Cinque anni fa, di questi tempi, avevo appena terminato la stesura del mio libro La rana bollita. Ricordo che mi prese una strana frenesia. Andai in copisteria a stamparne alcune copie per i miei primi lettori. Ero così agitata che una sera, di ritorno da una cena con un'amica, sull'autobus ero così distratta che non mi accorsi di dove ero e scesi due fermate dopo. Ed era notte. Non proprio confortevole :)
È buffo come certe volte anche le cose belle si accompagnino ad agitazione e ansia, la stessa che provo in questi giorni, a ridosso della pubblicazione della seconda edizione del libro con Sonzogno – > La rana bollita.
Per l'occasione ho pensato di scrivere un articolo sull'idea di guarigione, e mi sono resa conto di una cosa: al riguardo ho le idee confuse :)
Eppure questa faccenda della guarigione è importante. Me ne sono accorta perché molte persone, dopo avere letto il libro, me l'hanno chiesto: ma tu sei guarita? ne sei uscita del tutto?
Quella insistenza sul del tutto nasconde un tratto credo molto caratteristico di un certo tipo di persone che soffrono di problemi di ansia: la falsa convinzione che si possa, o addirittura si debba, stare sempre bene, che se stai male un po' è colpa tua. E quindi che se ti scruti dentro e ci trovi segnali di angoscia immotivata, tachicardie casuali, nausee psicosomatiche, paure che giocano a nascondino... vuol dire che c'è qualcosa da aggiustare.
In verità non è detto che sia così: stare sempre bene è un'utopia, se stessimo sempre bene non ce ne accorgeremmo nemmeno, perché non ci sarebbe uno stare male con cui fare il confronto. Il disagio fa parte della vita. Quello che è patologico non è provare disagio, ma pretendere di non provarlo mai.
Detto questo, io sono guarita? Sto bene? Ne sono uscita?
Non ho più attacchi di panico da diversi anni, e questo è un punto in favore della guarigione, ma non è tutto. Si può soffrire di ansia generalizzata anche senza attacchi di panico.
L'ansia mi impedisce di fare le cose che desidero? Limita in modo significativo la mia vita?
Questa è l'unica domanda, secondo me, che ha senso farsi. La risposta nel mio caso è... ni.
Conduco una vita normale, esco, faccio la spesa, incontro persone, affronto difficoltà, mi sposto, guido la macchina. Ci sono cose però che tendo a fare a modo mio, perché diversamente mi mettono ansia. Per esempio non mi piace andare a cena fuori, se il ristorante è al chiuso e se c'è il rischio che sia affollato. Certo, c'è stata la pandemia e delle gran tavolate in trattoria negli ultimi tempi se ne sono viste poche... però devo essere sincera, le ultime volte che mi era capitato ero stata sempre un po' male. Al contrario in estate mi piace, se si può stare fuori. E va bene così.
Evito a tutti i costi i mezzi pubblici affollati. Se devo prendere un treno cerco di scegliere giorni e orari poco consueti, e comunque prenoto sempre il posto, anche se spendo di più. Se l'autobus è troppo pieno scendo e aspetto quello dopo, oppure vado a piedi. Non so, in tutta sincerità, se riuscirei a prendere un areo. Probabilmente sì, ma sicuramente non senza una forte ansia.
Mi sposto poco dalla mia città e quando lo faccio tendo ad andare sempre negli stessi posti che conosco e nei quali mi sento a mio agio.
Sto sempre bene?
No.
Al mattino mi sveglio ancora un po' disturbata, questo non è cambiato in tanti anni, in certi periodi migliora, in altri mi sembra di tornare indietro. Ho problemi fisici riconducibili allo stress: male al collo e difficoltà a digerire, che combatto cercando di mangiare bene e di fare movimento e yoga.
In qualche occasione, se certe situazioni si incastrano male, o mi manca il tempo e devo affrettarmi, o qualcuno fa o dice qualcosa che mi infastidisce, tendo ad andare in ansia e perdo un pochino lucidità.
Il mio pensiero catastrofista è sempre molto attivo e fantasioso, mi preoccupo in continuazione di cose che non accadono (per fortuna). In questo sto migliorando, sto acquisendo la capacità di dirmi: ok, è un pensiero, solo un pensiero, ora che l'hai avuto, puoi anche lasciarlo andare.
Ho cambiato vita, questa credo sia la cosa più importante. Ho lasciato un lavoro che non mi corrispondeva e mi sono messa a fare cose che mi piacciono di più. È vero, sono fortunata perché esistono una serie di condizioni che hanno reso possibile questa scelta, ma credo che in un modo o nell'altro l'avrei fatto comunque: quando capisci di avere sbagliato strada, e la sofferenza tocca l'apice, un modo per stare meglio lo trovi. Anzi, sono pentita di non averlo fatto prima. Sono pentita di non essere stata capace di ascoltarmi, di capirmi e di assecondarmi in un momento in cui soffrivo molto ma, chissà perché, credevo di non averne il diritto e quindi cercavo di fare finta di niente.
