Oggi ho messo in ordine le mie paure. Se ne stavano lì tutte intrecciate, aggrovigliate tra loro in una matassa che stava cominciando a indurirsi. Allora ho capito che dovevo prendermi cura di loro, sciogliere qualche nodo, usare l'ammorbidente e stenderle al sole.

Alzi la mano chi in questo momento non ha almeno un po' di paura. Penso siano in pochi.

Abbiamo modi diversi di reagire a questa paura: c'è chi si agita, chi vorrebbe stare a letto tutto il giorno, chi si arrabbia, chi vuole stare chiuso in casa e chi proprio non ce la fa.

Mi sono domandata in questi giorni di cosa esattamente ho/abbiamo paura? Del virus, di ammalarci, che si ammalino i nostri cari, di non riuscire a gestire la situazione nel presente, di vedere la nostra quotidianità distrutta, di non sapere quando finirà, del contraccolpo sulle nostre attività lavorative, dell'isolamento. Mi sono accorta che sono paure diverse, presenti nello stesso momento, confuse, appiccicate, mescolate.

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Così ho pensato che fosse importante guardarle una a una queste paure, per sciogliere la matassa e cercare di dare qualche risposta. Per conoscerle, per capire come sono fatte e renderle così più accettabili e maneggevoli. Perché credo che resteranno con noi ancora per diverso tempo, quindi tanto vale farci amicizia in qualche modo.

Ne ho identificate quattro.

1) La paura per la nostra salute

2) La scoperta della vulnerabilità del sistema in cui viviamo

3) La difficoltà ad affrontare un quotidiano diverso

4) La paura del futuro

Provo ad analizzarle e a vedere cosa posso fare per metterle nella giusta prospettiva.

La paura per la salute

Ok, questa è la prima e probabilmente quella più scontata ed evidente: avere paura di prendere questo virus, di ammalarci, che possano ammalarsi i nostri cari, di essere noi stessi, inconsapevolmente, a danneggiare la salute delle persone a cui vogliamo bene.

Cosa possiamo rispondere a questa paura?

Io penso che a questa paura si risponde con la conoscenza. La paura non è sbagliata. È un'emozione con la quale si convive male, però è il nostro salvavita: ci aiuta a percepire i pericoli e a starne lontani. Però deve essere commisurata al reale pericolo.

Troppa paura ci manda in panico e può spingerci a prendere decisioni sbagliate (oltre a farci stare male). Poca paura può portarci a sottovalutare i rischi e a mettere in pericolo noi stessi e gli altri.

L'unico modo che abbiamo per cercare di rendere la nostra paura commisurata al rischio è sapere come stanno le cose, avere le giuste informazioni, quelle attendibili, provate. Sono queste che ci aiutano a scegliere i comportamenti corretti, quelli più giusti per salvaguardare noi stessi e gli altri.

L'informazione e la comunicazione sono elementi chiave in situazioni come queste, ma come facciamo a orientarci in questa giungla? Da chi ci informiamo?

Io vi dico quali sono le mie scelte, in base al tipo diverso di informazioni di cui, credo, abbiamo bisogno.

1) Abbiamo bisogno di informazioni su questa malattia: come si prende, quanto è pericolosa e per chi, quali sono le cose giuste da fare per proteggersi.  Per questo tipo di informazioni ci sono le fonti istituzionali.

C'è il sito dedicato del Ministero della sanità, e quello dell'Istituto superiore di sanità (ci sono anche delle belle infografiche, lì nel menù a destra). In queste pagine si trovano tutte le informazioni di base: cosa sono i coronavirus, cos'è questo nuovo coronavirus, come proteggersi, nonché le risposte alle domande più frequenti e gli aggiornamenti.

Il problema con questi siti è che, diciamolo, le istituzioni a fare comunicazione non sono proprio brave. A volte le informazioni non sono organizzate nel migliore dei modi, il linguaggio spesso è ingessato e non sempre chiarissimo.

