Lo scrittore scrive di cose a cui gli altri non prestano molta attenzione. Per esempio della nostra lingua, dei nostri gomiti, dell'acqua che esce dal rubinetto, dei camion della nettezza urbana di New York, del colore violetto di una vecchia insegna in una piccola città.

Ho letto questa frase all'inizio di uno dei brevi capitoli del libro di Natalie Goldberg Scrivere Zen. Il capitolo si intitola Essere turisti nella propria città.

La copertina del libro Scrivere Zen di Natalie Goldberg

Quando ce ne andiamo in giro in un ambiente che ci è familiare smettiamo di osservare con attenzione. Attraversiamo il nostro quartiere assorbiti dai pensieri, stiamo dietro soprattutto al nostro lavorio mentale; i nostri sensi si intorpidiscono perché quando siamo immersi in tutto quello che per noi è consueto e familiare non abbiamo particolari motivi per stare attenti.

Ce ne accorgiamo quando siamo in viaggio e i nostri sensi si risvegliano. Non facciamo altro che guardarci intorno e ogni cosa sembra meritare la nostra attenzione perché è nuova. Facciamo caso al colore del mare, ai fiori appesi ai balconi, all'insegna scrostata della stazione di un piccolo paese, alle targhette di ceramica che indicano il numero civico. Percepiamo odori e sapori e ci facciamo più attenzione perché non ci sono familiari. Chissà, probabilmente è un retaggio dei nostri antenati, che dovevano stare molto attenti quando cambiavano ambiente per intercettare eventuali pericoli e risorse.  

Mi è subito venuto in mente un bellissimo pezzo di Gay Talese, uno scrittore statunitense considerato uno dei fondatori del giornalismo narrativo. Talese è famoso per avere scritto negli anni sessanta articoli di grande fascino su personaggi iconici come Frank Sinatra e Joe di Maggio. Questo pezzo è dedicato alla città in cui era andato a vivere dopo la laurea, e comincia così:

New York è una città di cose che passano inosservate. In questa città i gatti dormono sotto le auto parcheggiate, due armadilli di pietra si arrampicano su per i muri della cattedrale di San Patrizio e migliaia di formiche si radunano in cima all'Empire State Building. Probabilmente sono stati gli uccelli o il vento a portare lassù le formiche, ma nessuno lo sa per certo; a New York nessuno sa delle formiche più di quanto sappia dell'accattone che prende sempre il taxi per la Bowery, o del signore azzimato che fa la cernita dei rifiuti frugando nei cestini della sesta Avenue, o della medium sulla West Seventies che proclama: "sono chiaroveggente, chiaroudente e chiarosenziente".
New York è il paradiso degli eccentrici e una miniera di notizie curiose. I newyorkesi sbattono le palpebre ventotto volte al minuto, quaranta quando sono nervosi. Molti mangiatori di pop corn allo Yenkee Stadium smettono di masticare un istante prima del lancio. I masticatori di gomma sulle scale mobili di Macy's smettono di far lavorare le mascelle un istante prima di smontare, per concentrarsi sull'ultimo scalino. Nel pulire la vasca dei leoni marini, allo zoo del Bronx, gli addetti portano a galla monete, graffette, biro e agendina da bambina.

E va avanti così, elencando statistiche apparentemente prive di qualsiasi importanza, e piccoli fatti, a volte piccolissimi, ai quali nessuno presta attenzione, come i vicoli infestati di gatti randagi, i trombettisti e i baristi stanchi che rientrano a casa alle cinque di mattina, un ex-pugile che si è reinventato massaggiatore per ricche signore, il traffico di Manhattan che rallenta quando piove, le persone in fila per il cinema di mattina.

È difficile imparare a prestare davvero attenzione a quello che abbiamo attorno, e non è per niente scontata la capacità di andare a ripescare il dettaglio giusto al momento giusto quando scriviamo. Però secondo me è quello che bisogna cercare di fare, altrimenti ci troveremo a scrivere solo di "cieli blu", "tramonti mozzafiato" e "montagne verdi". Intendo dire che se ci manca questa capacità di osservare finiremo per usare immagini ed espressioni posticce, da cartolina, e ci lasceremo sfuggire una grande quantità di dettagli, spunti, oggetti, odori, sapori, che potrebbero dare a quello che scriviamo un diverso spessore.

Dice ancora Natalie Goldberg

Imparate a scrivere di ciò che è banale. Rendete omaggio alle tazzine da caffè, ai passerotti, agli autobus, ai tramezzini al prosciutto. Buttate giù un elenco di ciò che di più banale riuscite a immaginare. Ogni volta che vi capita, aggiungete qualche nuova voce. Ripromettetevi, prima di lasciare questa terra, di citare almeno una volta in una poesia, in un racconto o in un articolo ciascuna delle cose che avete elencato.

Ecco quindi un esercizio. La prossima volta andate a fare due passi, o che prendete l'autobus per andare in centro, o uscite per una commissione, provate a fare caso a quello che avete attorno. Provate a sentirvi per una volta turisti nella vostra città e annotate mentalmente quello che incontrate, come se fosse la prima volta. Poi, una volta a casa, fate un elenco di quello che avete osservato, e spendete qualche parola, o qualche frase, per descriverlo.

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Writing Lab è la mia rubrica settimanale sulla scrittura.
Mi piace leggere i manuali di scrittura e imparare qualcosa sulla tecnica. Mi piace forse ancora di più leggere i testi che i grandi autori hanno dedicato al loro mestiere. Se ne ricavano consigli pratici ma anche suggerimenti su come affrontare con la giusta mentalità il lavoro di scrivere storie. È confortante scoprire che quasi tutti se la devono vedere con l'insicurezza, le voci critiche e il dubbio di non essere all'altezza delle proprie intenzioni. Scrivere secondo me fa bene proprio perché è un atto di fiducia.
Ogni settimana scrivo un piccolo pezzo, con alcuni consigli - di solito non i miei, ma quelli degli scrittori da cui prendo ispirazione - e provo a costruirci attorno un esercizio. È un laboratorio: combino gli elementi che ho a disposizione, cerco di produrre qualcosa di sensato e di utile per chi, come me, ama scrivere. Puoi seguire la rubrica qui sul blog, sotto l'etichetta Writing Lab, oppure sul Canale Telegram.