Nel 1995, lo psicologo americano Daniel Goleman pubblicò un libro destinato a diventare un classico della psicologia contemporanea.

Il libro si chiama Intelligenza emotiva e prende le mosse da una semplice constatazione: l'essere umano non è una creatura razionale. Le decisioni che prendiamo ogni giorno - da quelle più minute a quelle più importanti - molto raramente sono frutto solo di un calcolo o di un ragionamento logico. Siamo piuttosto guidati da un complesso sistema di emozioni ed è con questo che ci muoviamo nel mondo: piacere, dolore, felicità, noia, interesse, rabbia, paura, gioia, desiderio, attrazione, repulsione, sono al timone delle nostre vite. Questa è la materia con cui abbiamo a che fare, e che indirizza le nostre azioni e le nostre decisioni.

Ma siamo capaci di maneggiare questa materia? Siamo consapevoli del nostro mondo interiore o ne siamo schiavi? Quanto è importante essere capaci di gestire con intelligenza le nostre emozioni? E chi ce lo insegna?

Quando si dice che una persona è intelligente, di solito si fa riferimento a un insieme di abilità logiche, matematiche e linguistiche che vengono misurate dal Quoziente Intellettivo (detto anche QI).

In genere chi ottiene punteggi alti in questi test riesce anche, con un giusto impegno nello studio, a ottenere buoni risultati scolastici. E fino qui non ci piove.

Ma avere un Quoziente Intellettivo alto garantisce anche altri risultati nella vita?

Questo tipo di intelligenza ci aiuta a trovare un posto di lavoro soddisfacente? A scegliere meglio i nostri partner? A fare funzionare meglio la nostra vita?

A quanto pare no, ed è questo ad avere attirato l'attenzione degli psicologi. Come mai certe persone, pur avendo un QI molto elevato hanno una vita costellata da fallimenti. E perché alcuni con un QI più basso, sembrano cavarsela molto meglio?

Manca qualcosa all'equazione. Forse dobbiamo cominciare a dare valore anche a  un altro tipo di intelligenza che non ha niente a che vedere con la nostra capacità di capire la matematica né con le nostre capacità linguistiche, deduttive, cognitive in generale.

Goleman l'ha battezzata intelligenza emotiva e riguarda, in generale, la nostra capacità di gestire le emozioni.

Ma cosa significa gestire le emozioni?

E perché in alcune situazioni sembra così difficile?

La corsia preferenziale

Intanto chiariamo una cosa: se ci capita di essere in balia di certe emozioni - ansia o paura per esempio, tanto per restare in tema - un motivo c'è, e risiede nello sviluppo del nostro cervello.

Goleman lo spiega nel dettaglio nel suo libro. Mettendola giù molto semplice possiamo dire questo: le emozioni viaggiano dentro di noi in corsia preferenziale.

Tutti gli stimoli che percepiamo - interni ed esterni - vengono analizzati molto velocemente da una parte del nostro cervello che si chiama amigdala.

L'amigdala è una sorta di sentinella: si occupa di capire se quello che ci sta attorno può costituire un pericolo o una minaccia. È come se fosse guidata da interrogativi molto semplici e primitivi: in quello che sta accadendo c'è qualcosa che odio? qualcosa che mi ferisce? qualcosa che mi spaventa?

Se la risposta dovesse essere sì, l'amigdala se ne frega di analizzare con calma la situazione. Reagisce immediatamente e manda a tutto il nostro corpo una serie di segnali che servono per reagire adeguatamente a quello che sembra essere un allarme.

Tutto ciò accade velocemente, molto velocemente, e intanto le parti più evolute del nostro cervello analizzano la situazione e cercano di capire se davvero siamo in presenza di un pericolo e quale sia il comportamento più adeguato per reagire alla situazione.

Se senti un rumore improvviso dietro di te, prima sobbalzi, ti batte il cuore e ti arriva una bella scarica di adrenalina, solo dopo il tuo cervello cerca di capire di cosa si tratta, e se non c'è niente di anomalo ti invia il segnale di calmarti.

