Non canto perché sono felice, sono felice perché canto - William James -
Sai cos'è l'Haka?
Io confesso che non ne avevo idea fino all'anno scorso, quando mi è capitato di vedere su internet un video piuttosto bizzarro girato durante un matrimonio. Si vede un gruppo di ospiti che esegue una specie di danza con movenze decisamente strane: gonfiano il petto, strabuzzano gli occhi, urlano frasi incomprensibili, si battono le mani sul petto e sulle cosce. Quando l'ho visto per la prima volta non avevo idea di cosa fosse, ma mi ha fatto venire le lacrime agli occhi.
L'Haka è la danza tradizionale dei Maori, il popolo originario della Nuova Zelanda. Un sacco di gente (a differenza di me) sa di cosa si tratta, anche perché la squadra di rugby neozelandese (gli All Blacks) la esegue sul campo prima delle partite.
È una danza molto potente. I gesti sono ritmati ma lenti. Il corpo sembra espandersi e al contempo radicarsi a terra. Può avere un significato intimidatorio - è anche una danza di guerra - ma non solo. È espressione di grande emozione e rispetto. Per esempio può essere eseguita durante un funerale, per onorare il defunto (o durante un matrimonio, appunto), o in altre situazioni per esprimere forti sentimenti che siano di gioia o di dolore.
È un fatto che tendiamo a esprimere le nostre emozioni attraverso il corpo. Ci sono gesti che hanno un valore universale: il loro significato è lo stesso in ogni tempo e in ogni cultura. Per esempio il tipico gesto di esultanza di un atleta che ha appena vinto una competizione: mento alzato, spalle indietro, braccia in alto a forma di V, petto gonfio. È questa la posizione che tendiamo ad assumere quando ci sentiamo potenti: segnala trionfo, vittoria, fierezza.
Che il nostro corpo abbia una sua capacità comunicativa è accertato. I nostri pensieri e le nostre emozioni trapelano dal linguaggio del corpo, a volte anche indipendentemente dalla nostra volontà: il corpo può dire molto di più di quello che diciamo a voce, a volte può persino contraddire le nostre parole.
Il senso comune ci dice qual è la direzione di questo processo: prima viene l'emozione, poi la sua espressione. Se sono soddisfatto, sicuro di me, felice, allora tendo ad avere una postura dritta, aperta, fiera. Se mi sento giù, triste o intimidito, al contrario mi chiudo, guardo per terra, abbasso il capo, incrocio le braccia.
Insomma sappiamo che pensieri e sentimenti danno forma al linguaggio del corpo. Ma... e se fosse vero anche il contrario? Può una certa postura, un gesto, un movimento, influenzare il modo in cui ci sentiamo? Se quando mi sento un vincente alzo le braccia al cielo, è possibile che alzare le braccia al cielo mi faccia sentire un vincente?
Quando gli All Blacks eseguono la loro danza prima di una partita che effetto ottengono? A chi dimostrano la loro potenza? Agli avversari o a se stessi?
Una strada a doppio senso
Amy Cuddy è una psicologa sociale che insegna a Boston, alla Harvard Business School. Nel 2012 ha tenuto un TED Talk che in cinque anni è stato visto quasi 40 milioni di volte, classificandosi secondo tra i più visti in assoluto. Un successo strepitoso.
In questa conferenza, Amy Cuddy parla dei suoi studi sulle posture di forza, cioè posizioni del corpo che esprimono potere, sicurezza, vittoria. Il nocciolo della sua tesi è questo: è vero che il nostro stato d'animo influenza il linguaggio del corpo. Ma è vero anche il contrario: la posizione che assume il nostro corpo ha influenza sul modo in cui ci sentiamo.
Non c'è una via a senso unico che va dalla mente al corpo. La strada è a due sensi: funziona anche dal corpo alla mente.
Amy Cuddy non è di certo la prima a ipotizzare qualcosa del genere. William James, che è stato uno dei padri fondatori della psicologia americana, sosteneva, già alla fine del 1800, che le nostre emozioni nascono prima nel corpo, e poi si manifestano alla nostra coscienza sotto forma di emozioni. Sulla base del senso comune noi crediamo che se incontriamo un orso, ci spaventiamo, e di conseguenza scappiamo. Ma potrebbe anche essere vero il contrario: è il fatto che stiamo scappando a farci provare l'emozione della paura.
Anche se le moderne neuroscienze non hanno confermato del tutto questa ipotesi, è certo comunque che esista un sistema di feedback dal corpo verso il cervello.
In un classico esperimento degli anni ottanta, a un gruppo di persone è stato chiesto (senza spiegarne il motivo) di tenere in bocca una penna in una posizione che forzava l'utilizzo dei muscoli associati al sorriso. A un altro gruppo è stato chiesto di tenere in bocca la penna con una modalità che al contrario inibiva i muscoli del sorriso.
