In un mondo ideale ti svegli al mattino con una gran voglia di andare incontro alla tua giornata. Hai chiaro cosa c'è da fare e soprattutto perché lo stai facendo e di conseguenza sei pronto ad affrontare le sfide che ti aspettano.
Si chiama motivazione e riguarda appunto i motivi che ci spingono a compiere determinate azioni.
La ragione per cui abbiamo bisogno di sentirci motivati è che molti dei nostri progetti di vita sono faccende a lunga scadenza.
Se ho fame, non mi serve chissà quale spinta motivazionale per alzarmi, aprire il frigo e tagliare una fetta di torta. La soddisfazione è immediata: mangio la torta e subito mi sento appagata.
Ma se sto cercando - per esempio - di imparare una lingua straniera, dovrò impegnarmi per molte ore e sopportare un bel po´ di fatica e frustrazione prima di ottenere qualche risultato. E quindi sì che ho bisogno di una motivazione robusta.
La motivazione però ha la tendenza a essere fuggevole. Quanto prendiamo l'iniziativa abbiamo ben chiaro cosa stiamo facendo e perché. Ma poi perdiamo smalto. La fatica e la routine hanno il sopravvento, lo slancio iniziale perde di efficacia.
Per compensare una motivazione indebolita possiamo fare appello alla disciplina. La forza di volontà però non è un pozzo senza fondo. La possiamo allenare, certo, ma ne abbiamo a disposizione una quantità limitata. Se non troviamo il modo di rinfrescare la nostra motivazione, con la sola disciplina non andiamo molto lontano.
Le motivazioni che funzionano (e quelle che non funzionano)
Si possono distinguere due tipi diversi di motivazione: una motivazione interna e una esterna. Più precisamente si parla di motivazione intrinseca o di motivazione estrinseca.
Pensiamo a questa attività: andare a correre.
Perché lo faccio?
Perché correre mi piace, mi rilassa, mi gratifica. Mi piace vedere che miglioro giorno dopo giorno. Queste sono tutte motivazioni intrinseche: faccio questa attività perché è l'attività in sé che mi soddisfa. Questo è il tipo di motivazione che funziona meglio.
Oppure: corro per dimagrire, per imitare qualcuno che lo fa, perché mi aiuta a smettere di fumare. Queste sono tutte motivazioni estrinseche: riguardano cioè il raggiungimento di obiettivi che non hanno a che vedere con l'attività in sé. E sono le motivazioni che funzionano peggio.
Non è che le motivazioni estrinseche non funzionano affatto. Anzi molto spesso quando cominciamo a lavorare a un certo progetto lo facciamo per questo tipo di ragioni, e a volte possono essere anche molto forti (per esempio quando riguardano la nostra salute). Però le motivazioni estrinseche - da sole - di solito non sono in grado di sostenere uno sforzo di lunga durata se non vengono accompagnate anche da motivazioni intrinseche.
Riuscire a farsi piacere le cose che si hanno da fare è sempre il modo migliore per farle davvero.
Per esempio l'impegno nello studio.
Il desiderio di raggiungere la laurea è una buona motivazione (estrinseca e positiva). Così come la paura di fare una figuraccia agli esami (estrinseca ma negativa).
Però quelli che riescono meglio sono gli studenti che traggono piacere dallo studio, che provano soddisfazione nell'imparare cose nuove.
Difficile scalare una montagna solo per il gusto di piantare una bandiera sulla vetta. Diventa più facile se trovi gratificante anche la salita.
Perché è difficile sentirsi motivati sul lavoro
Che la motivazione intrinseca sia molto importante, è facile da intuire.
Malgrado questo però domina un modello motivazionale del tutto diverso: quello basato su punizioni e ricompense.
Lo impariamo da piccoli a scuola (e qualche volta anche a casa). E ce lo ritroviamo sul lavoro.
Gli strumenti utilizzati per stimolare la produttività sul lavoro fanno leva sulle motivazioni estrinseche: incentivi economici, controlli e punizioni. Si presuppone che un dipendente lavori bene per avere dei soldi in più o per evitare di essere rimproverato (o licenziato).
Tanto management si limita a questo: il bastone e la carota. Al massimo condito da qualche slogan motivazionale del tipo siamo tutti una grande famiglia, evviva il lavoro di squadra.
Eppure tanti studi hanno scoperto che tutto questo funziona ben poco.
Qualche anno fa alla London School of Economics hanno preso in considerazione ben 51 studi diversi riguardo il rapporto tra incentivi economici e produttività.
