Diversi anni fa, ho frequentato un master in comunicazione della scienza a Trieste. All'epoca avevo già un lavoro, e speravo di potere rilanciare la mia carriera lavorativa che era un po' stagnante.
Per essere ammessi a questo master c'era da superare una selezione. Le domande erano molte, i posti limitati, e quindi non era affatto facile essere scelti.
Mi presentai lì il giorno dell'esame scritto relativamente tranquilla. Feci il mio compito e me ne tornai a casa soddisfatta: avevo fatto del mio meglio, se fosse andata male, allora voleva dire che la cosa non faceva per me.
Andò bene, mi diedero un punteggio alto, e mi piazzai ai primi posti della graduatoria provvisoria.
Qualche settimana dopo c'era da sostenere un colloquio motivazionale, e più la data si avvicinava, più mi sentivo nervosa.
In passato, ad altri esami, mi era capitato di andare meglio negli scritti e peggio agli orali. I colloqui mi mettono più in agitazione, e ho spesso la sensazione di non riuscire a ragionare lucidamente.
Elucubrando su queste mie aspettative negative arrivai il giorno dell'orale in uno stato di estrema agitazione. Non mi ero preparata come avrei voluto, e al colmo dell'auto-sabotaggio avevo aspettato l'ultimo momento per prenotare il posto per dormire nella foresteria della scuola. Così non trovai posto e dovetti ripiegare in un brutto albergo in città, dove passai la notte praticamente in bianco.
Passai tutto il giorno davanti all'aula in cui si tenevano i colloqui. Ero l'ultima della giornata, quindi fu un'attesa lunga e snervante. Avrei potuto fare mille cose per cercare di rilassarmi, ma non riuscivo a pensare a niente se non all'ansia che avevo per il colloquio.
Fatto sta che feci una pessima figura. Mi sembrava di avere la mente annebbiata, parlavo con un tono di voce basso e insicuro e lo sguardo perso di chi sta dicendo: scusate, non so nemmeno io perché sono qui, tolgo presto il disturbo.
Alla fine sono riuscita a entrare lo stesso, ma quello scivolone non l'ho dimenticato.
Be', l'avevo detto io che i colloqui orali non sono il mio forte. Avevo ragione no? Lo scritto era andato bene, l'orale male. Tutto come da previsioni.
Ma siamo sicuri che sia proprio così?
Io so che avrei potuto farlo meglio quel colloquio. Mi bastò uscire dalla stanza perché mi venissero in mente risposte migliori di quelle che avevo dato. Allora perché ero stata così traballante? Che cosa mi aveva bloccato?
Aspettative che si trasformano in realtà
Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione
Questa frase, attribuita a Henry Ford, viene spesso citata come slogan motivazionale per affermare che qualsiasi cosa tu voglia realizzare nella vita, devi in primo luogo credere in te stesso e nelle tue potenzialità.
Però, la verità racchiusa all'interno di questa frase è più complessa. Nasconde meccanismi che sono stati oggetto di molti studi nel campo della sociologia e poi soprattutto della psicologia.
Si tratta della profezia che si autoavvera, un fenomeno molto diffuso e sfaccettato. Ci riguarda tutti, come società e come persone. Profezie che si avverano da sé sono in azione nel nostro modo di studiare, di lavorare, di educare i nostri figli e perfino di amare. Influenzano la politica, l'economia e la finanza. Sono meccanismi importanti, perché se siamo in grado di vederli e di capirli possiamo provare a governarli.
A questo tema è dedicato un bellissimo saggio, scritto dallo psicologo Davide Lo Presti, che ha studiato a lungo e in modo approfondito questo fenomeno. Il libro si chiama La profezia che si autorealizza. Il potere delle aspettative di creare la realtà, e leggendolo si capiscono molte cose. Per esempio si capisce perché quel mio colloquio orale di tanti anni fa è andato così male ;)
Prevedere il futuro
Ma cos'è questa profezia? Come fa ad autorealizzarsi? L'esempio che ci fa Davide Lo Presti all'inizio del libro è proprio adatto a capire il meccanismo. E si tratta di una storia vera, non di un esempio astratto.
È un fatto di cronaca, accaduto in Russia nel 2010. Un uomo si era fatto leggere il futuro da una cartomante che aveva fatto una oscura previsione: "Niente denaro, niente amore, né successo, né fama, ma la prigione e una vita grama". Pare che l'uomo davanti a questa profezia si sia infuriato e abbia cominciato a litigare con la cartomante. La lite è degenerata, l'uomo ha tirato fuori un coltello e ha ucciso due passanti che erano intervenuti cercando di calmarlo. È stato arrestato e poi processato e condannato a 22 anni di prigione. La profezia si è avverata.
La cartomante era davvero capace di prevedere il futuro? Probabilmente no. L'uomo - che evidentemente in effetti doveva avere una certa propensione alla violenza - ha preso per vere le sue parole, si è innervosito, e ha reagito in modo dissennato, finendo con il fare avverare la profezia.
