Confesso: la prima volta che mi è capitato di sentir parlare di gratitudine come elemento chiave per il benessere personale, non ho capito.
L'immagine che la parola gratitudine evocava in me era quella di un padre burbero, o forse addirittura di un prete, che con fare minaccioso puntava il dito contro un bambino e tuonava: dovresti essere grato!
Ma perché? E soprattutto: a chi? Perché, diciamocelo, basta guardarsi attorno: la crisi economica, le malattie, la disoccupazione, la gente incattivita, senza parlare di guerre e terrorismo... ma grati de che?
Quel poco che abbiamo, tra l'altro, ce lo siamo guadagnato, ci facciamo un mazzo così tutti i giorni, tra lavoro, famiglia, casa, cercando di portarci a casa qualche soddisfazione. Abbiamo coltivato la disciplina, la forza di volontà, la capacità di stare concentrati, le buone abitudini... se tutto questo ci ha portato ad avere giusto un pizzico di successo in qualcosa, il merito è nostro, no?
Ma sì, nessuno lo vuole negare. Viviamo in una cultura che tende a enfatizzare l'individuo, nel bene e nel male. Se stai male deve essere, almeno un po', anche colpa tua; se stai bene devi essertelo guadagnato in qualche modo. In genere non siamo molto abituati a riflettere sul valore delle connessioni con le altre persone.
La psicologia della gratitudine
La psicologia ha cominciato a interessarsi della gratitudine da una quindicina di anni circa, grazie soprattutto alle ricerche di Robert Emmons, professore al dipartimento di psicologia dell'Università della California.
La cosa curiosa è che Emmons ha cominciato a interessarsi di questo tema solo perché gli era stato assegnato come compito: l'università organizzava una conferenza, volevano che ci fosse un esperto della letteratura scientifica sulla gratitudine e incaricarono Emmons di studiare la faccenda. Così scoprì che di letteratura scientifica su questo tema ne esisteva ben poca, e decise che sarebbe stato lui a inaugurare questo campo di studi.
Da lì in avanti hanno cominciato a sommarsi ricerche che hanno mostrato quanto possa essere importante la gratitudine per il nostro benessere: diminuisce lo stress, stimola altre emozioni positive, è di aiuto contro la depressione, migliora la qualità del sonno, ci rende più ottimisti. In una parola più felici.
Tutto questo sembra suggerirci che interessarci a questo tema potrebbe in effetti essere interessante... ma ancora ci dice poco sul significato della gratitudine, e non risponde alle nostre domande: grati per cosa? a chi? e in ogni caso: come?
Le fondamenta della gratitudine
In un breve libro dedicato al tema: The Little Book of Gratitude, Robert Emmons spiega che la gratitudine non è un'emozione semplice: ha molte sfumature e dimensioni. Non è neanche del tutto corretto definirla un'emozione. Lo è, ma non solo: è anche un aspetto del carattere (ci sono persone che di loro tendono a provare più spesso gratitudine), ed è anche una disposizione d'animo (ci possiamo sentire a seconda dell'umore più o meno predisposti a provare gratitudine).
La gratitudine inoltre è anche una virtù, e questo è interessante perché ci dice una cosa fondamentale: la possiamo coltivare, possiamo cioè allenarci a essere più grati e beneficiare quindi anche noi di questa disposizione d'animo così positiva per il nostro benessere.
Emmons definisce la gratitudine come un processo di riconoscimento fondato su due pilastri:
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Riconosco che nella mia vita c'è qualcosa di buono. È un dire di sì alla vita, mettendo in risalto tutto ciò per cui vale la pena di viverla.
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Riconosco che quello che rende la mia vita piacevole, ricca, degna di essere vissuta, proviene - almeno in parte - da una fonte esterna a me.
Entrambi questi due punti sono importanti perché si possa parlare di gratitudine: riconoscere le cose belle della nostra vita, e scoprire che molte di essere ci sono state donate.
Coltivare la gratitudine
Aprirsi al sentimento di gratitudine può non essere facile. Ci viene molto più naturale ragionare in termini di diritti: sentiamo che ci spetta qualcosa. Salute, benessere, riconoscimento, auto-realizzazione. Se così non è, tendiamo a sentirci derubati.
Non siamo sempre pronti ad accettare una verità di fondo, e cioè che la vita non ci deve niente.
Certamente, essere cittadini italiani, lavoratori (o studenti), figli, mariti e mogli, ci garantisce alcuni diritti. Abbiamo il diritto di andare a votare, il diritto di essere mantenuti dai nostri genitori fino a una certa età, il diritto di essere sostenuti dal nostro coniuge. In quanto lavoratori abbiamo il diritto di non essere sfruttati, di ricevere un giusto compenso per quello che facciamo. Abbiamo diritto di accedere all'istruzione e alle cure sanitarie.
