Sulla strada giusta di Francesco Grandis

La storia raccontata in Sulla strada giusta comincia nel 2009.

C'è un uomo di 32 anni con una buona laurea in tasca e un lavoro. Più nel dettaglio: è un ingegnere e lavora in una piccola impresa nel settore della robotica industriale.

È giovane. Ha tutta la vita davanti, come si dice in questi casi. In giro tira aria di crisi economica ma lui per fortuna ha un lavoro stabile con il quale si mantiene più che dignitosamente.

Lo vediamo mentre guida la sua auto per andare a trovare i genitori con i quali ha bisogno di parlare.
E durante il tragitto a un certo punto si mette a piangere. Piange così forte che è costretto ad accostare l'auto per dare libero sfogo alle lacrime.

A me personalmente stanno simpatici gli uomini che non si vergognano delle loro lacrime, quindi un libro che comincia così già mi piace :)

Ma perché piange?
Piange perché ha appena preso una decisione difficile.
Si era messo su una strada sbagliata e aveva il bisogno - anzi direi l'urgenza - di raddrizzare al più presto il timone.

E no, il suo non era, che so, un problema di droga, di salute, di cattive compagnie e non si era messo nei guai.

Il suo era un problema di felicità. Un lusso insomma. Con tutti i problemi che abbiamo figurati se possiamo perdere tempo a farci domande su qualcosa di tanto effimero e vago come la felicità.

Se poi è il tuo lavoro a renderti infelice: apriti cielo!

Devi essere proprio un mollaccione viziato a lamentarti. Di questi tempi poi, con la crisi che c'è...


Il lavoro

Un oggetto non viene comprato con i soldi, ma con il tempo della propria vita necessario per guadagnarli - Josè Mujica

Le fasi della vita nella nostra società seguono - quando le cose vanno bene - un modello standard: nasci e vieni accudito dalla famiglia. Poi passi un buon numero di anni a studiare. A quel punto sei pronto per il mondo del lavoro.

Lavori per 40 anni (più o meno) e poi quando sei anziano ti vengono restituiti i soldi che hai versato per la pensione. E così ti avvii verso l'ultimo ciclo della tua vita.

Va detto che questo modello negli ultimi anni è entrato in crisi. Il lavoro è diventato sempre più precario e sfruttato. Miliardi di risorse pubbliche si perdono tra corruzione e sprechi e i cittadini ricevono sempre meno di quello che danno. Una volta c'era un patto sociale: studia, lavora, paga le tasse e in cambio avrai sicurezza, sanità, istruzione per i tuoi figli e una pensione per quando sarai vecchio.

Già da un po' tutto questo non sta più funzionando a dovere e io penso che nei prossimi decenni ne vedremo delle belle. Però per il momento, più o meno, la strada resta quella: studia, trova un buon lavoro, paga i tuoi conti, e quando è ora goditi la pensione (se te la danno).

Il lavoro in questo modello occupa un posto centrale. Lavori per tutta la tua vita adulta, per una media di otto ore al giorno, cinque giorni a settimana. A volte molto di più. I tuoi giorni migliori, e le ore migliori di ogni tua giornata, le passi lavorando.

Bisognerebbe quindi essere preparati. Bisognerebbe, dico io, che fosse molto chiaro, fin dall'inizio, che sul lavoro ti giochi una fetta importante della tua felicità.

A volte le persone fanno lavori che contribuiscono alla loro felicità. Per mille motivi diversi sono soddisfatti di quello che fanno. Il lavoro diventa fonte di significato e di ricchezza, non solo economica.

Altre persone invece finiscono a fare lavori che amano ben poco, ma in qualche modo si adattano.
Ci sono molti buoni motivi per adattarsi a fare un lavoro che - di per sé - non ti rende felice. Ti adatti perché consideri l’affare vantaggioso: vendo il mio tempo in cambio di danaro con il quale mantengo i miei figli, pago la mia casa, le mie vacanze, i miei hobby e tutto ciò che mi rende in effetti felice e che dà un senso alla mia vita.

Solo che non funziona sempre. Non per tutti.

