Se ci chiedessero di indicare dove si trova il nostro cervello credo che avremmo pochi dubbi: si trova nella nostra testa, più precisamente all'interno della scatola cranica. Le cose invece sarebbero forse diverse se ci chiedessero di dire dove si trova la nostra mente: è sempre lì dentro? mente e cervello coincidono? i pensieri da dove nascono? anche loro sono all'interno del nostro cranio?

Una delle metafore che utilizziamo di frequente per rappresentare la nostra mente è quella del computer: consideriamo il nostro cervello come un calcolatore che esegue operazioni molto complesse.

Un'altra metafora è quella del muscolo: diciamo che il cervello è qualcosa di cui possiamo migliorare le prestazioni attraverso l'esercizio.

Queste metafore - che sono comuni e con le quali ci sentiamo a nostro agio - rappresentano la nostra mente come un'entità fisica, con una sua collocazione precisa. Come il computer è racchiuso nel suo case anche la nostra mente è racchiusa nella nostra scatola cranica. Il nostro modo di pensare, la nostra creatività, la nostra intelligenza, dipendono da questa entità, che è singola, separata dal mondo, e che all'occorrenza può essere potenziata, migliorata o modificata tramite l'allenamento e l'apprendimento. Queste metafore ci dicono anche che noi funzioniamo come individui singoli, siamo esseri autonomi, indipendenti, con capacità e potenzialità che sono solo nostre. Secondo questa concezione, per esempio, la mia capacità di risolvere un problema complesso dipenderà esclusivamente dalla mia mente, e non dal mio corpo, né dal posto in cui mi trovo, né dalle persone con cui interagisco.

Ma è veramente così?

Le ricerche più recenti nel campo nelle neuroscienze ci suggeriscono che no, le cose non stanno esattamente così. La nostra mente per produrre pensiero in realtà utilizza un sacco di cose che sono fuori di noi, o quanto meno fuori dal cervello.

Questo filone di studi scientifici, che è molto vario e fecondo, nel complesso sta mettendo assieme un sacco di evidenze sul reale funzionamento della nostra mente, e molte delle cose che via via vengono scoperte potrebbero avere un grande impatto sulla nostra vita. Applicando queste conoscenze infatti possiamo provare a metterci nelle condizioni ottimali per esprimere al meglio la nostra intelligenza, la nostra creatività e la capacità di affrontare e risolvere problemi complessi. Se capiamo meglio come funziona la nostra mente diventiamo anche più capaci di utilizzarne le potenzialità.

Annie Murphy Paul - è giornalista e scrittrice e si occupa di divulgazione scientifica - ha raccolto i risultati più importanti raggiunti dalla ricerca scientifica in questo campo in un volume che si chiama La mente estesa, pensare meglio smettendo di usare solo il cervello.

Era da un po', lo confesso, che un libro non mi metteva così tanto alla prova. Navigare all'interno di queste pagine così dense e tra una mole di ricerche scientifiche così imponente non è stato facile. Anche il linguaggio l'ho trovato faticoso e la scelta di certe parole non sempre felice (ma potrebbe dipendere anche dalla traduzione, non lo so).

Alla fine non credo di avere afferrato proprio tutto, però ho capito molto bene che questo filone di ricerca potrebbe portarci, se ne applicassimo i risultati, a migliorare il modo in cui studiamo e lavoriamo e a modificare le nostre idee (e le nostre metafore) sul funzionamento della mente.

Il nostro cervello - questo Annie Murphy Paul lo ripete in più punti - non si è evoluto per vivere nel modo in cui viviamo adesso: spazi aperti, natura e molto movimento sono le caratteristiche che lo hanno plasmato nel corso dell'evoluzione umana. Il fatto che adesso passiamo così tanto tempo seduti, chiusi dentro delle scatole (grandi e confortevoli ma pur sempre scatole), in ambienti dominati da costruzioni piene di spigoli che svettano verso l'alto, luci e rumori continui, ha un impatto poco felice sul nostro funzionamento: viviamo così da qualche secolo, nulla rispetto alle decine di migliaia di anni in cui siamo stati cacciatori, raccoglitori e abitanti delle savane.

Il cervello gazza

Ma allora se le metafore cervello-macchina o cervello-muscolo non sono le più adatte a spiegare come funzioniamo a cosa possiamo paragonare la nostra mente? Annie Murphy Paul propone a una gazza, sì, la cosiddetta gazza ladra, quella che per fare il nido preleva quello che trova a disposizione nel proprio ambiente, usando una varietà sorprendente di materiali diversi.

I nostri cervelli, si potrebbe dire, sono come le gazze: modellano i loro prodotti finiti a partire dai materiali che hanno a disposizione, intrecciando i frammenti che trovano nei loro pensieri.

Se questo è vero allora dobbiamo cominciare a guardare ai nostri processi mentali in modo diverso.

