Alzi la mano chi, prima dell'inverno 2019, si era mai preoccupato che potesse arrivare una pandemia, fare milioni di morti nel mondo e sconvolgere le nostre vite.

Vedo pochissime mani alzate, forse nessuna. E dire che tra i lettori di questo blog ci sono diversi professionisti dell'ansia e delle preoccupazioni. Eppure di questa cosa qui, che pure è successa (e sta ancora succedendo) ci siamo preoccupati pochissimo.

Insomma passiamo un sacco di tempo a preoccuparci di cose che poi non accadono mai, e magari, come in questo caso, non ci preoccupiamo affatto di cose che invece ci capitano tra capo e collo costringendoci a fronteggiare problemi non indifferenti.

Non siamo poi così bravi a prevedere il futuro. Noi "preoccupatori" seriali ci illudiamo di tenere tutto sotto controllo con il nostro continuo rimuginare su tutto quello che potrebbe andare storto, ma davanti alla realtà dovremmo avere l'umiltà di ammettere che il futuro è un'incognita e che le nostre preoccupazioni, o comunque buona parte di queste, non servono a nulla se non ad avvelenarci il presente.

Eppure, anche se sotto sotto lo sappiamo, non riusciamo a smettere, come se preoccuparci fosse quasi una droga, un'attività di cui il nostro cervello non può fare a meno.

Perché succede?

E soprattutto, possiamo fare qualcosa per ridurre la tendenza a preoccuparci sempre di tutto?

A cosa serve preoccuparsi

Partiamo dal presupposto che se facciamo qualcosa - anche quando sappiamo benissimo che non è utile, o addirittura dannosa - un motivo c'è. Io me ne sono accorta benissimo quando cercavo di liberarmi dal vizio del fumo. Avevo una lista lunghissima di ottimi motivi per smettere, ma prima di riuscirci ho dovuto trovare la lista dei motivi per cui invece continuavo a fumare. Solo dopo avere capito quali erano i benefici delle sigarette, ho potuto smantellarli uno a uno e avviarmi a diventare una ex fumatrice soddisfatta della mia scelta.

Anche con le preoccupazioni è così: preoccuparci svolge una serie di funzioni nella nostra vita, e se vogliamo provare a smettere dobbiamo prima capire un po' meglio perché lo facciamo.

worry-about-hog

Intanto va detto che preoccuparsi non è sbagliato di per sé. Anzi, io odio quelli che non si preoccupano mai di niente e che poi cadono dal pero quando si presenta qualche problema.

Preoccuparsi significa ragionare attorno a un problema prima che questo si verifichi, in modo da predisporre una soluzione. Se ho un appuntamento e mi preoccupo di non trovare posto dove parcheggiare la macchina allora esco di casa un quarto d'ora prima così non rischio di fare tardi. Se mi preoccupo che la relazione che sto scrivendo non sia abbastanza chiara, la rileggo e cerco di migliorarla, o mi preparo a rispondere al meglio alle domande che potrebbero arrivare. Se mi sto per addentrare nella giungla in cerca di bacche da mangiare, mi preoccupo di potere incontrare qualche belva affamata, quindi porto con me un coltello e mi tengo pronta a usarlo in caso di necessità.

Scrive Daniel Goleman, nel suo famoso libro Intelligenza emotiva:

Quando la paura mette il cervello emozionale in uno stato di agitazione, parte dell'ansia che ne risulta serve a fissare l'attenzione sulla minaccia contingente, costringendo la mente a escogitare un modo per controllarla, ignorando temporaneamente qualunque altra cosa. La preoccupazione è, in un certo senso, un ripercorrere mentalmente gli eventi, in modo da isolare ciò che idealmente potrebbe andare male e decidere come affrontare il problema; la funzione della preoccupazione è quella di escogitare soluzioni positive nelle situazioni pericolose della vita, anticipandole prima che si presentino.

Quindi, se ci preoccupiamo, non è perché siamo dei pazzi nevrotici (o meglio, non è solo per quello), ma è perché il nostro cervello sa benissimo che preoccuparsi è utile, genera sì ansia, ma è un'ansia che serve a mettere a punto soluzioni pronte da usare davanti a problemi che potrebbero presentarsi. Insomma serve a non farsi prendere alla sprovvista.

Diventa però un problema se le preoccupazioni insorgono in modo cronico, ripetitivo, compulsivo, e finiscono con il tenerci costantemente in ostaggio. Quando perdono cioè la loro funzione positiva, di aiutarci a trovare soluzioni a dei possibili problemi, e si trasformano esse stesse in un problema. Una giornata punteggiata di e se... improbabili e catastrofici.

