprio con le persone che ci amano, la cui presenza tendiamo a dare per scontata.

L'ascolto però non è facile, se al contrario siamo abituati a interloquire con gli altri più per esprimere noi stessi che per lasciare spazio a loro.

Perché allora non proviamo a esercitarci?

Chad Meng-Tang propone due pratiche.

1) La prima è una pratica formale, cioè un vero e proprio esercizio da fare assieme a un'altra persona per allenarsi all'ascolto.

Funziona a turni. Una persona fa l'oratore e l'altra l'ascoltatore. L'oratore parlerà per tre minuti. Potrà dire per esempio cosa prova in questo momento, cosa è successo durante la giornata, se ha qualcosa di particolare in testa di cui vuole parlare. Se non riesce a parlare per tutti e tre i minuti, potrà anche passare alcuni istanti in silenzio. Se e quando vorrà parlare, l'altro sarà comunque pronto ad ascoltare.
L'ascoltatore dovrà appunto ascoltare attentamente per 3 minuti. Non può fare domande. Può solo eventualmente dire cose come Vedo, Capisco, o mostrare partecipazione con cenni del capo (senza esagerare però, non deve diventare una cosa troppo artificiale).

Dopo i primi tre minuti ci si scambiano i ruoli: chi prima ha parlato, ora ascolta.

Infine, Chade-Meng Tang consiglia di prendersi altri tre minuti per scambiarsi le opinioni sull'esperienza appena vissuta sia di ascoltatore che ascoltato.

2) Un secondo esercizio che possiamo fare è la pratica informale di ascolto.

Quando un amico, un collega, un familiare ci sta parlando, ricordiamoci di dedicare a questa persona tutta la nostra attenzione. Ricordiamo a noi stessi che in questo momento abbiamo stabilito di lasciare all'altro tutto lo spazio di cui ha bisogno. Mettiamo quindi da parte i nostri pensieri, le preoccupazioni, e le nostre idee su quello che l'altro ci sta dicendo. Cerchiamo di controllare l'impulso a rispondere, a dire la nostra, o a influenzare l'altra persona con il nostro giudizio. Lasciamo che il nostro corpo e l'espressione del viso esprimano apertura e trasmettano all'altra persona la nostra più completa attenzione e apertura.

Ovviamente non è detto che dobbiamo sempre ascoltare tutti in questo modo. Abbiamo il sacrosanto diritto di essere indisponibili all'ascolto. Ma quando decidiamo di ascoltare, allora tanto vale farlo così, con pienezza e apertura.

Il regalo più prezioso che possiamo offrire al prossimo è la nostra presenza. Quando la consapevolezza abbraccia coloro che amiamo, essi sbocceranno come fiori. - [Thich Nhat Hanh]

Fai una prova

Io personalmente non ho mai sperimentato l'esercizio di ascolto formale proposto da Ched-Meng Tan. Però ho provato spesso a dispormi consapevolmente all'ascolto. A volte ci riesco, a volte meno, ma ho comunque imparato sempre tanto da questa pratica.

A volte mi sono stupita nell'osservare che per stabilire un vero contatto, bisogna passare dal silenzio.

Senza tante altre parole per concludere questo articolo, mi sento di suggerire questo: prova.

Prova con tuo marito o con tua moglie, o con tuo figlio, con un amico o un collega sul lavoro, magari proprio quello che ti sta un pochetto antipatico. Bastano pochi minuti eh, niente di impossibile da fare anche nelle giornate più piene.

Fai questo tentativo di ascolto, e poi racconta nei commenti come è andata e se hai visto accadere anche tu qualche piccolo miracolo.

Fammi sapere :)

P.S. Ti lascio anche il Ted Talk di Jeffrey Brown