Intanto dobbiamo capire che:

il pensiero non si compie solo all'interno della scatola cranica, bensì anche al di là dei suoi limiti, ovvero nel mondo: è un'attività che implica un continuo montaggio e rimontaggio, e che attinge anche a risorse esterne al cervello

La seconda considerazione è che

i tipi di materiali disponibili con cui pensare influenzano la natura e la qualità del pensiero che può essere prodotto

E ancora che

la capacità di pensare bene, cioè di dimostrarsi intelligenti, non è una proprietà persistente dell'individuo, bensì uno stato mutevole che dipende dall'accesso a risorse extraneurali e dalla conoscenza in merito a come sia possibile utilizzarle

Normale che tutto questo appaia un po' oscuro e molto astratto. D'altra parte questo libro non è un manuale su come pensare meglio; è invece un poderoso testo divulgativo su quello che le ultime ricerche scientifiche ci raccontano riguardo il funzionamento della nostra mente. Non ha quindi una finalità direttamente pratica. Leggendolo io però ci ho trovato tanti piccoli spunti, ho avuto conferme di cose che sapevo solo per averne avuto la sensazione, e ne ho scoperte di nuove che posso utilizzare nel mio quotidiano per migliorare il modo in cui lavoro, penso, vivo.

Intanto, per cominciare a capirci: quali sono questi materiali extraneurali che il nostro cervello utilizza per pensare?

1) Il corpo, che comprende i segnali che provengono dall'interno del nostro corpo (quella che gli scienziati chiamano interocezione) e anche il movimento. Per esempio ci sono studi che dimostrano che quando il nostro corpo è in movimento, se il tipo di attività fisica che stiamo facendo è a bassa o media intensità, il nostro pensiero diventa più lucido e creativo rispetto a quando siamo fermi.

2) L'ambiente. Tutto quello che ci sta attorno è determinante per la qualità del nostro pensiero. Sappiamo che gli ambienti naturali aiutano a rigenerare le nostre capacità di attenzione e di ragionamento. E anche che gli ambienti artificiali possono influenzare il nostro modo di pensare in positivo o in negativo a seconda di come sono costruiti e organizzati.

3) Le altre persone. I maestri, i nostri pari, la dimensione del gruppo: anche gli altri sono un'estensione della nostra mente e possiamo sfruttare la dimensione sociale per potenziare le nostre capacità di apprendimento e la nostra creatività.

Quindi, in sostanza, noi per pensare non usiamo solo il cervello, ma anche il corpo, lo spazio, e le altre persone.

Sarebbe impossibile riassumere tutta la mole di ricerche presentata nel libro per ognuno di questi tre punti. Mi limiterò a buttare giù, in modo disordinato, alcuni appunti su quello che mi sembra possa avere anche una ricaduta pratica, qualcosa che si può provare a sperimentare e vedere se funziona.

Pensare con le mani e altre strategie da provare

Pare che gesticolare aiuti a pensare. Questo risultato francamente non mi stupisce: io gesticolo spesso e ho sempre avuto la sensazione che mi serva a esprimermi meglio. Tra l'altro gesticolare viene consigliato a chi deve registrare la propria voce, pare che aiuti a leggere in modo più espressivo.

Annie Murphy Paul spiega che gesticolare è (anche) un modo per scaricare le informazioni. Uno dei problemi che ha la nostra mente infatti è di essere troppo piena di informazioni, dati, notizie, a fronte di una capacità limitata di ricordarle e di elaborarle. Quando gesticoliamo in qualche modo è come se affidassimo una parte dei nostri pensieri alle mani e li trattenessimo lì: le mani diventano un'estensione della nostra mente.

Un altro (e più immediato) modo per scaricare le informazioni è scrivere. Taccuini, diari, quaderni per appunti, svolgono un ruolo fondamentale per chi studia, ricerca, ma anche per l'organizzazione del quotidiano. Scrivere significa affidare alla carta informazioni che a quel punto il nostro cervello non ha più bisogno di trattenere e così liberiamo spazio per altre informazioni ed elaborazioni. E qui io non posso fare altro che annuire visto che scrivo sempre tutto e so quanto questo mi aiuti a tenere la mente un po' meno ingolfata. Sarà perché i miei pensieri sono spesso ingombranti e rumorosi, ma lo scarico su carta è qualcosa che pratico da anni a istinto e non ho dubbi che mi faccia bene.

Gesticolare non è solo un modo per scaricare alcuni pensieri, è anche un modo per sottolinearli, per apprenderli meglio, per rappresentarli. In generale usare lo spazio aiuta il pensiero. Quindi sì a movimento, manipolazione degli oggetti, mappe mentali. Utilizzare superfici ampie come porte, pareti, lavagne per rappresentare quello che stiamo facendo nella dimensione spaziale.

Altro punto emerso dalle ricerche: pensare in movimento. Pare che mentre camminiamo, per esempio, la nostra capacità di osservazione di faccia più acuta e lucida.