Poi, a entrambi i gruppi è stato dato da leggere un fumetto. È risultato che quelli del primo gruppo - cioè quelli che avevano tenuto in bocca la penna in modo da sorridere - avevano trovato il fumetto molto più divertente delle persone del secondo gruppo.
Mento in alto e mani sui fianchi
Stimolata da questo filone di studi, Amy Cuddy si è impegnata a cercare di capire se, oltre al viso, anche il resto del corpo ha questa capacità di feedback. Al centro dei suoi studi ha messo la percezione del potere personale.
Quando sentiamo di essere a nostro agio, fiduciosi e vincenti, il nostro corpo tende ad assumere delle posture espansive: ci allarghiamo, occupiamo più spazio. Raddrizziamo la schiena, espandiamo la cassa toracica, allunghiamo il collo, gettiamo le braccia in aria in segno di vittoria. Al contrario, quando siamo un po' spaventati, titubanti, insicuri, il nostro corpo tende a chiudersi: incassiamo il collo nelle spalle, ci facciamo più piccoli, curviamo la schiena, teniamo lo sguardo basso.
Come racconta nel libro Il potere emotivo dei gesti, Amy Cuddy e il suo gruppo di ricercatori si sono domandati che cosa succede se decidiamo consapevolmente di assumere delle posture espansive (che lei ha chiamato posture di forza) anche quando in realtà ci sentiamo abbattuti e impotenti.
Visto che apriamo spontaneamente il corpo quando proviamo un senso di potere, è vero anche l'inverso? Ci sentiamo potenti quando espandiamo il corpo?
Per verificare questa ipotesi, Amy Cuddy ha pensato di verificare se assumere posizioni di forza, o al contrario di impotenza, andasse a influenzare la presenza nel nostro corpo di due ormoni: il testosterone e il cortisolo.
Perché testosterone e cortisolo? Perché alti livelli di testosterone, sia negli uomini che nelle donne, sono correlati a sensazioni di fiducia e di potere. Al contrario, alti livelli di cortisolo, sono presenti quando c'è ansia, insicurezza, stress. Quindi, quando i nostri livelli di testosterone sono alti, e il cortisolo è basso, ci sentiamo potenti, a nostro agio, padroni della situazione. Al contrario, quando siamo stressati, impauriti e sfiduciati, molto probabilmente i nostri livelli di testosterone sono bassi, mentre il cortisolo è alto.
L'esperimento condotto dal gruppo di Amy Cuddy su un piccolo campione di 42 persone ha funzionato. I ricercatori hanno dimostrato che se le persone assumono una posizione di forza per qualche minuto, aumenta il testosterone e diminuisce il cortisolo. Al contrario, se assumono posizioni di impotenza - posizioni chiuse, con le spalle curve e il corpo che tende a ripiegarsi su se stesso - il testosterone diminuisce e il cortisolo aumenta.
Inoltre, chi assume posizioni di forza si sente più sicuro di sé, ed è anche più propenso ad correre dei rischi. Tutto il contrario per chi assumeva le posizioni di impotenza.
Secondo questi risultati, possiamo utilizzare le posture di forza per aiutarci a sentirci più fiduciosi e meno in ansia. Per esempio, prima di un esame, di un colloquio di lavoro, di una giornata difficile in ufficio, potremmo prenderci qualche minuto, al riparo da occhi indiscreti, per prendere la posizione di Wonder Woman sperando che questo ci aiuti a sentirci più rilassati e a nostro agio in quello che andremo ad affrontare.
Inoltre, potremmo ricordarci nel corso della giornata, di fare caso alla posizione del nostro corpo e di cambiarla se ci accorgiamo di essere curvi, chiusi, rannicchiati. Si possono assumere pose espansive più morbide (e socialmente meno dirompenti) semplicemente ricordando di raddrizzare la schiena, allargare le spalle, allungare il collo.
Attenzione comunque a non fraintendere il senso delle posture di forza. Si potrebbe infatti pensare che sia utile assumere queste posizioni in pubblico, per mostrare agli altri sicurezza e cercare di assumere una posizione dominante. Ecco... no. Amy Cuddy lo dice molto chiaramente: le posture di forza vanno usate prima. Adottarle durante le interazioni sociali potrebbe mettere fortemente a disagio le altre persone e avere delle ripercussioni negative. Insomma, se dobbiamo sostenere un colloquio di lavoro, piazzarci a gambe larghe con le mani sui fianchi davanti al nostro interlocutore decisamente non è una buona idea.
Ma sarà proprio vero?