L'amigdala elabora gli stimoli in modo approssimativo, ma lo fa molto velocemente. E questa velocità è essenziale nei momenti di pericolo: è quella che può salvarci letteralmente la vita. Solo istanti dopo, gli stessi stimoli vengono elaborati dalla neocorteccia che è più lenta ma più raffinata e per esempio può decidere che non c'è niente di cui avere paura o che è meglio reagire a una provocazione alzando le spalle e andando via.

Tra l'altro, secondo le più recenti scoperte delle neuroscienze, nell'amigdala sono immagazzinati anche i ricordi della nostra prima infanzia. Noi non ne abbiamo alcuna memoria cosciente, ma loro sono lì, in una forma emotiva e non accessibile al linguaggio. Questo è uno dei motivi per cui capiamo così poco delle nostre emozioni più profonde.

Goleman parla di sequestro emozionale per indicare tutte le volte in cui veniamo sopraffatti dalle emozioni - nel bene e nel male. Può accadere quando scoppiamo a ridere in modo irrefrenabile davanti a un film divertente, quando ci mettiamo a piangere, quando presi dall'ira usciamo da una stanza sbattendo una porta o tiriamo un pugno sul tavolo. Sono ancora le emozioni al comando quando un genitore, senza pensarci nemmeno un secondo, mette in pericolo la propria vita per salvare quella del figlio.

Anche un attacco di panico ritengo possa essere definito come un sequestro emozionale: l'amigdala ha deciso - per motivi non chiari e palesemente infondati - che sei in pericolo di vita e il tuo corpo reagisce di conseguenza; e anche se le parti razionali del tuo cervello vedono benissimo che il pericolo non c'è, non riescono comunque a prendere il comando della situazione.  

Intelligenza emotiva: cosa significa

Anche se le emozioni godono di questa corsia preferenziale, le situazioni in cui siamo letteralmente sequestrati dalla nostra vita emotiva non sono la norma.

Tutti noi crescendo impariamo a contrattare con le nostre emozioni. Andiamo a lavorare anche la mattina in cui non ne abbiamo voglia, non ci abbuffiamo di dolci tutto il giorno, non saltiamo addosso a una persona che ci piace se prima non siamo sicuri di avere il suo consenso, e non prendiamo a sberle chiunque ci faccia arrabbiare. In altre parole abbiamo sviluppato un certo grado di intelligenza emotiva che ci consente di riconoscere le nostre emozioni, di venire a patti con esse e in una certa misura di dirigerle in un senso positivo per noi e per la nostra vita.

Goleman definisce così l'intelligenza emotiva.

La capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare di propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e ancora la capacità di essere empatici e di sperare

Tutto questo riguarda appunto la nostra capacità di gestire le emozioni che proviamo. Nell'insieme l'intelligenza emotiva è formata da una serie di abilità che sono molto importanti (più del QI) per dare una direzione positiva alla nostra vita.

Avere un quoziente intellettivo molto alto non ci dice nulla riguardo la nostra capacità di affrontare le vicende della vita. L'intelligenza emotiva invece sì.

Le persone competenti sul piano emotivo - quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente - si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita

Più nel dettaglio, secondo Goleman, ci sono cinque pilastri su cui si regge la competenza emotiva.

Vediamoli velocemente uno per uno.

1. Conoscere se stessi

Per imparare ad avere un atteggiamento intelligente riguardo alle proprie emozioni bisogna in primo luogo riconoscerle. Questo significa diventare capaci di osservarci e affinare la nostra sensibilità al riconoscimento delle emozioni momento per momento, cioè mentre le stiamo provando.

L'auto-consapevolezza è una forma di attenzione - non reattiva e non critica - verso i propri stati interiori. Chi conosce la mindfulness ha familiarità con questi concetti.

Maturando questo tipo di consapevolezza diventiamo anche più capaci di prendere delle buone decisioni per la nostra vita.