Di certo non funzionava per Francesco Grandis, che a un certo punto, come racconta nel libro ha smesso di amare il suo lavoro e non ha trovato motivi davvero buoni per adattarsi.

L'impresa per la quale lavorava - ci racconta – partita con grandi idee, doveva fronteggiare la crisi economica, quindi c'era poco spazio per l'innovazione e la ricerca. Creatività e stimoli venivano a mancare.

I robot per le fabbriche poi non hanno tutto questo fascino. A cosa servono alla fine dei giochi? A produrre di più. A creare oggetti che si suppone debbano essere acquistati dalle persone per avere una vita più agiata. Ma è davvero utile? Abbiamo davvero così bisogno di produrre di più?

È proprio così importante avere più ricchezza, più cose, più beni da consumare?

E il prezzo che stiamo pagando? Schiacciati da ritmi frenetici, con poco tempo libero, sempre chiusi negli uffici e nelle fabbriche. Come i carcerati prendiamo la nostra boccata d'aria tre settimane all'anno quando finalmente possiamo andare in ferie. Rigorosamente in agosto in qualche spiaggia affollata.

Tutto questo bisogno di produrre tra l’altro dipende da un sistema economico che ha sempre più bisogno di una cosa chiamata obsolescenza programmata. Significa che gli oggetti che utilizziamo devono rompersi o diventare inutili nel giro di poco tempo in modo che sia necessario acquistarne di nuovi.

Se gli oggetti durano troppo il mercato si satura, nessuno compra più quelli nuovi e l'economia ne risente.

Accettiamo tutto questo perché fa parte del nostro stile di vita, ma ha veramente senso?

Francesco Grandis ha cominciato a farsi queste e altre domande. E - come dice lui stesso - si tratta di domande pericolose perché una volta fatte non possono più essere ignorate.

Sei davvero qui per fare questo?

Un altro esempio di domande difficili che a volte può capitare di farsi

A questo - ci racconta Francesco nel suo libro - aggiungi condizioni di lavoro non proprio ideali. Ore e ore passate dentro capannoni industriali, al freddo, respirando aria poco salubre. Trasferte scomode e disagevoli. Ritmi di lavoro forsennati. E il corpo che comincia a ribellarsi. La cervicale, la gastrite, il mal di testa.

Da tempo avevo inserito il mio benessere emotivo, mentale e fisico nell'equazione della vita, e avevo visto che il bilancio non quadrava

Quanti di noi si sono abituati a questi malesseri, fino a considerarli un tributo necessario agli anni che passano? In realtà è il prezzo che paghiamo per le ore passate al chiuso, chini sulla tastiera di un computer. Contratti nel tentativo di adattarci a una organizzazione del lavoro impersonale, rigida, e qualche volta pure un po' folle nelle sue logiche produttive.


La felicità

Non ho fatto il salto perché ho avuto il coraggio di affrontare l'ignoto, ma perché ho avuto paura di restare in un mondo che conoscevo fin troppo bene

Quindi Sulla strada giusta si apre con questo giovane uomo in crisi. Che si fa delle domande sul senso del suo lavoro e poi non riesce a ignorare le risposte.

Prende atto di essere infelice e capisce che questa sua infelicità ha molto a che vedere con un lavoro che non ama, nel quale non trova soddisfazione, significato, valore.

Decide che si licenzia. E poi organizza sei mesi di viaggio intorno al mondo.

Un viaggio non per togliersi uno sfizio, né per rilassarsi un po' prima di trovare un nuovo lavoro. Lo fa perché intuisce che viaggiare da solo può essere per lui un modo per trovare delle risposte.

E per quanto possa apparire banale e già sentito, il viaggio si rivela in effetti un modo per ritrovare se stesso. Per recuperare un silenzio interiore dentro il quale tornare a sentire la propria voce.

Non mi sentivo più colpevole delle mie scelte, né verso gli altri né verso me stesso. Avevo zittito tutte le voci che da sempre avevano parlato nella mia testa. Erano solo rumore: le aspettative, le paure, le opinioni altrui, i sensi di colpa, i dubbi, i progetti, le promesse... solo rumore. [...] E fu in questa quiete che riuscii ad ascoltare per la prima volta, nitida, l'unica voce che aveva il cuore, la saggezza e il diritto di dirmi cosa fare: la mia.

