Vorrei tanto qualcosa di saldo. Niente è eterno, solo il cambiamento. Ogni tanto lo dimentico e cerco un punto fermo - Etty Hilesum

Qualche settimana fa, nel gruppo Facebook del blog, una persona ha scritto che percepiva un aumento dell'ansia con l'arrivo della primavera. Un'osservazione tutto sommato comune, che però mi ha colpito perché proprio in quei giorni ero alle prese con la solita girandola di sintomi a base ansiosa. Niente di che, ma decisamente fastidiosi. Mi sono quindi domandata come mai l'arrivo della primavera facesse questo effetto e da lì sono scaturite una serie di riflessioni sul tema dei cambiamenti.

Perché la primavera mette ansia?

Ho fatto un po' di ricerche, e gli articoli che ho letto sembrano concordi nell'indicare vari fattori che possono essere causa di un peggioramento dell'ansia, e anche della depressione, con l'arrivo della primavera.

In primavera le temperature si alzano, la luce diventa più intensa e dura più a lungo. Anche se spesso lo dimentichiamo, noi esseri umani siamo prima di tutto animali, facciamo parte della natura, e anche se il nostro cervello è molto evoluto e siamo bravissimi a razionalizzare tutto, il nostro corpo continua a reagire ai cambiamenti dell'ambiente che ci circonda.

Ecco quindi che giornate più lunghe si traducono in un maggiore bisogno di energie, al quale il nostro corpo risponde producendo più cortisolo (che è chiamato anche ormone dello stress), e anche più melatonina e serotonina. Le persone ansiose, di solito, sono molto sensibili a quello che accade nel loro corpo e la percezione di questi cambiamenti può procurare instabilità e ansia.

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I caratteri ansiosi sentono il bisogno di stabilità e prevedibilità, hanno bisogno di tenere le cose sotto controllo. La primavera al contrario è volubile. Un giorno fa caldo come se fosse estate, quello dopo sembra tornare l'inverno, i mutamenti possono essere bruschi e questo comporta un senso di fastidio che in chi soffre di ansia si amplifica.

Ci sono poi alcuni fattori più strettamente psicologici che possono farci sentire a disagio con il cambio di stagione.

La primavera ha un significato simbolico: la natura si risveglia, ed è difficile non notarlo, anche in mezzo al cemento e all'asfalto. Le foglie, i fiori, il polline, gli uccellini, l'erba; tutto è frizzante e ci parla di rinascita, ma è possibile che il nostro umore non sia affatto allineato con questo tripudio di vita e di rinnovamento. E allora scatta una delle trappole mentali peggiori: la mancanza di accettazione dei nostri stati d'animo. Crediamo di sapere come dovremo sentirci. Diamine è primavera, dobbiamo essere allegri e pieni di energia. Se invece siamo nervosi o stanchi, appesantiti dall'inverno, ancora desiderosi di stare rintanati al calduccio, ecco che scatta la censura: se non mi sento felice e pimpante in primavera, significa che in me c'è qualcosa che non va. Non dovrei sentirmi così, ci diciamo, e questo innesca ulteriore ansia e umore depresso.

Il cambio di stagione poi ci mette davanti ancora una volta all'evidenza: il tempo è passato. Abbiamo saputo mantenere fede ai buoni propositi di fine anno? A che punto sono i nostri progetti? E quelle cose che ci eravamo ripromessi di fare le abbiamo fatte? L'inverno è finito, stiamo andando incontro all'estate. Presto dobbiamo affrettarci, il tempo ci sfugge, come sabbia tra le dita... ansia, ansia, ansia.

Rimedi?

Per i fattori legati ai mutamenti nel corpo, il consiglio che si legge in giro è tanto banale quanto efficace: passare tempo all'aperto, possibilmente tra la natura. Così il nostro corpo si abitua e gradualmente luce e temperature più miti smetteranno di sembrare una minaccia alla nostra stabilità.

Io trovo tranquillizzante capire che le emozioni sono influenzate da quello che succede nel mio corpo. Un eccesso di ansia può non dipende da cose misteriose nascoste nei meandri della nostra psiche: a volte è solo il nostro corpo che manda segnali che un cervello iperattivo tende a interpretare come allarmi, anche quando non c'è proprio nulla di cui allarmarsi.

Per il resto, è, come sempre, una questione di accettazione e di radicarsi nel presente, soprattutto se siamo vittime del: non mi sento come dovrei sentirmi c'è qualcosa di sbagliato in me. Ti senti come ti senti, punto, e va bene così. Non devi per forza essere allegra (o allegro) e sprizzare energia solo perché è primavera. Hai il permesso di sentirti fiacco (o fiacca), triste, in ansia.

Questo darsi il permesso di provare liberamente le emozioni che proviamo, senza che questo ci faccia sentire inadeguati o sbagliati, non va poi interpretato come il permesso di crogiolarci nei nostri guai. Sono del parere che sia estremamente utile separare il piano del sentire da quello dell'agire. Non ha senso rifiutare come ti senti e cercare di importi di sentirti in un altro modo, le emozioni sono difficilmente controllabili. Ha senso invece sforzarsi di non lasciare che gli stati d'animo negativi si trasformino sul piano dell'azione in comportamenti che ci danneggiano. Il che si può tradurre, in modo molto semplice, nell'andare a fare una passeggiata anche se ti senti uno schifo. Anzi: vacci proprio perché ti senti uno schifo.