Ma questi diritti sono frutto di un accordo, un accordo che ha preso la società. Sono le condizioni storiche, sociali e geografiche ad avere costruito, per fortuna, questi diritti. Ciò non toglie che avremmo potuto nascere in un altro tempo o in un altro luogo, e che comunque, in generale, la vita in sé non ci garantisce diritti: essere felici, essere in salute, essere soddisfatti, sono tutti obiettivi auspicabili, ma non è che qualcuno o qualcosa ce lo deve in virtù del fatto che siamo al mondo.
Capire che, in fondo, la vita non ci deve niente, può essere un boccone un po' amaro da buttare giù, ma tutto sommato vale la pena ragionarci su, perché poi molte cose cambiano prospettiva. Tutto quello che abbiamo smette di sembrarci scontato e comincia ad apparire in una nuova luce.
Quindi il primo mattone per costruire una pratica di gratitudine è questo: cominciare a fare caso a tutte le cose belle della nostra vita, per capire che ci sono e che non possiamo darle per scontate.
Un modo per allenarci a questa pratica è fare semplicemente delle liste.
Prendiamo un quaderno e una penna e cominciamo semplicemente a buttare giù una lista di tutto ciò che rende la nostra vita bella, piacevole, piena. Tutto ci sta, dalle cose più importanti a quelle apparentemente insignificanti. I figli, la famiglia, il lavoro, un hobby, la nostra casa, la doccia calda a fine giornata, i nostri animali domestici, un libro del nostro autore preferito, il mare d'estate...
Un esercizio semplice, ma molto benefico soprattutto se stiamo attraversando momenti faticosi in cui ci tendiamo a farci travolgere dall'insoddisfazione.
Lo possiamo fare una volta, stile brainstorming, buttando fuori tutto quello che ci viene in mente, e poi possiamo farlo diventare una pratica quotidiana: per esempio scrivendo ogni sera una piccola lista di tre, quattro o cinque cose belle accadute durante la giornata.
Soprattutto se non siamo abituati a osservare la vita da questa angolatura, fare questo tipo di esercizi può avere un grande impatto trasformativo. Non si tratta di volere sviluppare il pensiero positivo, né di volere vedere a tutti i costi la vita in rosa.
Si tratta solo di allenare la nostra attenzione - che è naturalmente stimolata, al contrario, a dare molto peso ai problemi e alle difficoltà - a notare anche le cose positive, tutte le piccole e grandi benedizioni di cui siamo oggetto.
Con questo tipo di pratiche possiamo lavorare sul primo dei due pilastri della gratitudine: riconoscere il bene nella nostra vita.
Che dire del secondo?
Un modo diverso di dire grazie
Riconoscere il contributo che le altre persone danno alla nostra vita può non essere facile. Anzi, può essere molto difficile. È possibile che gli altri ci sembrino più che altro di ostacolo alla nostra vita: dal capo che pretendete troppo, all'amica lamentosa, al vicino di casa ficcanaso.
Che dire poi della malsana abitudine a confrontarsi di continuo con gli altri? C'è sempre qualcuno più bravo, più bello, più ricco, più fortunato, più dotato di noi. Molte persone tendono a vedere gli altri solo sotto la luce della competizione, e fanno fatica a riconoscere al contrario il contributo che gli altri danno alla loro vita.
Anche qui, intendiamoci: coltivare la gratitudine non significa decidere all'improvviso che tutti attorno a noi sono bravi, buoni, belli e smaniosi di aiutarci a rendere migliore la nostra vita.
E non significa nemmeno sopravvalutare il contributo degli altri, sottovalutando i nostri meriti. Se nella vita abbiamo raggiunto qualche risultato probabilmente abbiamo avuto il talento, la perseveranza, le capacità per arrivare dove siamo arrivati. Essere grati non significa sminuire tutto questo, significa solo di riconoscere il ruolo di chi ci sostiene e ci accompagna lungo la strada.
Detto questo, possiamo cominciare a stimolare il nostro senso di gratitudine prendendo le nostre liste - quelle che abbiamo fatto con gli esercizi del paragrafo precedente - e domandarci, voce per voce: a chi devo tutto questo?
Se siamo stati felici per avere trascorso una bella giornata in compagnia, possiamo sentirci grati verso i nostri amici che ci hanno fatto sentire così bene.
Se ci siamo presi una piccola/grande soddisfazione sul lavoro, forse è stato anche grazie al fatto che qualcuno ci ha dato una mano? O ha creduto in noi lungo la strada?
Se ci piace tornare a casa la sera nella nostra casa calda e accogliente, sarà anche merito di qualcuno che la tiene in ordine per noi, o che ci aiuta a farlo giorno dopo giorno.