Però sono informazioni sicure, scientificamente provate, attendibili. Fidarsi di questo tipo di informazioni e non di altre che circolano in modo incontrollato è fondamentale perché nella nostra mente si formi un quadro il più possibile chiaro della situazione. E più abbiamo informazioni corrette, più siamo in grado di arginare il panico e prendere le decisioni giuste.

Questo non significa che solo le fonti istituzionali stiano dando le informazioni di base corrette. Però è bene, ogni volta che ci troviamo davanti a una informazione su questa malattia, sulla prevenzione, sulle cure, verificare se c'è un riscontro anche nelle fonti ufficiali. Se non c'è... allora antenne dritte e controllare attentamente la fonte in modo da essere sicuri di non essere incappati in una bufala.  

2) Abbiamo anche bisogno di restare aggiornati su quello che succede giorno per giorno, sui provvedimenti presi dalle autorità, sull'andamento dell'epidemia, sulla situazione dei nostri ospedali, sulla situazione internazionale (se ci interessa). Abbiamo bisogno cioè delle notizie. Per questo ci sono i giornali e i telegiornali. Le notizie di certo non mancano, anzi anche qui abbiamo il problema opposto: ce ne sono troppe e a volte si contraddicono.

Per quanto mi riguarda ho cercato di selezionare chi, in questi tempi difficili, sta facendo un giornalismo in modo serio, etico, controllando le notizie ed evitando le sparate sensazionalistiche.

Seguo quindi online la testata IlPost perché offre una informazione non strillata, misurata, verificano le fonti, e si comportano in modo responsabile. Hanno anche una newsletter dedicata proprio agli aggiornamenti sul coronavirus che arriva tutte le sere. È molto ricca di informazioni ed è scritta con un tono molto piacevole e incoraggiante.

Un altro esempio di giornalismo utile e responsabile - più orientato all'approfondimento che non alle news - è Valigia Blu, con una pagina Facebook molto attiva.

Non abbiamo bisogno di infinite fonti di notizie, ne bastano poche e ben selezionate. Queste che ho indicato io ovviamente non sono le uniche valide. È importante comunque fare qualche scelta ed evitare di cadere in confusione per l'eccesso di notizie, commenti, approfondimenti...

3) Possiamo anche sentire il bisogno di una voce più calda e più vicina. Qualcuno che oltre a darci informazioni e aggiornamenti ci aiuti anche a capire come dobbiamo interpretare quello che sentiamo e leggiamo. Qualcuno che sappia rispondere ai nostri dubbi, che sia anche disposto a dialogare. E qui siamo fortunati, perché proprio i social hanno creato questa possibilità dialogo. In queste settimane abbiamo visto diversi esperti mettersi a disposizione per parlare direttamente alle persone, rispondere a dubbi, fare circolare i messaggi più importanti, con attenzione, delicatezza, equilibrio.

Per questo tipo di comunicazione, io sto seguendo Roberta Villa: è una giornalista scientifica, con una laurea in medicina, che si occupa di temi legati alla salute e conosce bene anche gli aspetti sociali e comunicativi della gestione delle situazioni di emergenza come questa. Da anni sta sperimentando un approccio confidenziale alla divulgazione scientifica, e mette a disposizione la sua esperienza in materia in modo davvero molto generosa. Potete seguire le sue storie su Instagram qui --> Roberta Villa.

Ricapitolando: perché ho voluto dedicare tutto questo spazio al tema delle fonti di informazione? Perché, come dicevo prima, il primo strumento per non farsi sopraffare dalla paura è proprio questo: conoscere, sapere, avere accesso alle giuste informazioni perché sono queste ad aiutarci a trovare la giusta misura nella valutazione del rischio.

Vi prego: notizie incontrollate che girano sui social, audio e video di varia provenienza scambiati su WhatsApp, consigli su fantomatici rimedi per rinforzare il sistema immunitario, complotti e insegnamenti divini... lasciate perdere. Non aprite, non leggete, non contribuite a diffonderli. A volte possono sembrare affidabili, o anche ragionevoli, ma possono causare danni. Per esempio possono contribuire a stressarci ancora di più di quanto non siamo già, oppure a farci abbassare il livello di attenzione sulle cose veramente importanti. Via tutto e tenere pulito il flusso di informazioni che arriva fino a noi.

