Prendi un quaderno e una penna, poi comincia a scrivere per qualche minuto rispondendo a una di queste domande a tua scelta:

  • Come ti senti in questo momento?
  • A cosa stai pensando?
  • Quali sono le tue emozioni?
  • Come è stata la tua giornata finora?

Ecco, con questo semplice esercizio ti dò il benvenuto nel mondo della scrittura autobiografica. Scrivere di se stessi, per sentirsi meglio o anche per essere letti. Come esercizio personale, intimo, privato, oppure per aprirsi agli altri e narrare la nostra storia.

La scrittura, come tutte le attività artistiche, è un modo per esprimersi. Scrivendo diamo voce a pensieri, emozioni, desideri, progetti. Prendiamo qualcosa che sta nel nostro mondo interiore - fatto di emozioni, ricordi, aspettative - e la portiamo fuori, in forma di parola scritta.

Può sembrare ridondante scrivere di se stessi. Io so chi sono, so quali sono i miei pensieri, conosco le mie emozioni, le mie paure, le mie gioie e i miei dolori. Conosco anche il mio passato, custodisco i miei ricordi, e conosco anche le mie aspettative, così come i miei timori per il futuro. Perché dovrei scrivere di tutto questo? A cosa serve?


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Io credo che serva prima di tutto a dare forma a quello che si muove dentro di noi in modo sfumato, magmatico, talvolta confuso e inafferrabile. I pensieri e le emozioni non si presentano alla nostra coscienza come fossero parole, e men che meno frasi di senso compiuto. Il nostro mondo interiore, più che a una pagina scritta, somiglia a un sogno, che si muove simultaneamente su diversi piani, dove si formano associazioni di immagini e di idee, con molte zone d'ombra, territori bui e inesplorati. Nel tradurre tutto questo ribollire in una sequenza più o meno ordinata di parole e frasi, il nostro vissuto cambia forma. Ciò che ci spaventava a morte può essere guardato. Ciò che ci appariva privo di senso ne acquista finalmente uno. Il significato che abbiamo dato a certi eventi o a certi incontri si trasforma. Oggetti sfocati che stavano sullo sfondo diventano ben chiari e delineati. Un dolore inesprimibile finalmente può essere raccontato.

Scrivendo, certi pensieri acquistano forza, mentre altri, una volta consegnati alla carta, possono essere lasciati andare.

È per questo che scrivere è terapeutico. È come prendere del materiale grezzo - che talvolta può pesare dentro di noi come fosse un macigno - e ricavarne una forma, qualcosa che finalmente può essere visto, capito, e rimodellato.

Scrivere significa sciogliere nodi, dipanare matasse, costruire una superficie liscia in cui specchiarsi.

Scrivere per sé: esercizi di scrittura autobiografica

La scrittura autobiografica può essere una pratica intima del tutto personale, qualcosa che facciamo per noi stessi, senza avere in mente un lettore. Possiamo scrivere per elaborare il nostro vissuto, tenere traccia degli eventi, focalizzare meglio il percorso che stiamo facendo.

Lo strumento principe della scrittura autobiografica è il diario. Tutti noi (o quasi tutti), in un qualche momento della nostra vita ne abbiamo avuto uno.

Io conservo ancora il mio primo diario. Mi fu regalato quando avevo otto anni. Non ci scrivevo tanto, ho impiegato più di due anni a riempirlo, eppure me lo ricordo molto bene, come una cosa importante della mia infanzia. Poi ne ho tenuti altri, in vari momenti della mia vita. Da un po' ho ripreso l'abitudine e ormai la porto avanti, tra altri e bassi, da quasi sei anni.


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Direttamente dagli anni settanta il mio diario di bambina

Tenere un diario intanto significa decidere di prendere un appuntamento quotidiano con se stessi, un momento della giornata in cui riflettere per qualche minuto. Un modo per prendere contatto con quel che c'è. Certe volte, soprattutto se abbiamo una vita molto impegnata, arriviamo a sera con la sensazione di avere corso tutto il giorno senza pause, senza un momento di silenzio, di riflessione; senza un pensiero rivolto all'interno. L'abitudine a tenere un diario, anche solo per qualche minuto al giorno, diventa l'occasione per contattare le nostre parti più profonde e capire come ci sentiamo, come sta andando la nostra vita, a che punto siamo con i nostri desideri e i nostri progetti.

Un diario può essere fatto di pagine completamente libere, che riempiamo a seconda di quello che abbiamo in mente nel momento in cui scriviamo; oppure lo possiamo strutturare. Alcune persone per esempio non si trovano bene a tenere un diario, non ci trovano un senso, non sanno cosa scrivere. In questi casi, se c'è comunque il desiderio di scrivere qualcosa, si può provare con un diario strutturato. Per esempio possiamo decidere di tenere un diario della gratitudine, oppure scegliere il five minute journal, un diario organizzato in cinque sezioni diverse, secondo uno schema che si ripete ogni giorno.