Io sono campionessa di preoccupazioni. Se una persona cara tarda dieci minuti a un appuntamento me la immagino già in ambulanza. Quando mio marito va fuori Bologna in macchina per lavoro (cosa che per fortuna succede di rado) passo la giornata in apnea sperando che torni a casa tutto intero. Qualsiasi cosa io debba fare, la mia mente costruisce sempre lo scenario peggiore. Dovrei mettermi a scrivere libri di genere catastrofico, mi verrebbero benissimo. La mia esperienza in preoccupazioni mi ha insegnato senza ombra di dubbio tre cose.

1) La grande maggioranza delle cose di cui mi preoccupo non accade.

2) Alcune delle cose di cui mi preoccupo, quando accadono sono molto meno drammatiche di come le avevo immaginate.

3) Purtroppo talvolta anche le cose più terribili e spaventose possono accadere, e il fatto di essersene o meno preoccupati non fa alcuna differenza: fanno schifo e devastano le nostre vite.

Questo però non mi impedisce di essere lo stesso una persona piena di ansie e preoccupazioni.

Le tre illusioni della preoccupazione

In tempi recenti ho messo a fuoco un aspetto della preoccupazione di cui prima non mi ero mai accorta: continuo a preoccuparmi perché una parte di me è convinta che serva a qualcosa. Il guaio è questo qui. Mi sono accorta che se non mi preoccupo nella mia mente scatta una specie di allarme: ehi, non ti stai preoccupando, occhio. Insomma mi preoccupo di non preoccuparmi abbastanza. E questo sembra a tutti gli effetti folle.

Però, anche per questo c'è una spiegazione, e l'ho trovata sempre nel libro di Daniel Goleman: le preoccupazioni possono creare una sorta di dipendenza mentale.

Perché? Essenzialmente per tre motivi.

Il primo è che preoccupandoci abbiamo l'illusione di occuparci in qualche modo del problema. La situazione tipica (e talvolta è una trappola nella quale cado anche io) è quella di chi teme di avere un problema di salute ma non va dal dottore. Si preoccupa, ascolta i sintomi, interroga in modo ossessivo Google, chiede rassicurazioni in giro, e poi non fa l'unica cosa sensata che si può fare in questi casi, cioè andare dal medico. Preoccuparci ci illude che stiamo facendo qualcosa per risolvere quel problema anche quando in realtà non stiamo facendo un bel niente.

Il secondo è che quando ci preoccupiamo di continuo di cose molto improbabili - come per esempio di perdere una persona in un incidente aereo, o di fallire miseramente in qualcosa che al contrario è perfettamente alla nostra portata - una parte di noi si convince che ci sia qualcosa di magico nelle preoccupazioni. Ecco vedi? Mi sono tanto preoccupata che l'aereo potesse cadere, e poi non è caduto... che sia la mia preoccupazione a tenerlo su? Queste sono trappole in cui purtroppo la nostra mente può cadere, perché nel nostro cervello convivono sistemi evoluti dominati dalla logica e dalla razionalità, e altri più primitivi e istintivi. E quindi, anche se io so perfettamente che non è la mia preoccupazione a evitare catastrofi e incidenti, una parte di me al contrario attribuisce alla preoccupazione il magico potere di allontanare il pericolo oggetto della mia paura. E questa è una bella fregatura.

Il terzo aspetto è quello che riguarda le prestazioni. Alcune persone - e io sono tra quelle - sono convinte che preoccupandosi lavorano meglio. Se sono preoccupata e in ansia per un lavoro, so che cercherò di farlo al meglio, tenterò di prevedere ogni eventualità e di essere pronta ad affrontarla. Se mi rilasso, se non percepisco la tensione, temo che qualcosa stia sfuggendo al mio controllo. Questa convinzione nasconde un fondo di verità: l'abbiamo visto prima, preoccuparsi serve a trovare soluzioni per problemi che potrebbero presentarsi in modo da farsi trovare pronti. Una dose moderata di ansia è funzionale a farci rendere al meglio. Quello che mi domando - ed è una domanda alla quale ancora non ho trovato risposta - è: potrei essere capace di lavorare bene e allo stesso tempo con tranquillità e fiducia? Non lo so, è una cosa su cui voglio focalizzarmi in futuro, e vedere che ne esce.