Scoprire che la nostra società è vulnerabile

Uno dei miei libri preferiti è Cecità, di José Saramago, un libro che in tanti stanno scoprendo, o riscoprendo, proprio in questi giorni - al momento è al quarto posto nella classifica dei libri più venduti su Amazon - perché parla proprio del diffondersi di una epidemia. Una epidemia particolare però, perché non è esattamente una malattia a diffondersi, ma la cecità: improvvisamente diventano tutti (quasi tutti) ciechi. Alla fine del romanzo, il protagonista dice questa frase:

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.

Che cosa intendesse dire di preciso Saramago con questa frase non lo so, ma a me fa pensare a tante cose che non vediamo e che non vogliamo vedere su come funziona il nostro mondo oggi.

La seconda guerra mondiale è finita nel 1945. Sono passati settantacinque anni durante i quali non si è verificata nessuna crisi capace di mettere in discussione la quotidianità di tutto il nostro paese. Certo, abbiamo avuto il terrorismo negli anni sessanta e settanta, la crisi petrolifera, ci sono stati terremoti, valanghe, alluvioni che hanno colpito forte a livello locale, ma niente che abbia così radicalmente cambiato la vita di così tante persone come sta accadendo adesso.

In questi settantacinque anni abbiamo cominciato a costruire una società sicura e piano piano, generazione dopo generazione, ci siamo convinti che questa sia la normalità.

E abbiamo smesso di domandarci questa normalità da cosa dipende. Abbiamo negozi pieni di merce, dottori e ospedali che si prendono cura di noi quando stiamo male, autobus, treni e aerei, acqua, corrente elettrica e riscaldamento in tutte le case, istruzione, intrattenimento, tecnologia. Quello che non siamo in grado di vedere è il livello di interconnessione tra persone (e tra paesi) che abbiamo raggiunto e che è necessario perché tutto questo funzioni. Noi non funzioniamo da soli. Siamo sempre molto preoccupati per noi stessi, al massimo per la nostra famiglia, e abbiamo smesso di puntare i riflettori sui legami di interdipendenza.

Siamo necessari gli uni agli altri, oggi ancora più di ieri. In passato, un piccolo villaggio in cui si produceva cibo tramite agricoltura e allevamento, con qualche artigiano e qualche commerciante di materie prime, poteva vivere in modo autosufficiente e senza interessarsi di cosa accadeva a cinquanta chilometri di distanza. Adesso non è più così. Adesso è tutto globale, collegato. Le nostre città, le nostre economie, la politica, la finanza, sono sistemi complessi dove tutto è interconnesso. Ma stranamente non lo vediamo più. Il contadino vedeva bene quanto la sua vita dipendeva dal fabbro che gli faceva l'aratro o dal sarto che gli cuciva i vestiti. Adesso siamo molto più dipendenti dal resto del mondo di quanto non fossimo prima, ma lo siamo in un modo poco visibile, meno immediato, e non lo vediamo.

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Finché così, di punto in bianco, scopriamo che questa vita così tranquilla, che ci ha consentito di concentrarci così tanto su noi stessi, non era per niente scontata. Che un piccolo evento come un virus che fa un salto di specie dall'altra parte del pianeta, può arrivare ad avere conseguenze enormi in tutto il mondo.

Il motivo principale per cui oggi siamo tutti chiusi in casa, non è per proteggere noi stessi dal virus, che sì, in diversi casi è pericoloso, ma nella maggior parte dei casi si manifesta con sintomi lievi. Il motivo per cui siamo tutti chiusi in casa è che un virus nuovo - rispetto al quale nessuno ha gli anticorpi - si diffonde molto velocemente. Anche se i casi gravi, che necessitano di cure, fossero una percentuale bassissima, se ci ammaliamo tutti assieme il nostro sistema sanitario collassa e non è più in grado di curare nessuno da nessuna malattia.

E questo ci dice, ancora una volta, che siamo interconnessi, che i nostri comportamenti individuali (stare a casa, lavarci spesso le mani, mantenere le distanze) hanno un impatto collettivo ed è proprio quello che facciamo come singoli individui a essere determinante per il futuro.