Si sono trovati davanti un risultato per certi aspetti sorprendente: gli incentivi economici non solo non fanno aumentare la produttività, ma addirittura la peggiorano.
E perché succede?
Secondo gli autori della ricerca per due motivi.
Offrire premi in danaro riduce la motivazione intrinseca, la spinta interiore a portare a termine i propri compiti e il piacere che deriva dal processo lavorativo.
Inoltre tende a erodere l'adesione alle norme sociali esistenti nel luogo di lavoro, come per esempio la correttezza nei rapporti tra le persone. Di conseguenza deprime lo spirito di squadra e la collaborazione.
Tutto ciò ha un evidente impatto negativo sulle performance complessive.
Studi simili sono stati condotti anche da diverse università americane e hanno portato risultati simili.
Gli incentivi economici secondo questi studi funzionano solo in due casi.
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Funzionano se il lavoro da svolgere è estremamente semplice e comporta solo abilità meccaniche; smettono di funzionare se il lavoro richiede qualche abilità cognitiva o creativa.
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Funzionano quando gli stipendi sono troppo bassi. Le persone sotto pagate infatti tendono a essere demotivate e a lavorare male. Se si offre loro uno stipendio più alto, lavorano meglio. Però quando le persone ricevono uno stipendio adeguato alle loro mansioni e sufficiente a ottenere un certo standard di vita, i soldi smettono di essere motivanti.
Questi risultati dovrebbero scardinare tutto il sistema incentivante che domina in buona parte delle aziende private e pubbliche. E invece il sistema resiste. Sembra difficile anche solo immaginare qualcosa di diverso.
Di tutte queste ricerche parla Daniel Pink, scrittore saggista americano, in un libro dal titolo Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita.
Il modo migliore per usare il denaro come motivatore è pagare le persone abbastanza da togliere completamente dal tavolo la questione dei soldi. Paga le persone a sufficienza in modo che smettano di pensare ai soldi e comincino a pensare al lavoro. Una volta fatto questo si scopre che la scienza ha individuato tre fattori che inducono un miglioramento delle prestazioni.
Ecco quali sono:
- Autonomia - avere il controllo del proprio lavoro, avere voce in capitolo nel decidere a cosa lavorare, come e quando.
- Padronanza - diventare sempre più bravi, imparare, padroneggiare sempre meglio il lavoro e mettere questa competenza al servizio degli altri.
- Scopo - avere la sensazione di lavorare per qualcosa, per il raggiungimento di un obiettivo che va a beneficio della collettività.
Ora si potrebbe anche pensare che queste sono tutte cavolate. Che tutto ciò sarebbe bello in un mondo ideale ma che nella realtà le persone lavorano con impegno solo se vengono controllate e spaventate o allettate da promesse in termini di soldi e carriera.
Ma non ci sono solo le ricerche a dirci che non è vero. Ci sono anche esempi concreti che mostrano come autonomia, competenza e scopo sono ottimi motivatori.
È abbastanza conosciuto l'esempio di Google che incoraggia i suoi dipendenti a utilizzare il 20% del tempo di lavoro per elaborare progetti innovativi in totale autonomia. Da questi side project sono nati pezzi importanti di Google come gmail e google news. Anche il programma Search inside yourself di Chade-Meng Tan, di cui ho parlato qui sul blog, è nato così.
Richard Branson - il fondatore dell'impero Virgin (etichetta discografica, catena di palestre, compagnia area, e molto altro) - ha eliminato gli orari di lavoro in alcuni settori delle sue imprese. Massima autonomia nel decidere quando e quanto lavorare, e valutazione solo sui risultati. E non è l'unico ad avere sperimentato in questa direzione.
Poi ci sono fenomeni come Wikipedia: un sacco di persone che mettono a disposizione le loro competenze collaborando al più grande progetto di diffusione della conoscenza mai esistito. Ormai ci siamo abituati e magari ci lamentiamo per la superficialità o le inesattezze di alcune voci. Pensa però 15 anni fa se qualcuno ti avesse raccontato il progetto di una enorme enciclopedia online, gratuita, in 280 lingue diverse, con le voci redatte da volontari che non percepiscono nessun compenso per il loro lavoro... avresti mai detto che poteva funzionare? Eppure funziona: molte persone collaborano perché ne condividono lo scopo e perché ritengono gratificante esprimere la loro competenza.
Come (ri)trovare la motivazione
Possiamo fare ben poco per cambiare le regole del gioco sul posto di lavoro, però possiamo diventare bravi a motivare noi stessi, una volta capito quali sono le leve giuste.
