Negli ultimi tempi mi sono capitati spesso davanti annunci pubblicitari di corsi sul cambiamento personale. Cose del tipo: scopri come puoi cambiare davvero, crea un nuovo te stesso, da domani tutto sarà diverso. E addirittura, questa è la più bella di tutte: la vita che stai vivendo è alla tua altezza?

Ho provato un senso di forte fastidio davanti a questi claim che fanno leva su un fenomeno che evidentemente è così diffuso da costituire un vero mercato, e nemmeno tanto piccolo: l'insoddisfazione per come siamo.

Io per molti anni ho creduto veramente che avrei potuto essere felice solo se fossi diventata una persona diversa. Ero ancora al liceo quando sul mio diario ho stilato la lista dei cambiamenti che mi ripromettevo di realizzare entro la fine dell'estate, e sono andata avanti per anni alternando periodi in cui semplicemente vivevo, senza troppe riflessioni o consapevolezza (e mi sentivo spesso scontenta), e altri in cui volevo fortemente cambiare.

Se potessi, oggi tornerei indietro e andrei ad abbracciare quella me di tanti anni fa e le direi: ehi, non devi diventare una persona diversa, vai già bene così come sei.

Cosa non ti piace di te?

Quando volevo fortemente cambiare mettevo in discussione più o meno sempre le stesse cose: volevo essere più ordinata, volevo essere più socievole e meglio accettata dagli altri, volevo smettere di fumare, volevo prendere peso (ero troppo magra), volevo apparire più bella, volevo alzarmi presto al mattino e smettere di arrivare sempre all'ultimo momento.

Non so perché volessi proprio queste cose e non altre: queste erano le mie principali fonti di insoddisfazione. Immagino che ognuno abbia le sue. Guardandomi indietro, posso dire che alcuni di questi cambiamenti li ho fatti, altri invece no.  Ho smesso di fumare, sono in effetti meno disordinata, ho preso qualche chilo e adesso se non altro i vestiti li riempio. Non credo di essere diventata più socievole, ma ho smesso di volere essere accettata da tutti. Più bella non lo sono diventata, lì di solito gli anni che avanzano non aiutano ;)
E anche per quanto riguarda gli orari: non sono diventata mattiniera, ma ho acquisito consapevolezza della mia natura di nigth owl e, adesso che posso, cerco di darmi dei ritmi che assecondino il mio cronotipo.

La cosa buffa però è che mi sento più o meno come mi sentivo prima. Certo sono soddisfatta di certi cambiamenti, anche perché ci ho lavorato tanto, ma io sono sempre io, non mi sento di essere una nuova me. Tantomeno mi sento perfetta o finalmente a posto.

L'altra cosa buffa è che se penso a come sono avvenuti questi cambiamenti, mi rendo conto che le cose non vanno mai, o quasi mai, come avevamo immaginato.

Per smettere di fumare per esempio ci ho messo quasi otto anni, un fallimento dopo l'altro, e la volta che ci sono riuscita... be'... è successo in modo strano: non volevo affatto smettere di fumare in quel momento, avevo tutt'altri pensieri per la testa.

Per quanto riguarda la mia socialità e il desiderio di essere accettata sono cambiata in una direzione completamente diversa: non sono diventata più brava a farmi accettare dagli altri, ho solo smesso di pensare che gli altri siano sempre meglio di me e ho cominciato a capire che c'è un motivo se a qualcuno non piaccio, e va bene così. Ho spostato l'asse dal desiderio di sentirmi accettata da tutti al sentirmi amata dalle persone a cui voglio bene.

Oggi curo il mio aspetto di più di quanto non lo facessi anni fa, ma sono più vecchia e quindi di certo non sono diventata più bella. Però quando guardo le fotografie di quando ero più giovane mi dico sempre: ma in fondo eri anche carina, perché non ti piacevi?

Un'altra cosa che ho capito è che tutti questi cambiamenti e risultati che vogliamo ottenere non hanno niente (o quasi niente) a che vedere con la felicità. È questa la cosa più deleteria di tutta questa industria dell'insoddisfazione: ti fa credere che sarai felice quando avrai ottenuto questo o quest'altro risultato, ma non è mai vero, la felicità è una cosa diversa, è strana, è sfuggente, e non dipende minimamente dal fatto che ci sforziamo di essere migliori o diversi da come siamo.

Ma allora?