Una variante interessante del diario sono le pagine del mattino di cui parla Julia Cameron nel libro La via dell'artista. Come ascoltare e far crescere l'artista che è in noi. Si tratta di scrivere appena svegli, come primissima attività del mattino, tre pagine di quadernone (quelli formato A4 per intenderci), lasciando semplicemente fluire i pensieri sulla carta, senza fermarsi a riflettere, restando nel flusso di quel che ci viene in mente istante dopo istante. Io l'ho fatto per qualche tempo, ma tre pagine di quadernone sono davvero tante. Così ho praticato un'auto-riduzione, e mi sono limitata a tre pagine di quaderno normale (e anche così comunque servono almeno 20 minuti). Lo trovo un esercizio molto benefico: ho notato che nei periodi in cui lo faccio le mie giornate hanno una marcia in più. Probabilmente dipende da tanti fattori, tra cui il cominciare la giornata facendo qualcosa per noi, restando ancora un po' avvolti nel calore del sonno, invece di precipitarci sullo smartphone a controllare le notifiche.

È interessante quello che dice Julia Cameron a proposito di questo esercizio.

Sebbene le pagine del mattino possano essere talvolta piacevoli, sono più spesso negative, frammentarie, ripetitive, autocommiseranti, ampollose o puerili, rabbiose o ironiche, e possono persino suonare stupide. Bene!
Tutta questa immondizia lacrimosa, rabbiosa e futile che scrivete ogni mattina sta tra voi e la vostra creatività.

Secondo l'autrice, le pagine del mattino servono a riversare sulla carta tutte quelle preoccupazioni inutili e quei pensieri lamentosi che tendono ad annebbiarci la mente. Consegnandole alle pagine del mattino, in qualche modo ce ne liberiamo; il nostro benessere migliora, ed anche la nostra creatività se ne può avvantaggiare.

Un ultimo esercizio di scrittura autobiografica che vorrei citare, è quello ideato dallo psicologo James Pennebaker. Non mi ci soffermo molto perché ne ho parlato nel dettaglio in questo articolo: scrittura espressiva. Questo esercizio prevede di prendere un appuntamento con la nostra penna per quattro giorni di seguito per dedicarsi a quattro sessioni di scrittura di circa venti minuti l'una, durante le quali scrivere riguardo una situazione difficile che ci sta turbando, o che ci ha turbato in passato. È un esercizio molto utile per elaborare emozioni negative e per fare chiarezza in momenti in cui magari ci sentiamo un po' annebbiati riguardo una decisione da prendere, per esempio.

Se quindi abbiamo voglia di prendere la penna in mano e dedicare qualche momento a scrivere, di possibilità ce ne sono tante. Diari, esercizi, scrittura espressiva, pagine del mattino.

E se volessimo andare ancora oltre? Se volessimo cioè scrivere non solo per noi stessi ma anche per gli altri? Per fare leggere le nostre cose a un pubblico, piccolo o grande che sia?

Scrivere per gli altri

La scrittura autobiografica può anche diventare una vera e propria narrazione. Ci può capitare, per mille motivi diversi, di volere comunicare ad altri alcuni aspetti della nostra vita. Narrarsi, raccontarsi, può rispondere a molti bisogni: lasciare una traccia, comunicare su un tema delicato, condividere un'esperienza, trasmettere ricordi.

Quando scriviamo di noi stessi rivolgendoci ad altri, restano intatte le virtù terapeutiche dello scrivere. Anche qui infatti elaboriamo il nostro vissuto, creiamo nuove forme, illuminiamo zone d'ombra. Ci troviamo però a muoverci in un territorio diverso: nella scrittura autobiografica intima e personale abbiamo solo bisogno di riversare sulla carta quello che ci viene in mente. Qui invece dobbiamo diventare capaci di comunicare, di rendere cioè la nostra storia interessante, avvincente, coinvolgente, capace di intrattenere... insomma qualcosa che valga la pena leggere.

Ma agli altri interessa la nostra vita? Perché dovrebbero prendersi la briga di leggere la nostra storia?

Gli scaffali delle librerie sono pieni di storie autobiografiche. Spesso sono di personaggi famosi, dagli sportivi agli imprenditori, passando attraverso gli attori e gli stessi scrittori. In genere sono storie che interessano proprio perché chi le ha scritte ha acquisito una certa notorietà. Nelle biografie delle persone di successo cerchiamo ispirazione e consiglio, oppure vogliamo conoscere i dettagli della vita di un personaggio che ammiriamo.

Ma non sono solo queste le storie autobiografiche che vengono lette. Ce ne sono altre, a volte anche più interessanti, che raccontano vicissitudini più comuni, nelle quali molte persone si possono riconoscere.

Per quanto possa sembrare un paradosso, la tua autobiografia in fondo non ha molto a che vedere con la tua vita.