Lasciamo quindi perdere ricompense, punizioni, sogni di gloria e di ricchezza. Lasciamo perdere anche le visualizzazioni, il pensiero positivo e i trucchetti motivazionali posticci.
Proviamo invece a riconnetterci con le motivazioni intrinseche più profonde e autentiche.
Ecco qualche idea su come fare.
1. Cerca di capire qual è la tua missione
In che modo quello che sto facendo contribuisce a rendere il mondo un posto migliore?
Sono molte le situazioni in cui farsi questa domanda può essere di grande aiuto.
Se sei incastrato a fare un lavoro che non ami (e al momento non lo puoi lasciare), dare un senso a quello che fai può essere di grande aiuto. Il tuo lavoro (oltre a portare soldi al tuo datore di lavoro) contribuisce a migliorare la vita di qualcuno? Forse sei solo una piccola rotella di un ingranaggio, ma prova a guardare l'ingranaggio nel suo insieme e a capire se ha un impatto positivo sul mondo.
Se hai appena deciso di iniziare un progetto personale che ha bisogno di tempo e lavoro per dare i suoi frutti, scava per bene dentro te stesso e cerca di capire quale scopo può avere quello in cui ti stai impegnando. Se le uniche cose che ti muovono sono i soldi o il riconoscimento sociale sappi che probabilmente non sono motivazioni sufficientemente profonde a sostenerti per un lungo viaggio. Conviene che guardi meglio dentro di te prima di imbarcarti in certe avventure.
Se stai scegliendo un percorso di studio o di carriera, introduci anche questo elemento nella tua valutazione. Domandati in che modo studiando una certa materia o intraprendendo una certa carriera potrai sentire di avere trovato il tuo posto nel mondo.
2. Considera l'apprendimento come uno dei tuoi obiettivi più importanti
Cosa ho da imparare? Che cosa mi insegna quello che sto facendo?
Diventare bravi in qualcosa è un obiettivo molto motivante. Sentirsi esperti, acquisire sicurezza, autorevolezza, capacità di muoversi con fiducia in certo ambito: sono ricompense forti per molti di noi.
Domandati sempre che cosa puoi imparare da quello in cui ti stai impegnando (che sia il lavoro o altro). Potrebbe non essere sempre facile capirlo, ma tieni in considerazione che l'apprendimento ha molte facce: è sicuramente imparare a svolgere una mansione o acquisire una nuova competenza, ma anche migliorare le abilità relazionali, scoprire qualcosa di nuovo su te stesso e sulle tue potenzialità, superare quello che credi essere un tuo limite.
3. Ricordati ogni giorno cosa stai facendo e perché
Ogni giornata porta con sé delle sfide, piccole o grandi che siano. Purtroppo è molto facile scivolare nella routine, scordare il perché degli impegni che abbiamo preso, lottare contro mille piccoli ostacoli e perdere così di vista il quadro generale.
Fare il punto della situazione ogni giorno è una bella abitudine.
Come è andata questa giornata appena conclusa? Cosa ho fatto?
Cosa mi aspetta nelle prossime 24 ore? Quali sfide devo affrontare? E perché le sto affrontando?
Tutto questo lo possiamo fare con il pensiero la sera prima di addormentarci, o meglio ancora con un un diario scritto.
Ci evita di trovarci sommersi in un mare di doveri senza riuscire più a ricordare le scelte che ci hanno motivato a intraprendere certe strade.
####4. Separa il lavoro dalla ricompensa
È possibile che ci venga la tentazione di fare il giochino dell'incentivo esterno con noi stessi. Dirci: ok, ora fai quello sporco lavoro e poi avrai una ricompensa.
Il problema con questo tipo di ragionamento è che rinforza l'idea che quello che dobbiamo fare sia spiacevole. E questo meccanismo ci porta a procrastinare.
Certe volte è davvero dura alzarsi dal divano per andare in palestra, o sbrigare quella pratica noiosa in ufficio, o spolverare la libreria. Il punto però è che il modo migliore per convincerci a fare tutte queste cose è scoprire il loro lato buono. Se invece utilizziamo da soli il sistema del bastone e della carota non faremo altro che allontanarci sempre di più dalle nostre motivazioni intrinseche.
Poi qualche ricompensa per il duro lavoro è sacrosanto darsela, ma meglio non abusarne come meccanismo motivazionale perché finisce con essere controproducente.
Per chiudere ti lascio un bel video: una animazione illustrata del discorso di Daniel Pink sulla motivazione. Merita, anche solo per i disegni ;)