All'inizio del 2000 uscì un libro destinato a diventare un punto di riferimento per molti amanti della scrittura. Un libro a metà strada tra autobiografia e manuale nel quale Stephen King ha raccontato ai suoi lettori alcuni retroscena della sua vita di scrittore, e fornito consigli a chi intende dedicarsi con serietà al compito di comporre storie.

Il libro si chiama On Writing, autobiografia di un mestiere, e già nel sottotitolo tradisce la visione di King: la scrittura è soprattutto un mestiere, non necessariamente un'arte, non una dote innata, non un'attività per pochi eletti baciati dal talento assoluto.

La copertina del libro On Writing di Stephen King

In realtà, i consigli che King offre agli aspiranti scrittori non sono moltissimi. Non si dilunga a parlare di tecniche, di trama, di stile; parla soprattutto di come lavora lui (anzi di come lavorava, visto che questo libro è stato scritto più di vent'anni fa, quindi è verosimile che qualcosa nel corso del tempo sia cambiato) e di quali sono a suo avviso gli strumenti essenziali di cui dovrebbe dotarsi un aspirante scrittore.

Il motivo di questo approccio così sintetico alla materia lo svela proprio nella prefazione.

Questo è un libro breve perché la maggior parte dei libri sulla scrittura sono pieni di scemenze. I romanzieri, sottoscritto compreso, non capiscono molto di quello che fanno, non sanno perché funziona quando va bene, non sanno perché non funziona quando va male.

Una delle parti più citate di On Writing riguarda quella fantomatica porta (reale e metaforica) che dobbiamo chiuderci alle spalle per scrivere: quando arriva il momento giusto per riaprirla?

La scrittura è un lavoro solitario, e la gratificazione non è immediata. Se per esempio mi impegno a pulire la mia camera un paio d'ore, alla fine avrò la soddisfazione di una stanza bene in ordine e pulita. Se quelle stesse due ore le investo a scrivere, alla fine avrò qualche centinaio di parole, che forse potrebbero essere parte di qualcosa, o forse no, forse qualcuno un giorno le leggerà o forse no, forse sono venute bene o forse sono da buttare. Insomma decisamente meno soddisfacente nell'immediato.

Alcune persone dicono: io scrivo solo per me, e ok, può avere senso, ci sono scritture private destinate a restare tali (diari, appunti, esercizi). Ma se la pratica della scrittura davvero ci interessa e ci coinvolge prima o poi sentiamo il bisogno di condividere quello che abbiamo scritto e chiedere un riscontro: ti piace? è interessante? funziona? comunica qualcosa?

Ma qual è il momento giusto per andare a caccia dei nostri primi lettori e chiedere un parere?

Secondo King durante la prima stesura è meglio tenersi al riparo dagli sguardi esterni.

Se siete principianti lasciatemi insistere sull'opportunità di riscrivere la vostra storia almeno una volta: la prima con la porta chiusa e la seconda con la porta aperta.
Con la porta chiusa, scaricando direttamente sulla pagina quello che ho nella testa, io scrivo il più velocemente possibile senza preoccupazioni.
Questa prima bozza, la bozza della Storia Pura, è bene che sia scritta senza aiuti (o interferenze) esterne.

La storia in questa fase è come un campo di neve fresca, senza altre impronte che le vostre, ed è meglio che resti così finché non riusciamo noi per primi a capire meglio cosa abbiamo scritto. Quando la storia è ancora materia magmatica può bastare poco a mandarci fuori strada o a farci confondere.

Quando la prima stesura è terminata, King consiglia di prendersi un bel periodo di pausa per lasciare decantare la nostra storia. Quanto tempo? Lui consiglia almeno sei settimane. Il tempo dovrebbe essere sufficiente a farci prendere le distanze da quello che abbiamo scritto.

Quando arriva la sera giusta (che potreste avere segnato sul vostro calendario in ufficio), recuperate il vostro manoscritto dal cassetto. Se vi appare come un relitto sconosciuto comprato in qualche mercatino delle pulci dove stentate a ricordare di esservi fermati a qualche bancarella, allora siete pronti. Sedetevi con la porta chiusa (l'aprirete al mondo tra poco), con una matita in mano e un bloc notes accanto. A questo punto rileggete.

Qui parte il lavoro di revisione, la seconda stesura, con la quale si va anche a caccia di errori e si migliora lo stile, ma l'obiettivo principale è capire meglio di cosa stavamo veramente parlando, fare in modo che tutto risulti coerente, che emerga magari una visione; controllare che i personaggi si comportino in modo allineato al loro carattere e che non ci siano buchi o forzature nella trama.

A questo punto, e solo a questo punto, secondo King arriva il momento di aprire la porta e di coinvolgere pochi e selezionati lettori e di ottenere i primi riscontri.

Quello che si ottiene facendo leggere il proprio lavoro ad amici e parenti è, ovviamente un parere soggettivo. Qualcuno sostiene che non bisogna farlo perché i nostri affetti non saranno mai oggettivi nel valutare quello che abbiamo scritto. E questo forse è vero, ma se le persone che abbiamo coinvolto sono buoni lettori e buoni amici troveranno senza dubbio il modo di esporre le loro opinioni senza offendere troppo la nostra sensibilità. E possono essere opinioni utili, senza dubbio soggettive, da valutare caso per caso; però, se capita che tutti vi dicano che nello stesso punto c'è qualcosa che non va... è molto probabile che abbiano ragione.

Il bisogno di ricevere approvazione e supporto è naturale, lo è ancora di più quando abbiamo speso mesi (se non anni) a lavorare alla nostra storia. Siamo tutti bisognosi di approvazione in una certa misura, inutile fare finta di no.

Ma durante la prima stesura, la storia è ancora troppo fragile per esporla allo sguardo esterno. Abbiamo ancora bisogno di chiarire a noi stessi il significato di quello che stiamo facendo. Meglio restare con la porta chiusa finché non abbiamo la sensazione di essere abbastanza solidi per potere accogliere lo sguardo dell'altro.

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Writing Lab è la mia rubrica settimanale sulla scrittura.
Mi piace leggere i manuali di scrittura e imparare qualcosa sulla tecnica. Mi piace forse ancora di più leggere i testi che i grandi autori hanno dedicato al loro mestiere. Se ne ricavano consigli pratici ma anche suggerimenti su come affrontare con la giusta mentalità il lavoro di scrivere storie. È confortante scoprire che quasi tutti se la devono vedere con l'insicurezza, le voci critiche e il dubbio di non essere all'altezza delle proprie intenzioni. Scrivere secondo me fa bene proprio perché è un atto di fiducia.
Ogni settimana scrivo un piccolo pezzo, con alcuni consigli - di solito non i miei, ma quelli degli scrittori che leggo - e provo a costruirci attorno un esercizio. Puoi seguire la rubrica qui sul blog, sotto l'etichetta Writing Lab, oppure sul Canale Telegram