Quindi, il nostro primo esercizio sarà di riprendere l'elenco delle cose belle della nostra vita e cercare di mettere in evidenza il contributo delle altre persone.
Può essere che il risultato non ci stupirà, perché magari, per nostra fortuna, siamo persone già predisposte a provare gratitudine per gli altri. Oppure può darsi che dopo un primo momento di difficoltà cominciamo a renderci conto di una cosa: che tendiamo a non vedere quando gli altri ci danno una mano, perché finiamo con il dare per scontate troppe cose. Il sorriso del nostro barista ogni mattina, l'impiegata gentile e competente che ci aiuta a sbrigare una pratica, l'amico che ci manda un messaggio per sapere come va, una moglie o un marito che stanno sempre dalla nostra parte.
Per lavorare bene su questo aspetto Robert Emmons nel suo The Little Book of Gratitude propone diversi esercizi.
Uno di questi è cambiare il nostro modo di dire grazie.
Quante volte al giorno ci capita di ringraziare? Lo facciamo per abitudine, per educazione. A volte siamo sinceri, altre volte meno, ma spesso lo facciamo in modo meccanico, senza farci troppo caso.
Potremmo allora cercare di ringraziare in modo più consapevole. Non più solo una parola messa lì, perché si deve, ma una frase ben precisa che spieghi all'altro per cosa gli siamo riconoscenti.
Grazie per avermi aiutato a finire questo lavoro, mi serviva proprio il tuo contributo.
Grazie per questo caffè: lo sai fare proprio bene.
Grazie per avere preparato la cena anche stasera.
Ti ringrazio molto per avermi dato questo suggerimento.
Ti sono grato per avere accompagnato mio figlio a scuola stamattina.
Certo, non è che dobbiamo diventare leziosi o esageratamente compiacenti, non è questo il senso. Solo, ogni tanto, proviamo a rompere l'automatismo della parole grazie e rinnoviamone il suo significato spiegando all'altro di cosa lo stiamo ringraziando. Trovando il nostro modo, le nostre parole, per dare valore a quella fitta rete che ci connette agli altri.
È tutto un circolo
Se ci siamo allenati nei due passaggi: vedere il buono che c'è nella nostra vita e riconoscere il ruolo che le altre persone hanno in tutto questo, possiamo aggiungere un terzo tassello.
Mettiamo sul piatto anche il nostro contributo alle vite degli altri.
Esercitare la gratitudine serve a farci sentire un senso di connessione con le altre persone, e non di certo a farci sentire in debito con loro, come se dalla vita avessimo solo preso e non dato. Sicuramente anche noi ogni giorno, o quasi, facciamo qualcosa che ha un impatto positivo sugli altri.
E quindi un terzo esercizio è quello di chiudere il cerchio focalizzando l'attenzione su quello che noi abbiamo fatto, e facciamo, per gli altri.
Anche qui: vale per le piccole cose come per quelle più importanti. Forse abbiamo regalato un sorriso a qualcuno oggi, ci siamo presi cura dei nostri figli e della nostra casa, abbiamo lavorato con attenzione e coscienza, abbiamo ascoltato un amico.
Possiamo vedere la gratitudine come un flusso di cose buone che vanno e vengono. Non siamo noi, dice Emmons, la destinazione finale di questi doni. Le cose buone scorrono verso di noi, ma nello stesso modo scorrono da noi verso gli altri. È come essere immersi in un fiume: l'acqua scorre verso di noi, ci attraversa, e poi continua verso altre destinazioni.
Per riassumere
Provare gratitudine - questo è provato - ci fa stare meglio. Ci fa sentire connessi agli altri, meno insicuri, più fiduciosi, aperti.
Malgrado questo però, provare gratitudine non è il nostro modo più immediato di reagire ai fatti della vita. Spesso ci sentiamo più che altro come se avessimo diritto a qualcosa, e tendiamo a provare un forte risentimento quando le cose non vanno come desideriamo.
Possiamo però imparare a coltivare la gratitudine, praticando alcuni esercizi che ci aiutano, piano piano, a cambiare prospettiva. Esercizi che, come abbiamo visto, lavorano su tre livelli:
- Riconoscere il buono che c'è nelle nostre vite.
- Riconoscere che tante di queste cose buone esistono per noi grazie al contributo di altre persone.
- Riconoscere anche anche noi possiamo avere un impatto positivo nelle vite degli altri.
Se ancora non ne hai abbastanza di sentir parlare di gratitudine, ho preparato due piccoli contenuti riservati agli iscritti al blog:
- uno schema in pdf per tenere il nostro diario della gratitudine seguendo i tre livelli illustrati in questo articolo.
- Un breve articolo di approfondimento sul tema gratitudine e ansia, ovvero: perché la gratitudine ti aiuta anche a combattere l'ansia.
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