Io sono una grande sostenitrice della scrittura come mezzo espressivo. Sono convinta che quando siamo incasinati, o giù di morale, o quando dobbiamo prendere una decisione, l’opzione migliore che abbiamo è prendere carta e penna e scriverne. Ne sono così convinta che lo faccio da anni ogni mattina appena mi sveglio, prima ancora di alzarmi da letto: prendo un quaderno e la mia penna preferita e scrivo. Quello che scrivo al mattino in questo modo è orribile, a volte sconclusionato, ripetitivo e sciatto. Sono quelle che Julia Cameron, autrice del celebrato La via dell'artista, chiama le pagine del mattino ed è giusto che siano così; servono, secondo l'autrice, proprio a svuotare la mente da tutta quella
immondizia lacrimosa, rabbiosa e futile che si frappone tra voi e la vostra creatività.
Quello che scriviamo per organizzare i pensieri o dare forma alle nostre emozioni, non è quasi mai adatto a essere letto da altri. Se quello che vogliamo è avere dei lettori, allora è necessario che la nostra scrittura, oltre a esprimere qualcosa di noi, sia anche capace di comunicare agli altri. A volte chi comincia a scrivere tende a confondere i due piani pensando: se questa cosa è importante per me, mi emoziona, sarà così anche per gli altri. E invece non è automatico che sia così, non lo è proprio per niente.
In uno dei brevi saggi raccolti nel libro Il mestiere di scrivere, Raymond Carver rifletteva sulla differenza tra gli aspetti espressivi e quelli comunicativi della scrittura.
Ricordatevi che una poesia non è solo un atto di espressione personale. Una poesia o un racconto è un atto di comunicazione tra lo scrittore e il lettore. Chiunque può esprimersi, ma quello che gli scrittori e i poeti vogliono fare nelle loro opere, più che limitarsi a esprimere se stessi, è comunicare, giusto? C’è sempre l’esigenza di tradurre i propri pensieri e le proprie preoccupazioni più profonde in un linguaggio che li fonda in una forma – narrativa o poetica – nella speranza che il lettore li possa capire e possa provare quelle stesse sensazioni e interesse.

È vero che la scrittura è un viaggio in solitaria, ma in questo viaggio chi scrive è come se fosse sempre seduto in compagnia di un'ombra, quella del lettore che con le sue idee e le sue emozioni contribuirà a dare significato a quello che l'autore ha scritto.
Le sensazioni e le intuizioni del lettore accompagnano e integrano sempre un brano letterario. È una cosa inevitabile e anche auspicabile. Ma se il carico principale di quello che lo scrittore ha da dare rimane alla stazione di partenza, quel brano, a mio modo di vedere, è in gran parte fallito. Credo di essere nel giusto quando penso che quella di essere capito sia una premessa fondamentale da cui qualsiasi buono scrittore deve prendere le mosse o, piuttosto, una meta da prefiggersi.
Secondo me un esercizio interessante per passare dalla scrittura personale a quella rivolta a un pubblico è lavorare con le lettere.
Scrivere avendo in mente un lettore indistinto può non essere sufficiente per muoversi in avanti. Scrivere per tutti è un po' come scrivere per nessuno e alla fine il rischio è di restare fermi al punto di partenza, che è quel desiderio di scrivere per esprimersi da cui forse tutti cominciamo, ma che non ci garantisce affatto di riuscire anche a comunicare.
Se invece scriviamo una lettera abbiamo ben chiaro chi è il destinatario delle nostre parole, e questo può aiutarci a orientare meglio la nostra scrittura.
Ecco un esercizio. Pensa a qualcosa che ti sta particolarmente a cuore: un problema, un progetto, un desiderio, una preoccupazione, e raccontalo in una lettera indirizzata a una persona che conosci. Cerca di comunicare nel modo più chiaro possibile quello che pensi e che senti, non dare niente per scontato, sforzati di trovare parole tue, senza ricorrere a frasi fatte. Poi lascia riposare questa lettera per un paio di settimane. Potrebbe essere lo spunto per un racconto? Potresti riscriverla, mascherando se vuoi alcuni dettagli autobiografici e rendendola ancora più universale per un pubblico più vasto?
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