Lo so, è una provocazione, ma cerco di spiegarmi. Un racconto autobiografico è interessante quando è in grado di evocare significati condivisi, quando parla di temi che toccano altre vite, quando è capace di uscire dalla specificità del tuo vissuto per parlare un linguaggio universale.

Se siamo capaci di fare questo, cioè distillare a partire dalla nostra esperienza, qualcosa che sia ricco di significato anche per altri, allora ogni esperienza può diventare buona per costruirci un'autobiografia.

Essere genitori, ammalarsi, viaggiare, affrontare una difficoltà e superarla. Imparare a perdonare, scoprire il proprio talento, superare le sfide, fare pace con il passato, affrontare i pregiudizi, fare un sacrificio. Questi sono i temi di fondo che possiamo trattare nella nostra autobiografia.

Nel momento in cui dalla tua storia emerge un tema universale, allora quello che scrivi può toccare e ispirare le vite degli altri.

Dal diario al racconto autobiografico

Ma gli esercizi di scrittura autobiografica che facciamo per noi stessi, quelli intimi e personali, che non devono essere letti da nessuno, cosa hanno a che vedere con lo scrivere un racconto autobiografico?

In apparenza ben poco. Quando scriviamo per essere letti le regole del gioco sono altre. È necessario affinare l'efficacia comunicativa della nostra scrittura. Scrivere correttamente, certo, ma anche cercare di essere chiari e avvincenti; dare ritmo alla narrazione, creare un po' di attesa, insomma metterci tutti quegli elementi che di solito cerchiamo in un libro da leggere.

Però io mi sono convinta che trovare uno spazio quotidiano in cui coltivare la scrittura autobiografica per se stessi, sia un'ottima base di partenza per arrivare poi a scrivere per essere letti.

Scrivere può metterci in difficoltà in molti modi diversi. Molte persone vogliono scrivere, ma poi si bloccano, si autocensurano, e alla fine rinunciano.

Quando siamo davanti a una pagina bianca, la comunicazione, che ci sembrava tanto facile a parole, diventa un problema. Ci preoccupiamo della grammatica, della sintassi, e di come suonano le nostre parole. Sembrerò abbastanza autorevole scrivendo questo? È in bello stile?
È come se parlare e scrivere appartenessero a due regni completamente diversi. Quello che ci sembrava tanto facile e chiaro da dire a voce, diventa faticoso da mettere per iscritto.

Davanti alla scrittura diventiamo insicuri. È come se avessimo bisogno di parole diverse, e di una sintassi diversa. Forse ci portiamo dentro la maestra di scuola con i suoi segnacci rossi e blu a sottolineare i nostri errori.

Tutto questo ovviamente blocca la nostra creatività e le nostre capacità espressive.

Ecco, esercitarsi con la scrittura autobiografica - con un diario, con le pagine del mattino, con la scrittura espressiva - ci può aiutare moltissimo a superare questi blocchi. Quando scriviamo per noi stessi non abbiamo alcuna altra esigenza che non sia quella di fare uscire qualcosa che sta nella nostra testa dandogli una forma fatta di parole e frasi. Ci possiamo concentrare su questo, che è la vera essenza della scrittura: prendere qualcosa che sta dentro di noi - un'idea, un'immagine, un'emozione, un pensiero - ed esprimerla al nostro meglio con parole scritte.

Abituarci a fare questo senza censure, scrivendo di getto, solo per noi stessi, può fare moltissimo.

Certo, il materiale che produciamo in questo modo di solito non è adatto a essere letto. Non è pulito, probabilmente è confuso, ripetitivo, pieno di errori, di inutili giravolte. Ma una volta che l'abbiamo, una volta che abbiamo imparato a lasciarci andare nella scrittura, a lasciare che le parole e le frasi escano in modo spontaneo, abbiamo già fatto un enorme passo avanti.

Il passaggio successivo sarà cercare di capire come quello che abbiamo scritto con tanta spontaneità, può essere riscritto, revisionato, rielaborato, limato, in modo che rappresenti al meglio quello che vogliamo comunicare. Tutto qui. Non ci serve niente altro. Non serve un lessico ricercato, uno stile elaborato, le frasi a effetto, gli aggettivi raffinati. Non serve la bella scrittura fine a se stessa. Molto meglio armarsi di sincerità e pazienza. La carta è come la tela per il pittore, ci interessa trovare il modo di trasferire lì l'immagine che abbiamo nella testa, e per farlo usiamo le parole nel modo migliore che conosciamo, prendendo la via più diretta e semplice, che nove volte su dieci è anche la migliore ;)


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Sul tema della scrittura autobiografica, ho partecipato il 27 ottobre 2018 al convegno/laboratorio La bellezza delle parole, organizzato da Nicoletta Cinotti.

Qui c'è un breve video girato a margini del convengo con una sintesi del mio intervento.