Un altro esempio di tutt'altro genere, in cui il meccanismo è lo stesso. Metti che cominci a diffondersi la voce che l'istituto bancario tal dei tali sia sull'orlo del fallimento. I clienti della banca, spaventati da queste voci, andranno subito a chiudere i conti correnti e a ritirare i loro risparmi. La banca si ritroverà così in crisi e fallirà per davvero. Ecco un'altra profezia che si è avverata per il solo fatto che le persone l'hanno presa per vera.
Ancora, l'effetto placebo è un esempio di profezia che si autorealizza. È provato che se siamo convinti di stare assumendo un buon farmaco per un nostro problema di salute, tendiamo a sentirci meglio, anche quando il farmaco in realtà è solo una pillola di zucchero. La convinzione di stare facendo qualcosa di buono per la nostra salute, innesca nel nostro cervello e nel nostro corpo una serie di reazioni positive che da sole portano a un miglioramento delle nostre condizioni. Il che ovviamente non significa che si possa guarire dalle malattie con la sola forza del pensiero, ma sicuramente testimonia l'influenza che può avere su di noi una aspettativa positiva.
Bambini e insegnanti
Forse gli esempi fatti sopra possono sembrare solo dei curiosi aneddoti, situazioni strane e singolari.
Ma, come racconta Davide Lo Presti nel suo libro, in verità di queste profezie ce ne sono ovunque, ed esercitano su di noi un'influenza enorme.
Negli anni sessanta, in una scuola elementare alla periferia di una grande città americana è stato condotto un esperimento sorprendente. Gli studiosi Robert Rosenthal e Leonora Jacobson somministrarono agli allievi della scuola un test di intelligenza. Poi dissero agli insegnanti che quel test era in grado di predire quali bambini avrebbero migliorato il proprio rendimento scolastico. L'esito del test fu consegnato agli insegnanti che si ritrovarono con la lista degli allievi più promettenti della scuola.
Alla fine dell'anno scolastico, i ricercatori tornarono a scuola per parlare con gli insegnanti, i quali dissero che il test si era dimostrato affidabile: proprio gli alunni della lista si erano dimostrati i più bravi.
Gli psicologi però non si accontentarono della valutazione, pur sempre soggettiva degli insegnanti, ma decisero di ripetere il test di intelligenza. Fu dimostrato che proprio gli alunni che erano nella lista dei bambini più promettenti, avevano fatto passi da gigante: il loro QI era di molto migliorato rispetto all'inizio dell'anno e rispetto a quello degli altri bambini.
Bene, tutto regolare, cosa c'è di strano in questa storia? Si direbbe niente: gli psicologi hanno individuato correttamente, attraverso i loro test, gli alunni potenzialmente più bravi, e gli esiti scolastici hanno dato loro ragione. Quindi il loro test funzionava bene.
Già... peccato che in verità le cose non erano affatto andate così. I ricercatori avevano scelto completamente a caso i nomi da mettere nella lista. Agli insegnanti non era stato dato l'elenco dei bambini più promettenti, ma un elenco del tutto casuale. L'obiettivo della ricerca non era infatti quello di valutare l'efficacia del test, ma quello di capire se e come le aspettative degli insegnanti potevano influenzare il rendimento scolastico dei bambini.
E... bingo! Evidentemente, pur senza rendersene conto, gli insegnanti avevano trattato i bambini della lista in modo particolarmente incoraggiante. In qualche modo avevano innescato un circolo positivo, e i bambini della lista avevano finito con l'impegnarsi di più negli studi ottenendo risultati migliori degli altri. E tutto questo anche se i nomi della lista erano presi totalmente a caso.
Pazzesco, non è vero?
Attenzione alle etichette
Di esperimenti che dimostrano il potere delle aspettative nel creare la realtà ce ne sono svariati. Davide Lo Presti ne racconta diversi lungo tutto il suo libro. Scopriamo così che persone miti possono trasformarsi in feroci carnefici solo perché viene chiesto loro di impersonare delle guardie carcerarie. Che persone perfettamente sane di mente finiscono per essere considerate affette da gravi patologie psichiatriche solo in virtù di un'etichetta. E che quando assaggiamo del vino, questo ci sembra più buono se proviene da una bottiglia costosa (anche quando in verità si tratta di un vino da due soldi).
Le etichette, a quanto pare, sono particolarmente pericolose. Attenzione quindi a etichettare un bambino come lento o poco portato per gli studi. O a etichettare qualcuno come depresso, ansioso, instabile, insicuro. Queste etichette, se vengono prese per vere dalle persone interessate, diventano profezie che si autoavverano.
Lo stesso vale per le etichette che ci appiccichiamo addosso da soli. Quelle definizioni di noi stessi così convincenti e radicate che le prendiamo per vere senza mai tentare di metterle in discussione.
Un po' come faccio io quando sostengo di essere brava a sostenere gli esami scritti, ma scarsa quando si tratta di orali ;)
Il freno a mano psichico: perché andiamo nel pallone
Riguardo quest'ultimo tipo di profezie, quelle che potremo chiamare anche autosabotaggi, abbiamo abbastanza conoscenze da capire il loro funzionamento.