L'interconnessione è la nostra forza e allo stesso tempo la nostra debolezza.

Scoprirci così vulnerabili può fare paura, a me ne ha messa tanta. Mi spaventa vedere i luoghi a me familiari così trasformati: le strade del mio quartiere deserte, i negozi chiusi, la fila distanziati alle casse del supermercato, le mascherine, gli altoparlanti che ripetono le regole di comportamento. Esattamente come in un film.

Cosa posso rispondere a questa paura? Io provo ad aprire gli occhi, a non essere più cieca. Vedere con più chiarezza quella rete fittissima di legami e connessioni che consente alle nostre vite di essere quello che sono, e non dare più niente per scontato.

E sarebbe bello se questo insegnamento venisse davvero interiorizzato e compreso. In realtà, quello che sta accadendo e che ci ha colto tutti così di sorpresa, non era affatto imprevedibile. Gli scienziati lo sanno da tempo che le epidemie sono eventi ciclici (qui c'è un articolo che lo spiega). Perché allora facciamo finta di niente invece di prepararci? Stiamo facendo esattamente la stessa cosa con i cambiamenti climatici. Siamo proprio sicuri che dobbiamo andare a fracassarci contro un muro pur di non rallentare?

Allora, alla paura di scoprire quanto sia sottile, fragile e inconsistente la nostra normalità, rispondiamo con una maggiore consapevolezza. Vediamola questa vulnerabilità e smettiamo di sentirci invincibili, che non lo siamo affatto.

Il quotidiano che non c'è più

Nel frattempo - mentre forse maturiamo qualche consapevolezza in più sul modo in cui funziona la società in cui viviamo - ci troviamo tra le mani una quotidianità nuova, che non sappiamo esattamente come gestire. Le scuole sono chiuse e i figli sono a casa tutto il giorno. Moltissimi stanno lavorando da casa, e questo non è affatto scontato che sia facile o piacevole. Niente cinema, teatro, aperitivi e cene fuori, partite a calcetto, pranzi con i parenti.

Il tempo si dilata, ma allo stesso tempo si restringe se lasciamo troppo spazio al rimuginare.

Le abitudini hanno una loro forza, trovarci d'un tratto privi delle nostre routine non può non lasciarci un po' disorientati, quanto meno.

Internet ci aiuta a passare il tempo e a ridurre il senso di isolamento. Abbiamo strumenti per parlare con le altre persone, per confrontare le nostre opinioni, ma anche per guardare film, leggere libri, giocare, fare corsi di formazione. Da questo punto di vista siamo molto fortunati tutto sommato, anche solo dieci anni fa la nostra vita in isolamento sarebbe stata meno comoda.

In questi giorni si sono moltiplicate le iniziative online: conferenze, dirette, tutorial, corsi. Da più parti ho visto l'appello a cercare di utilizzare in modo costruttivo questo tempo. E ok, non mi pare che sia affatto un cattivo consiglio, ma credo che anche qui occorra un po' di attenzione.

Fare qualcosa di costruttivo in questo tempo sospeso è senz'altro una buona idea, ma nello stesso tempo può essere difficile: e quindi evitiamo di sentirci in colpa se non ci riusciamo. Questa non è una situazione normale. È una situazione di stress enorme, alla quale nessuno di noi (o quasi nessuno) è preparato. Ed è fisiologico che il nostro corpo e la nostra mente reagiscano con modalità che ci appaiono strane: possiamo sentirci molto irrequieti o al contrario sonnolenti e apatici, possiamo accorgerci che le nostre capacità di concentrazione sono completamente azzerate. Forse ci passa la voglia di lavarci, di vestirci, di tenerci in ordine. Può essere che una parte di noi rifiuti queste restrizioni e ci venga voglia di uscire ugualmente. Può essere che ci venga voglia di comprare una scorta di carta igienica perché non si sa mai...