Quale carriera intraprendere, se conservare un posto di lavoro sicuro o passare a un altro, più a rischio ma anche più interessante, con chi avere una relazione, chi eventualmente sposare, quale appartamento affittare o quale casa acquistare - e così via, per tutta la vita. Queste decisioni non possono essere prese servendosi della sola razionalità, nuda e cruda; esse richiedono anche il contributo che ci viene dai sentimenti viscerali e quella saggezza emozionale che scaturisce dalle esperienze del passato.

Ovvio che possiamo accedere alla nostra saggezza emozionale solo se le emozioni siamo in grado di sentirle e di dare loro un nome.

Se riesci a tradurre in parole ciò che senti, ti appartiene

E a questo proposito, ti metto qui un video dello psicologo Luca Mazzucchelli. Magari te lo puoi vedere dopo avere letto l'articolo e scoprire come puoi giocare a inventare nuove parole per descrivere quello che provi (nella seconda parte del video).

2. Controllare le nostre emozioni

Le emozioni sono quello che sono: paura, ansia, gioia, tristezza, tenerezza, noia... le proviamo, ci attraversano in un flusso continuo. Questo però non significa che debbano essere loro a dettare momento per momento il nostro comportamento.

Una cosa per esempio che impariamo tutti è a non agire dietro l'impulso della collera. Quando siamo molto arrabbiati ci può venire voglia di insultare qualcuno, di rompere le cose, di metterci a urlare contro i nostri cari o contro gli sconosciuti. Di solito però non lo facciamo, proprio perché abbiamo acquisito una certa padronanza di noi stessi.

Lo stesso impariamo a fare - chi meglio e chi peggio - con l'ansia o con la tristezza.

L'arte di tranquillizzare e confortare se stessi è una capacità fondamentale nella vita.

Se siamo poco capaci di fare questo, rischiamo di restare imprigionati nelle nostre emozioni negative.

3. Imparare ad auto-motivarci

Altri aspetti fondamentali dell'intelligenza emotiva sono la capacità di controllare gli impulsi e di ritardare la gratificazione.

Si tratta delle competenze su cui si regge la forza di volontà: capire che il nostro impegno di oggi è necessario per raggiungere i nostri obiettivi di domani. Se dessimo sempre retta ai nostri impulsi passeremo le nostre giornate guardando serie televisive e mangiando caramelle, o qualcosa del genere.

Sono competenze emotive fondamentali anche la capacità di mantenere la speranza e di non farci paralizzare dai momenti di sconforto.

Dal punto di vista dell'intelligenza emotiva, sperare significa non cedere a un'ansia tale da sopraffarci, non assumere atteggiamenti disfattisti o non arrendersi alla depressione di fronte a imprese difficili o all'insuccesso.

In sintesi si tratta della capacità di incanalare le nostre emozioni dirigendole verso uno scopo utile, produttivo, in sintonia con i nostri valori.

4. Empatia

Sapere riconoscere le emozioni degli altri è un aspetto molto importante dell'intelligenza emotiva. È una capacità che entra in gioco di continuo nella nostra vita quotidiana, nei nostri rapporti sul luogo di lavoro, come in famiglia e con le persone care.

La difficoltà dell'empatia sta nel fatto che raramente le emozioni vengono verbalizzate. La comunicazione emotiva passa per il 90% attraverso la comunicazione non verbale: gesti, linguaggio del corpo, espressione del viso, tono della voce. Sono questi gli indizi da cui normalmente possiamo leggere le emozioni di chi ci sta davanti, e non tutti sono ugualmente bravi nell'operare questa decodifica.

Le persone empatiche sono più sensibili ai sottili segnali sociali che indicano le necessità e i desideri altrui

L'empatia non indica solo la capacità di accorgersi delle emozioni degli altri, ma anche quella di rispettarle e di sapere entrare in sintonia con loro: la compassione, l'altruismo, la capacità di essere partecipi del dolore o della gioia altrui.

5. La competenza sociale

Viviamo immersi nelle relazioni sociali. In ogni interazione con gli altri noi inviamo segnali emozionali che influenzano le persone con le quali ci troviamo.

La competenza sociale è composta da molte abilità: la capacità di esprimere in modo appropriato i propri sentimenti prima di tutto.