La paura di cambiare

La correlazione tra primavera e ansia mi ha fatto pensare in generale al tema del cambiamento. È senza dubbio un tema sensibile per le persone ansiose: i cambiamenti, soprattutto se repentini, hanno un effetto destabilizzante. Credo però che cambiare sia problematico per molte persone, anche non ansiose.

Non è un caso credo se un libricino semplice come Chi ha spostato il mio formaggio? di Spencer Johnson abbia così tanto successo. È un libretto davvero breve, e non so se valga la spesa, però qualche spunto interessante l'ho trovato.

Si tratta di una favola su quattro personaggi che vivono all'interno di un labirinto: due topolini e due gnomi. Nel loro girovagare, un bel giorno trovano quello che stavano cercando: il deposito F, pieno zeppo di ottimo formaggio. Una pacchia.

La pacchia però non dura molto perché un bel giorno... puf... il formaggio scompare dal deposito. Sembra proprio che il formaggio sia sparito da un giorno all'altro, ma, a ben pensarci, i personaggi si rendono conto che c'erano già stati segnali: il formaggio forse era un po' meno e forse era diventato meno buono.

Ecco quindi che davanti alla scomparsa del formaggio - la fonte di benessere, stabilità e soddisfazione degli abitanti del labirinto - i nostri personaggi reagiscono in modo diverso. I due topolini, che di fatto non si erano mai troppo adagiati sul sicuro, sono pronti: annusano l'aria e ripartono in giro per il labirinto in cerca del nuovo formaggio.

I due gnomi invece restano spiazzati e considerano la scomparsa del formaggio come un vero sopruso: non è giusto! si dicono. Si domandano come sia potuto succedere, e di chi è la colpa. Se le cose sono cambiate e abbiamo perso le nostre sicurezze, la nostra stabilità, la nostra fonte di benessere, dovrà pure essere colpa di qualcuno, no? È un'ingiustizia.

Per un po' restano lì, bloccati nelle loro recriminazioni, pensando che forse, se fanno finta di niente, il formaggio tornerà magicamente al suo posto, finché il più intraprendente, e meno lamentoso, dei due, capisce che l'unico modo per avere di nuovo nel formaggio è tornare ad avventurarsi nel labirinto, affrontare la paura e l'incertezza, affrontare in modo costruttivo la nuova situazione.

Uno degli insegnamenti di questa storia riguarda l'importanza di anticipare il cambiamento, cogliendone i segnali.

La primavera non arriva mai all'improvviso: se osservi con attenzione le piante per esempio, già dalla fine di gennaio ti accorgi che qualcosa sta cambiando. Lo stesso possiamo dire di molte delle situazioni che viviamo: le condizioni economiche di un'azienda difficilmente precipitano da un giorno all'altro, le relazioni non arrivano al punto di rottura all'improvviso, molti degli acciacchi del nostro corpo non compaiono dal giorno alla notte.

Cogliere in anticipo i segnali del cambiamento ci può aiutare a organizzare la risposta più adeguata e tempestiva.

L'unica costante della vita è il cambiamento

Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume: perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è mai lo stesso uomo.

Pare lo dicesse Eraclito, duemilacinquecento anni fa, o giù di lì. A volte a me capita di pensare a qualcosa che ho fatto o detto in passato e di avere la sensazione che sia stata una persona diversa da me a farla, anche se magari non è passato poi così tanto tempo.

Il cambiamento, nella metafora del formaggio, ha a che vedere con l'atteggiamento proattivo: capire cosa accade nell'ambiente che ci circonda e agire anticipando le situazioni, non subendole passivamente. È quindi un fatto strategico: imparare ad accettare il cambiamento e a rispondere in modo appropriato.

Possiamo però guardare allo stesso tema, quello del cambiamento, da un punto di vista più filosofico e, forse, spirituale, senza badare troppo agli aspetti pragmatici.

Il cambiamento è un dato di fatto e se riusciamo ad accettarlo fino in fondo, possiamo smettere di aggrapparci alle nostre certezze e lasciare che la nostra vita fluisca.

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A me non viene molto facile, anzi. Me ne accorgo in tutti i momenti di transizione, che siano dettati dal naturale avvicendarsi delle stagioni, o dall'altrettanto naturale ritmo delle vicende della vita: qualcosa che si conclude, qualcosa che riparte. Ecco, nelle fasi di transizione io tendo ad andare in tilt, attraverso momenti di disordine e di ansia in cui mi sembra ogni volta di perdermi.

Credo che la transizione sia qualcosa a cui dedicare la nostra attenzione: ogni volta che affrontiamo un cambiamento potrebbe esserci utile qualche piccolo rito, che ci aiuti a congedarci da quello che è passato, o che sta passando, e dare il benvenuto a quello che sta arrivando (anche quando potrebbe trattarsi di qualcosa di spiacevole).

L'idea che tutto cambi può essere da un lato spaventosa, ma dall'altro è anche consolatoria. Possiamo svegliarci ogni mattina e pensare che abbiamo davanti una giornata nuova di zecca, in cui non dobbiamo necessariamente portarci dietro il peso del passato, possiamo essere persone nuove, e fluire assieme a quello che ci circonda in quel momento.

È solo un pensiero, una ispirazione. Lo so bene che ogni mattina, quando ci alziamo, abbiamo sempre i nostri pesi, ma provare a fingere di essere come un fiume, potrebbe aiutarci.