Nel nostro classico modo di lavorare, sempre seduti a una scrivania cercando di spremere al massimo nostre facoltà di pensiero e di concentrazione lasciamo davvero poco spazio alla sperimentazione di modalità diverse per produrre, apprendere, e creare.

Tradizionalmente tendiamo a fare movimento o attività sportiva alla fine della giornata lavorativa. Ecco, se invece riusciamo a farlo prima di cominciare a lavorare, o anche durante una pausa, potremmo accorgerci dei benefici che il movimento ha sulla creatività e sulla capacità di concentrazione.

Poi c'è il grosso capitolo dedicato agli spazi naturali. Alberi, prati, mare, colline, montagne hanno un effetto sorprendentemente positivo sul cervello, sull'umore, e anche sulle capacità di attenzione. L'ideale è passare più tempo possibile in questi spazi naturali, ma le ricerche dicono che piccoli effetti benefici si ottengono anche con azioni molto piccole, come guardare fuori dalla finestra o tenere sott'occhio delle piante.

L'ambiente in cui ci troviamo quindi influenza molto il modo di lavorare della nostra mente, e di conseguenza la progettazione e l'organizzazione dei nostri spazi di lavoro è molto importante.

Il passato ci consegna due modelli ideali da questo punto di vista: il monastero e lo studiolo rinascimentale.

Lo spazio del monastero è organizzato in modo tale da combinare momenti di socialità e di vita comunitaria con momenti di assoluta solitudine, e pare che le idee migliori nascano proprio da questa alternanza di confronto con gli altri e riflessione solitaria.

Gli studioli posti all'interno dei palazzi rinascimentali rappresentano i primi esempi di spazi privati creati apposta per coltivare il pensiero, la riflessione, la lettura. Sono spazi piccoli, raccolti, c'è una porta che si può chiudere, e sono arredati in modo che il signore del palazzo possa avere sott'occhio i simboli e i valori della sua epoca e del suo status: quadri, libri, decorazioni, mobili intarsiati, oggetti preziosi, armi. In pratica quella che oggi chiameremo vision board.

Quindi non solo uno spazio chiuso e raccolto, ma anche uno spazio personalizzato, che parla di noi, che ci mette sotto gli occhi i nostri valori, i nostri desideri, i nostri simboli.

Gli studi in questo campo dimostrano infatti che lavoriamo meglio quando abbiamo la possibilità di controllare il nostro ambiente. Potere chiudere la porta, tanto per cominciare, ma anche di potere scegliere la disposizione del mobilio e gli oggetti che ci stanno intorno.

Questo mi ha fatto pensare a quanto odiassi la consuetudine di tenere sempre le porte aperte che c'era nel posto in cui lavoravo. La porta del mio ufficio non solo era spalancata, ma chiunque si sentiva in diritto di entrare in qualsiasi momento per i motivi più disparati. Era una cosa che non sopportavo, avevo la sensazione che rendesse le mie giornate molto più stressanti e faticose. Credevo di essere io quella strana, troppo ansiosa, troppo sensibile, e invece era l'ambiente a essere sbagliato. Magari altre persone hanno migliori capacità di adattamento rispetto alle mie, ma è un fatto che la produttività migliori quando si può scegliere di chiudere la porta.

Questa lunghissima carrellata di studi e di scoperte sul funzionamento della nostra mente in relazione al corpo, allo spazio fisico, all'ambiente sociale, ci dice almeno una cosa: che possiamo tentare di trasformare in modo produttivo le circostanze e le abitudini che abbiamo quando facciamo un lavoro di tipo mentale. Come società forse prima o poi impareremo a costruire spazi in cui si pensa meglio, e a cambiare i processi di apprendimento e di lavoro in modo da renderli più congeniali al reale funzionamento della nostra mente. Nel frattempo, per quello che ci è concesso come individui, possiamo cercare di organizzare il nostro tempo, le nostre attività e il nostro spazio in modo che espandano le nostre capacità e la nostra creatività. Di spunti per sperimentare, a partire da questo libro, ce ne sono davvero tanti.

Chiudere la porta, camminare per pensare (ma anche fare lezione camminando), stare nella natura, tenere sott'occhio oggetti significativi, usare mappe mentali e rappresentazioni spaziali, ascoltare i messaggi interni del nostro corpo, fare attività fisica prima di mettersi al lavoro, alternare momenti di lavoro in solitudine con momenti di condivisione... quanti schemi abituali di organizzazione e di comportamento sarebbero da modificare.

Io sono anche convinta di un'altra cosa. Questo il libro non lo dice, ma implicitamente deve essere vero: se assecondiamo i reali bisogni del nostro cervello, mettendolo in condizione di lavorare al meglio, ne trarrà beneficio anche il nostro benessere emotivo. Non credo sia solo un fatto di lavorare meglio, ma anche di stare meglio.