Se compi degli errori nell'invio dei messaggi emozionali, ti rendi conto che la gente reagirà a te sempre in modo strano - ti rimproverano, e tu non sai perché.

Fanno parte della competenza sociale anche la capacità di capire le regole non scritte dell'ambiente sociale con cui ci troviamo a interagire, di sapere cogliere al volo durante una conversazione se stiamo annoiando il nostro interlocutore, o se è venuto il momento di chiudere una telefonata.

Chi non è molto dotato di questo genere di capacità spesso viene etichettato come strano, o arrogante, o snob. A volte non è niente di tutto questo, è solo una persona con scarse abilità relazionali.


Quindi in sintesi, l'intelligenza emotiva si compone di queste cinque abilità

  1. Riconoscere le nostre emozioni momento per momento
  2. Gestire le nostre emozioni in modo da non esserne del tutto governati
  3. Dirigere le emozioni verso obiettivi costruttivi per la nostra vita
  4. Riconoscere e rispettare le emozioni degli altri
  5. Abilità relazionali e capacità di trasmettere segnali emozionali corretti

La mia intelligenza emotiva

La prima volta che ho letto Intelligenza emotiva deve essere stato verso la fine degli anni novanta. Probabilmente me lo prestò qualcuno perché nella mia libreria non c'è. O forse sono io ad averlo prestato a qualcuno che poi non me l'ha restituito.

Non ricordo molto di una lettura avvenuta ormai più di vent'anni fa - per questo l'ho voluto rileggere - ma ricordo molto bene l'effetto che mi fece.

Mi riconobbi molto bene nel tipo di persona con una discreta intelligenza, ma scarsamente competente dal punto di vista emotivo. E mi sembrò di capire che molte delle difficoltà che stavo attraversando in quel momento dipendevano proprio da quello. Ero una tipa sveglia, la mia testolina funzionava bene, ma avevo poca confidenza con le mie emozioni, e ancora meno con quelle degli altri.

Non feci molto per cambiare questo stato di cose, ne presi semplicemente atto.

Adesso però, a distanza di tutto questo tempo, posso dire che la mia intelligenza emotiva è migliorata. Non so se siano tutte le letture e le riflessioni, gli anni di psicoterapia, l'ansia che in qualche modo ti costringe a mettere tutto in discussione, o semplicemente il tempo che passa e che ti fa maturare.

Fatto sta che adesso, rispetto ad allora, sono diventata decisamente più brava nel conoscere e accettare le mie emozioni, anche quelle scomode. Sono capace di consolarmi quando sono triste e soprattutto di calmarmi quando vado in ansia: so cosa devo fare quando cominciano a rompersi gli argini (anche se non sempre lo faccio). Negli ultimi sei anni poi ho fatto passi da gigante sul fronte impegno, auto-motivazione, capacità di darsi degli obiettivi e fiducia nelle mie capacità di raggiungerli.

Mi sento invece ancora deboluccia sul lato interpersonale: non sempre riesco a essere empatica, e in molte situazioni non riesco a entrare in sintonia con gli altri. Mi sono ripromessa di lavorare su questi aspetti. Uno dei miei propositi del nuovo anno, per quanto sciocco possa sembrare, è quello di sorridere di più e di guardare in faccia le persone, a partire dalle interazioni ordinarie e anonime come quelle con i commessi dei negozi, per esempio. Migliorare le mie capacità di entrare in contatto con le persone (intendo di persona, scrivendo in qualche modo già lo faccio, ma è una cosa diversa).

Chissà, forse se sono abbastanza fortunata da vivere altri vent'anni, diventerò una vecchietta empatica e socialmente abile ;)

E tu? In quali aspetti dell'intelligenza emotiva ti senti forte e in quali ti senti debole?

P.S. Una parte del libro e del lavoro di Goleman riguarda l'insegnamento dell'intelligenza emotiva ai bambini. Non ne ho parlato nell'articolo, ma credo che per genitori e insegnanti sia un tema importante su cui vale la pena informarsi.


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