Amy Cuddy ha ricevuto migliaia di lettere di ringraziamento da parte di persone che hanno testimoniato di essere state aiutate dai suoi studi. Le sue posizioni di forza sono diventate molto popolari, grazie anche al fatto che il tutto appariva scientificamente fondato.
Infatti, non solo le persone riferivano di sentirsi più sicure di sé, ma c'era anche un riscontro oggettivo: i cambiamenti nei livelli di testosterone e cortisolo.
Però la scienza ha le sue regole, e una di queste regole dice che un risultato scientifico, per essere veramente tale, deve essere replicabile.
È successo però che quando altri scienziati hanno provato a ripetere lo stesso esperimento su un campione più numeroso di persone, non hanno ottenuto gli stessi risultati. Secondo lo studio guidato da Eva Ranehill dell'Università di Zurigo, assumere le posizioni di forza produce solo un effetto soggettivo: è vero che le persone sentono di avere più fiducia e potere personale, ma a questa sensazione non corrisponde nessun cambiamento oggettivo dei livelli ormonali. Non è vero, secondo questo studio, che le posizioni di forza fanno aumentare il testosterone e diminuire il cortisolo.
Questo ha ovviamente suscitato una controversia e la fondatezza scientifica dell'effetto positivo della posture di forza ne è uscita un po' indebolita, anche se il dibattito è tutt'altro che esaurito. Se ti interessa, puoi leggere la risposta di Amy Cuddy alle critiche.
Fare pratica
La comunicazione tra mente e corpo è una strada a doppio senso. È vero che pensieri e stati d'animo hanno un riflesso sul corpo, ma è vero anche il contrario: il corpo parla alla nostra mente.
Non ci sono però ancora chiare tutte le implicazioni di questo rapporto, che è complesso e affascinante.
Per esempio: è vero, come si è detto, che diversi studi hanno dimostrato che se chiedi alle persone di tenere una matita tra le labbra in modo da contrarre i muscoli in un sorriso, poi le persone si sentono più felici. Come se il fatto di avere sorriso comunichi al cervello: ehi, stiamo sorridendo, vuol dire che siamo felici.
Però, è vero anche che altri studi hanno evidenziato che obbligare le persone a sorridere per lungo tempo, simulando una emozione che non provano, produce al contrario effetti decisamente negativi sull'umore.
Come si spiegano allora questi risultati contraddittori?
Christian Ankowitsch, autore del libro Perché Einstein non portava i calzini, in cui sono raccontati molti studi sul rapporto tra mente e corpo, sostiene che tutti questi interventi corporei hanno senso e possono funzionare solo se si reggono su una immagine interna positiva e su una decisione volontaria.
Per dirla in altri termini: obbligarci a sorridere, non farà svaporare all'istante il nostro umore nero. Se però diciamo a noi stessi: malgrado l'umore nero voglio provare ad andare incontro alla mia giornata cercando di sorridere al prossimo, allora la nostra strategia avrà maggiori possibilità di successo.
Che conclusioni si possono trarre a questo punto?
Disporre il nostro corpo come se stesse provando emozioni positive molto probabilmente ci aiuta a suscitare davvero queste emozioni. Se mi sforzo di assumere una postura eretta, di camminare in modo rilassato guardando dritto davanti a me, di sorridere spesso, di stare seduta occupando per bene lo spazio, probabilmente mi sentirò meglio. Tutti questi gesti possono avere un effetto positivo, a patto che non siano eseguiti in modo forzato. Vanno in qualche modo allineati con i nostri pensieri: dobbiamo trovare una ragione per farlo.
Non siamo macchine che basta spingere il tasto giusto e ci accendiamo. La cosa è senza dubbio più sottile e articolata di così.
Ancora Christian Ankowitsch, che lo spiega benissimo:
Non esiste un elenco di "interventi fisici" dove si dica che cosa bisogna fare concretamente per raggiungere un certo risultato, e mai ci sarà. Noi uomini siamo una magnifica combinazione di schemi fissi ed eccezioni alla regola: ci sono situazioni nelle quali funzioniamo come gli altri e altre in cui ci differenziamo dalla massa. La nostra vita oscilla fra questi due poli. Per questo può accadere che la maggior parte di noi stia meglio quando ride senza motivo, ma che ci sia qualcuno per il quale questo trucco non funziona. (...) Il prossimo passo sarà provare di persona, sperimentando i vostri movimenti: con la pratica capirete subito quali sentimenti suscitano in voi determinate posture.
C'è di bello appunto che il corpo è nostro, e quindi nessuno ci impedisce di sperimentare.
Possiamo provare le posizioni di forza di Amy Cuddy, ricordarci di stare dritti davanti al computer, sorridere senza motivo davanti allo specchio, saltare sul letto, camminare, esultare senza ragione... e poi verificare che effetto ci fa ;)