Ma allora... il cambiamento, il miglioramento, la crescita personale... buttiamo tutto alle ortiche? Insomma devo diventare una persona passiva che si accetta con tutti i suoi difetti e le sue mancanze senza cercare mai di migliorare? E accettarci per come siamo, non è che poi diventa un alibi per continuare nelle nostre cattive abitudini e magari a farci del male, o a farlo alle persone che abbiamo attorno?

Questo dilemma me lo pongo da molti anni: dove sta il discrimine? Dove comincia il desiderio di cambiamento sano, positivo, che porta benessere, e dove invece sconfiniamo nel cambiamento come forma di auto-aggressione?

Già tempo fa avevo scritto un articolo che ruotava attorno a questo snodo. Le risposte che mi sono data allora, le considero tutt'ora valide, ma ho aggiunto un'idea in più.

L'idea è questa: parti da dove sei.

Parti da dove sei funziona perché tiene assieme il movimento (il cambiamento) con l'accettazione. E si adatta a tante situazioni. Significa come prima cosa accettare il nostro punto di partenza. Se ho più di cinquant'anni e non ho mai fatto sport in vita mia, difficile che io possa pensare di uscire e farmi una bella corsetta di mezz'ora. È più probabile che io riesca a fare una camminata veloce, magari inserendo qualche tratto di corsa di tanto in tanto. E va bene così. Se invece provo a bruciare le tappe, o se pretendo che le mie prestazioni siano quelle di una persona allenata, faccio solo un pasticcio. Capire dove sono e apprezzare il percorso è la chiave.

Parti da dove sei a me torna utile in tutte le giornate che partono con il piede sbagliato. Perché si affaccia l'ansia con i suoi sintomi antipatici, per esempio, oppure, come oggi, perché siamo in maggio e qui piove e fa freddo e sembra tutto triste e inadeguato, o perché ho dormito male, o ancora perché mi aspetta una qualche incombenza antipatica. Vuol dire che sono giornate così, che le accetto per come sono, che il mio punto di partenza oggi è questo e che la giornata sarà in salita, accetto di andare più piano e di portarmi dietro un po' di fastidio, senza rinunciare però a provare a fare qualcosa che migliori la situazione.

Parti da dove sei secondo me funziona benissimo per chi affronta un momento di ricaduta con l'ansia. In questi casi è un attimo lasciarsi prendere dalla frustrazione e dal disappunto, pensare di avere sbagliato tutto, di essere tornati indietro. Anche lì, un respiro profondo e parti da dove sei. Non si può fare altro, inutile recriminare e arrabbiarsi perché vorremmo essere altrove.

Funziona bene anche per i nostri progetti. È facile guardare chi sta più avanti di noi, chi ha tagliato quei traguardi che anche noi desideriamo raggiungere, nella vita e nel lavoro. Se non impariamo a partire da dove siamo, e anche, aggiungo, ad amare un po' dove siamo, non abbiamo molte possibilità di realizzare qualcosa. Staremo sempre lì a guardare gli altri, a desiderare di potere bruciare tutte le tappe, quando invece l'unica cosa sensata da fare è mettere un passo dietro l'altro, al nostro ritmo.

Ho sempre in mente un'idea che ho trovato nel libro di Pema Chodron Senza via di scampo . Lei è una monaca buddhista, parla dalla prospettiva della meditazione e della radicale accettazione di sé (che però si coniuga con una grande disciplina, anche se questo aspetto, quando si tratta di questi temi, tende a non essere tanto messo in evidenza). Dalla sua prospettiva lei scrive senza mezzi termini che il desiderio di cambiare è una forma di aggressione verso se stessi. E poi aggiunge

I nostri conflitti psicologici, purtroppo o per fortuna, contengono la nostra ricchezza. Le nostre nevrosi e la nostra saggezza sono costituite dallo stesso materiale. Se buttiamo via le nevrosi, buttiamo anche la saggezza.

Nevrosi è una parola che ormai non si usa quasi più, viene dalla psicoanalisi freudiana, ma credo che si capisca il concetto.

Io personalmente me ne sto alla larga da tutti questi specchietti per allodole: il corpo perfetto, la routine perfetta, il cambiamento come dovere imposto e necessario. Parti da dove sei è la mia risposta a tutto questo. Non vuol dire restare dove siamo se non ci piace, ma accettare sempre il nostro punto di partenza. Amare il punto zero e amare il percorso. I risultati poi verranno da sé.