Detto questo, sono guarita?
Sì, no, boh, francamente non mi sono mai posta il problema in questi termini. Credo che la cosa più importante sia riappropriarsi della propria vita, non essere in continuazione in balia dell'ansia. Avere meno sintomi, questo sì certo, o comunque meno intensi, ma anche sapere che quando arrivano non sono la fine del mondo, accettare che possa accadere, e accudirsi come si farebbe con un bambino che non sta bene.
Ogni volta che attraversiamo eventi particolarmente significativi, belli e brutti, ci ritroviamo cambiati e non ha senso pensare di potere tornare come prima.
L'abbiamo visto anche con la pandemia. All'inizio ricorreva di continuo questa domanda: quando torneremo alla normalità?
Adesso abbiamo capito abbastanza bene che non torneremo mai alla normalità. Non perché saremo in emergenza continua, ma perché questo evento ha cambiato il mondo, e faremo i conti con le sue conseguenze per anni. Conseguenze di ogni genere: individuali, collettive, economiche, psicologiche, sociali. Chissà magari qualcuna potrebbe anche rivelarsi positiva. È questo che succede durante le crisi: il mondo come lo conoscevamo cambia. Quando lo studi sui libri di storia sembra tutto chiaro, ma quando siamo dentro la tempesta la nostra capacità di vedere e interpretare la realtà non può che essere limitata.
Attraversare una crisi personale è un po' la stessa cosa, mentre ci sei dentro non capisci di preciso cosa sta accadendo e non vedi vie d'uscita. Poi, in un modo o nell'altro, cambi: non resti mai ferma troppo a lungo nella stessa situazione. Cominci a prendere delle decisioni, qualcosa esce dalla tua vita, qualcosa d'altro entra, il tempo passa, poi ti guardi indietro e vedi cose che quando eri lì non riuscivi a vedere.
In ogni caso non torni come prima, non torni alla normalità, non alla normalità di prima, ne costruisci una diversa.
Se rileggo l'elenco delle situazioni che tendo a evitare perché mi rendono troppo ansiosa mi accorgo che su una sola ho delle riserve. Non mi crea problemi evitare il ristorante in inverno, né fare stranezze come arrivare al mare la domenica sera quando tutti tornano a casa; però non mi piace questa difficoltà che ho ad andare in posti in cui non sono mai stata. Su questo voglio lavorare: è nell'elenco delle mie intenzioni per quest'anno andare a fare un piccolo viaggetto scegliendo una meta magari non troppo lontana da casa, ma diversa da quei due o tre posti in cui vado abitualmente. Ovvio: fuori stagione e in tutta comodità :)
Devo anche confessare una cosa: a me non piace sentirmi visibile. Dovrei essere felice della nuova uscita del libro, e lo sono, ma nello stesso tempo io preferisco quando me ne sto nel mio angolo a scrivere per conto mio. Perché ho sempre tremila paure: paura apparire inadeguata, di non sapermi rapportare agli altri, paura di sbagliare, di non essere abbastanza amabile, di non essere capita, di fare brutta figura. Quindi invece di godermela sono sempre in allerta e, indovina, mi viene l'ansia.
Quindi no, probabilmente non sono "guarita", mi tiro dietro qualche limitazione e qualche malessere. Se tutto questo rientri in un quadro di ansia normale o se debba essere considerata in qualche modo patologica non lo saprei dire: credo che un confine preciso non esista.
Continuo a scrivere e a parlare di questi temi perché penso che ce ne sia bisogno, forse adesso anche più di prima. La pandemia ci ha fatto sentire tutti un po' meno al sicuro, e l'ansia è diventata il segno distintivo di questi anni, un'emozione diffusa. So che l'impatto psicologico di questi eventi è forte, e mi dispiace ancora di più sapere che sono in particolare le persone giovani a subirlo. Francamente mi si stringe un po' il cuore a pensarci. Mi rassicura solo sapere che adesso non è più come trent'anni fa, c'è maggiore consapevolezza, si parla di più di salute mentale, c'è più comunicazione. Però resta sempre complicato affrontare problemi di questo tipo. C'è una quota di sofferenza evitabile: quella connessa alla vergogna, all'auto-critica, al sentirsi colpevoli, inadeguati. Su questa credo che si possa e si debba lavorare, individualmente ma anche come società.
Basta, mi fermo qui. La rana bollita dal 24 febbraio sarà in tutte le librerie. Per chi preferisce comprare online è già possibile ordinare il libro su tutti i principali store. Viva le rane :)