Tutto questo va capito e accettato, e non zittito con banali inviti a vedere il lato positivo della situazione e a darci comunque da fare. Forse per qualche giorno potresti non riuscire a fare niente, ed è normale che sia così.

Questo non è di certo un invito a lasciarsi andare, ma solo ad accettare quello che si muove dentro di noi, a capire che paura, disorientamento e ansia - se questo è quello che stiamo provando - vanno bene e non abbiamo bisogno di scacciarle via.

Online ci sono molte iniziative di psicologi che con articoli, video e dirette stanno cercando di dare una mano alla nostra quotidianità sottosopra e allo stress che inevitabilmente stiamo provando.

Anche qui, non abbiamo bisogno di mille articoli e mille esperti diversi. Io personalmente trovo molto rassicuranti e intelligenti gli interventi di Nicoletta Cinotti, che con articoli sul suo blog e video e dirette sulla sua pagina Facebook, propone riflessioni e pratiche sempre molto calibrate e rasserenanti.

Tra tutti i contenuti che ha prodotto in questi giorni ne voglio inserire uno direttamente in questo articolo. È un video nel quale consiglia tre strategie per affrontare lo stress di questa situazione. Una di queste riguarda il bisogno di esprimerci (che forse non viene sempre tenuto nella giusta considerazione) senza però rischiare di diffondere il contagio dell'ansia alle persone che ci stanno vicino o attraverso i social. Come? Scrivendo, un quarto d'ora ogni giorno (nel video sono i dettagli per fare questa pratica nel migliore del modi).

L'incertezza per il futuro

Questa credo sia la paura più difficile di tutte. Abbiamo un sacco di domande senza risposte. Quando finirà tutto questo? Quando torneremo liberi di uscire e di riprendere le nostre vite? E come ne usciremo? Le difficoltà economiche che moltissime persone stanno attraversando come si risolveranno? Se anche riuscissimo a controllare l'epidemia nel nostro paese, cosa succede con un virus che è pandemico? Ci sarà un vaccino? Quando? Il virus circolerà meno in estate forse? E se poi riprenderà con l'autunno?

Qui è dove la paura si trasforma in ansia. La certezza, sia pure complicata, del momento presente, lascia il posto all'incertezza per il futuro. E qui non possiamo fare altro che arrenderci. Le risposte alle nostre domande al momento non le ha nessuno.

In realtà, l'incertezza fa sempre parte della nostra vita, ma la normalità in qualche modo la tiene celata.

Come possiamo rispondere alla paura per il futuro?

Sinceramente non lo so, e non ho trovato in giro molti suggerimenti al riguardo. Credo che possiamo prendere consapevolezza di questa incertezza, guardarla, accettare che i nostri orizzonti di vita sono cambiati e poi cercare di radicarci quanto più possibile nel presente.

Un presente in cui ricreare nuove abitudini, prenderci cura di noi stessi, portare attenzione ai gesti più semplici come pulire la casa, fare una doccia, preparare un pasto. Insomma stare qui, il più possibile, con quello che ci tocca vivere oggi. Accettare che non sappiamo come andrà nel prossimo futuro, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Abbracciare questa incertezza e non lasciarci imbrogliare dagli scenari che costruisce la nostra mente.

Mai come adesso credo il presente sia la nostra vera unica ancora. Oggi è il momento di stare a casa il più possibile, essere responsabili e fare la nostra parte per rallentare la diffusione di questo simpatico virus con la corona intorno. Per ora facciamoci bastare questo. Domani, dopo domani, a poco a poco, sapremo un passo alla volta come muoverci nelle prossime fasi.


Alla fine le ho messe un po' in ordine le mie paure. Dopo averle districate, lavate e asciugate, le ho riposte con cura in un cassetto. Non le ho mandate via, sono ancora tutte lì, ma se non altro ora hanno un'aria meno minacciosa.

P.S. Scusatemi se sono stata lunga, e forse in qualche punto un po' confusa. La verità è che l'ansia per questa situazione mi ha tenuta ostaggio per diversi giorni, e un po' ne sono uscita facendo ordine con questo articolo. Ve lo offro sperando che dentro ci sia qualcosa di utile. A presto!