In questo ritrovato silenzio si fa strada un ragionamento geniale nella sua semplicità. Io vorrei essere felice - ci dice - e quindi cercherò di fare questo: capire cosa non funziona nella mia vita, e cercare di non perderci più tempo. Capire cosa invece funziona, e cercare nei dintorni.

Così Francesco torna a casa e organizza la sua vita in modo da potere viaggiare ancora, in cerca di quelli che definisce indizi su cosa vada bene per lui. Una specie di caccia al tesoro della felicità.

Quello che trova ovviamente non ha senso raccontarlo qui, bisogna leggere la storia :)

Tornando a casa

Per essere felici nella vita dovete scoprire le cose che vi rendono felici a lungo termine e coltivarle e scoprire le cose che vi rendono infelici a lungo termine e allontanarle. Scoperta e azione - Tezin Gyatso (Dalai Lama)

Dunque Sulla strada giusta è un libro di viaggi. C'è veramente il giro del mondo, in senso letterale, dalle strade polverose dell'India, alle foreste norvegesi. Dalla vita caotica della metropoli al silenzio assordante della natura selvaggia. Con l'aereo, a piedi, in autobus, con un furgone improvvisato camper.

Ed è anche ovviamente il viaggio interiore di una persona determinata a trovare la felicità dentro e fuori di sé, andando - non senza un pizzico di umana paura - incontro all'ignoto.

In tutto ciò - ed è uno dei motivi per cui questo libro mi piace - c'è un approccio concreto alla vita e alle sue difficoltà. Questo mollare tutto e partire non è una romantica fuga dalla realtà in cerca di una improbabile verità assoluta e risolutiva.
Al contrario il confronto con la realtà è continuo e i problemi si affrontano e si risolvono: guadagnarsi da vivere, imparare a essere disciplinati, organizzare il proprio tempo in assenza di ritmi imposti. Sbagliare strada, tornare indietro, fare scelte.

Come tutti i buoni libri, Sulla strada giusta è anche un viaggio per il lettore, che alla fine qualcosa si porta a casa.

Io personalmente mi sono portata a casa due idee chiare.

La prima. Se ti senti in gabbia, osserva di che materia sono fatte le sbarre. Potresti trovarci: conformismo, paura del giudizio degli altri o di deludere le aspettative; timore di avanzare richieste e di chiedere aiuto, paura a percorrere strade poco battute. Ecco tutte queste sbarre in verità le hai fatte tu. Non voglio dire che nella vita non esistano anche dei vincoli reali e oggettivi, ma potrebbero essere meno di quel che credi. Quindi prima di concludere che sei in gabbia, assicurati di non essere stato tu da solo a costruirla. E fruga bene nelle tue tasche che magari la chiave per uscire ce l’hai ma non te ne accorgi.

La seconda. Accetta di andare verso l'ignoto - o come direbbero gli esperti di crescita personale: esci dalla tua zona di comfort. Forse pensi di avere le idee chiare su quello che per te è importante nella vita. Ma è davvero così? Potresti esserti fatto delle idee sbagliate su ciò che ti rende davvero felice. A qualsiasi età può esserci dietro l'angolo una scoperta, qualcosa che non hai mai fatto o con cui non ti sei mai confrontato... e scoprire che è proprio quello che ti serve.

Questi sono i messaggi che mi sono portata a casa io da questa lettura perché risuonano con quella che è adesso la mia vita, i miei desideri e le mie difficoltà.
Ma non direi necessariamente che sono i messaggi principali del libro. Di materiale per riflettere ce n'è davvero tanto, e sono convinta che molte persone potrebbero trovare tra le righe di questa storia i loro personali indizi.

Quindi, grazie a Francesco Grandis per avere condiviso la sua avventura.

E grazie a te se vorrai condividere nei commenti cosa pensi di questo libro - se l'hai letto - ma anche e soprattutto cosa pensi della ricerca della felicità. Sono curiosa :)