Nel libro La profezia che si autorealizza, Davide Lo Presti spiega in che modo la convinzione di avere la paglia nel cervello (come lo spaventapasseri del Mago di Oz) può inibire le nostre capacità cognitive, al punto da renderci effettivamente più stupidi o meno brillanti di quanto potremmo essere.
Il problema nasce dal nostro cervello, che è dotato di due diversi sistemi, con modalità di funzionamento opposte. C'è il sistema limbico: una parte di cervello antica, che abbiamo in comune con gli animali, e c'è la neocorteccia, che si è sviluppata più di recente. Il sistema limbico è la sede delle emozioni e degli impulsi: rappresenta la nostra parte più istintiva. La neocorteccia invece è la sede del ragionamento logico, razionale. Il sistema limbico, responsabile delle nostre reazioni istintive, è molto veloce ad attivarsi. Se vedi un animale feroce nella foresta devi scappare alla velocità della luce, e non metterti a fare sofisticati ragionamenti e ipotesi.
Quando ci troviamo a dovere eseguire un compito che per qualche motivo ci spaventa, il sistema limbico si attiva e prende il sopravvento, impedendo alla corteccia di svolgere per bene il suo lavoro.
Quello che accade a livello cerebrale quando dobbiamo affrontare un compito per il quale non ci reputiamo all'altezza, è che le aspettative di un insuccesso, il presagio di una situazione minacciosa, attivano l'ancestrale ed emotivo sistema limbico. L'impulsivo sistema limbico, messo in stato di allerta, produce una sgradevole sensazione di paura e di ansia che finisce letteralmente per bloccarci, impedendo l'attivazione dei circuiti dove risiedono le abilità analitiche e intellettuali che sarebbero necessarie per risolvere il compito che ci terrorizza.
Ed ecco ancora una volta la profezia che si avvera: siamo convinti di non potere svolgere un certo compito, questa convinzione ci mette ansia, l'ansia si comporta come un freno a mano psichico: invece di dare il meglio di noi stessi, non riusciamo ad accedere alle risorse di cui abbiamo bisogno, falliamo e alla fine diciamo a noi stessi: eh lo sapevo che non ci sarei riuscito.
Situazione da affrontare ---> aspettative negative --->freno a mano psichico ---> fallimento reale
Quando abbiamo davanti un compito sfidante, abbiamo bisogno di accedere al 100% delle nostre facoltà. Ma proprio perché il compito è sfidante, se lo percepiamo come troppo difficile, la paura di non riuscire ci blocca e rendiamo al 50%.
Cosa possiamo fare per evitare che scatti questa trappola?
Intanto, ci dice Davide Lo Presti, già essere consapevoli del meccanismo aiuta. Possiamo cioè cercare di ragionare con il nostro sistema emotivo e inviare segnali rassicuranti del tipo: un momento, non andare nel panico, puoi comunque fare qualcosa, troviamo il modo giusto per reagire a questa situazione.
Oppure - questa è un'ipotesi mia, l'autore del libro non lo dice - possiamo cercare, sempre con il potere della logica e del ragionamento, di depotenziare il fallimento. Alla fine, perché dovrebbe spaventarci così tanto l'idea di fallire? Se proviamo a contemplare il fallimento come una delle possibilità, e impariamo a non farci prendere dall'ansia al solo pensiero che le cose potrebbero andare male, possiamo presentarci ai nostri appuntamenti importanti con una certa tranquillità, e quindi avere maggiori possibilità di riuscire.
La condizione opposta a quella del freno a mano psichico è quella che lo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi chiama flow (flusso): cioè quella situazione in cui siamo perfettamente calati in quello che stiamo facendo, sereni, concentrati, totalmente presenti a noi stessi. Nello stato di flow non c'è spazio per la paura, perché non ci interessa vincere o perdere, stiamo solo dentro il presente, e riusciamo a dare il meglio di noi.
Per concludere
Le profezie che si autorealizzano sono un meccanismo molto presente nelle nostre vite, ma difficilmente siamo in grado di vederle in azione. Finiamo con il dirci: l'ho sempre saputo che sarebbe andata così, senza renderci conto che, nel bene e nel male, le cose non sono andate così da sole... siamo stati noi a influenzare, con le nostre convinzioni, il corso degli eventi.
Per quanto mi riguarda, alla fine di questa bella lettura, mi sono portata a casa due insegnamenti fondamentali.
Il primo è quello di fare maggiore attenzione alle mie convinzioni. Che riguardino me stessa o gli altri, vale sempre la pena interrogarsi: siamo sicuri che le cose stiano proprio così? questa convinzione si basa su fatti oggettivi? non posso fare niente per metterla in discussione?
Il secondo insegnamento, diretta conseguenza del primo, riguarda le azioni. Come mi comporto io in base alle mie convinzioni? Quello che penso di me stessa (e degli altri) come influenza le cose che faccio (o che non faccio)?
Perchè alla fine - questo l'autore del libro La profezia che si autorealizza lo sottolinea sempre - quello che conta sono proprio le azioni. Queste profezie - nella loro veste positiva, così come in quella negativa - non si avverano per magia. Si avverano perché noi ci crediamo e finiamo con l'agire in base al fatto che le crediamo vere.