Spezzare il circuito delle preoccupazioni

Le persone che si preoccupano molto sanno perfettamente che l'esortazione a preoccuparsi di meno non serve a niente. Il motivo l'abbiamo visto: preoccuparsi crea una sorta di dipendenza mentale, alimenta l'illusione di potere controllare gli eventi, ed è una illusione potente, che di certo non si distrugge con un: ma insomma smetti di preoccuparti sempre!

Cosa si può fare allora?

Vediamo di mettere a punto una strategia.

1) Intanto, prima cosa, essere consapevoli. Le preoccupazioni spesso sussurrano al nostro orecchio, fanno da sottofondo ai nostri pensieri, si presentano come un brulicare sotterraneo che ci accompagna e ci disturba per tutto il giorno, ma non sempre vediamo questi pensieri con chiarezza. Ci fanno sentire nervosi e in ansia, senza che ne capiamo esattamente il motivo. Allora possiamo provare a fermarci ad ascoltare in modo da dare un nome alle nostre inquietudini. Utilissimo è prendere una penna e un quaderno e fare l'elenco delle cose che ci preoccupano, così da poterle osservare a capire. È controproducente, al contrario, cercare di sopprimerle: obbligarsi a non pensare a una certa cosa di solito sortisce l'effetto contrario. Il che non significa che facciamo bene a rimuginare tutto il giorno su quello che ci preoccupa: può essere sufficiente dedicare un momento della giornata a vuotare il sacco con noi stessi, per guardare in faccia le cose che ci spaventano, e poi passare oltre.

2) Imparare a distinguere cosa ricade nella sfera del nostro controllo e cosa è al di fuori. Sicuramente io mi sento molto preoccupata per questa ripresa dei contagi. Posso fare qualcosa? In generale no, non ho modo di controllare l'andamento della pandemia. Posso però controllare i miei comportamenti, in modo da continuare a fare attenzione e a proteggermi. Non posso controllare invece i comportamenti delle altre persone, degli sconosciuti, ma anche di chi conosco e sceglie di fare cose diverse da quello che farei io. Questa è una cosa che dovremmo imparare a fare sempre, con tutto quello che ci preoccupa: concentrarci su quello che possiamo controllare e lasciare andare tutto il resto.

3) Passare dalla preoccupazione all'azione: prendere a picconate l'illusione che preoccuparsi equivalga a occuparsi di un problema. Se c'è qualcosa che possiamo fare, allora facciamola, senza indugi. Sostituiamo la preoccupazione con l'attitudine al problem solving. Preoccuparsi significa continuare a stare focalizzati sul problema: possiamo provare invece a cambiare schema mentale per concentrarci sulle possibili soluzioni, e darci da fare. L'azione è una grande medicina per i ruminatori seriali di problemi.

4) Accettare l'incertezza. Preoccuparsi non è altro che un modo per alimentare l'illusione del controllo. Inconsciamente crediamo di potere scongiurare disgrazie e problemi per il solo fatto di lasciare che ci angoscino da mattina a sera. Non è così, a volte le cose semplicemente accadono e non è in nostro potere influenzare il loro andamento. Troppe cose dipendono da altri, o dal caso. Troppe cose non le sappiamo. Non sappiamo come andranno i nostri investimenti - quelli monetari e quelli affettivi. Non sappiamo se il nostro matrimonio durerà, se i figli staranno bene, se saremo in grado di avere il successo che desideriamo, se durante la settimana di vacanza che abbiamo prenotato in anticipo sarà bel tempo o  pioverà. Si dice che non si dovrebbe semplicemente tollerare l'incertezza, ma abbracciarla, come parte essenziale della nostra vita. Per chi ha una mente ansiosa è un'impresa impossibile, eppure la strada è quella: abbandonare l'idea del controllo e abbracciare l'imprevedibilità, che ha anche una sua bellezza, tutto sommato.

5) Stare nel presente. Su questo di parole ne abbiamo dette tante, ma è sempre un punto su cui tornare. Il presente è la nostra ancora. Se siamo persone che si preoccupano troppo significa che tendiamo a vivere proiettati nel futuro: la preoccupazione, per definizione, riguarda qualcosa che potrebbe succedere nel futuro; imparare al contrario a dirigere l'attenzione sul nostro qui e ora ha un potente effetto ansiolitico. Pratiche come la mindfulness o lo yoga possono aiutarci molto in questo. Qualsiasi cosa ci aiuti a tenere assieme mente e corpo ci radica nel presente, perché il corpo, per nostra fortuna, è sempre nel presente, è la mente che scappa qui e lì. Riportarla al respiro e alle sensazioni del corpo contribuisce ad acquietarla un po'.