Qualche tempo fa hanno suscitato un certo stupore le dichiarazioni di Justin Rosenstein che ha manipolato il sistema operativo del suo computer per impedire l'accesso ad alcuni social network, e ha bloccato la possibilità di scaricare App sul suo smartphone.
Rosenstein non è di certo il primo (né l'ultimo) ad avere preso decisioni drastiche in merito all'utilizzo dei social. Il suo caso però ha fatto clamore perché Justin Rosenstein non è uno qualunque. È colui che, nel 2007, ha inventato il "mi piace" su Facebook. Quel piccolo tasto blu con il pollice rivolto verso l'alto che conosciamo tutti benissimo, e che poi si è diffuso in tutti i social. Mi piace, cuoricini, e altri segnali di apprezzamento che rappresentano la cifra del nostro successo (personale e a volte anche professionale) nel mondo online.
Negli ultimi anni ci sono state altre prese di posizione molto critiche da parte di personaggi che hanno fatto la storia dei social e delle nuove tecnologie. Sean Parker - che è stato il primo presidente di Facebook negli anni della sua fondazione - ha affermato senza mezzi termini che i social sfruttano le nostre vulnerabilità psicologiche con l'obiettivo di farci passare sempre più tempo sulle loro piattaforme.
E anche Tim Cook, CEO di Apple, ha detto che troppa tecnologia fa male, e che a suo nipote, per dire, non è permesso usare i social network.
Colpisce che persone così tanto coinvolte nello sviluppo delle nuove tecnologie digitali, puntino il dito contro le loro stesse creature. E non è un caso se nelle ultime versioni del sistema operativo degli iPhone è presente un'applicazione che ci consente di tenere sotto controllo il tempo che trascorriamo sul nostro telefono.
Dobbiamo prendere atto che questi gingilli tecnologici che tanto ci piacciono, hanno un lato oscuro. Meglio saperlo e prendere qualche contromisura, piuttosto che fare finta di non vedere.
C'è sicuramente un problema di tempo che sottraiamo ad altre attività più importanti, e c'è anche un problema con la nostra attenzione, che viene attratta da contenuti frammentari, spesso superficiali, poco rilevanti, a volte anche poco piacevoli.
Tempo e attenzione sono risorse importanti. Ne disponiamo in quantità limitata e sono entrambe fondamentali per fare avanzare la nostra vita nella direzione che desideriamo. Accettare passivamente che una parte importante di queste risorse venga risucchiata dall'utilizzo compulsivo dei nostri device non è da persone intelligenti.
Ma non è tutto qui.
Diverse ricerche hanno messo in evidenza come l'utilizzo dei social tenda a essere correlato a un aumento di ansia, e depressione, alimentate da sensazioni di inadeguatezza: la vita degli altri ci sembra sempre migliore della nostra, se la guardiamo attraverso un social media nel quale tutti (compresi noi stessi) condividono solo il meglio.
Il pianeta nervoso
Su questi temi ultimamente si è scritto molto. Il problema c'è, e ancora non abbiamo capito esattamente come affrontarlo.
La disconnessione è una strada possibile, ma poco desiderabile per molti di noi. Possedere uno smartphone, avere account sui social, usare le App, ci facilita la vita in molti modi diversi. Grazie ai social io ho mantenuto contatti con persone che altrimenti avrei perso di vista. Lavoro grazie a internet e ai social. Se mi perdo in una città che non conosco, mi basta aprire un'App per ritrovare la strada.
Eppure mi rendo conto che tutto questo ha un prezzo e che devo fare attenzione a come uso il mio telefono perché in alcuni momenti non mi fa bene. Soprattutto non fa bene alla mia ansia.
Mi sono ritrovata molto nelle considerazioni che fa Matt Haig, uno scrittore e giornalista inglese, autore, tra gli altri, di un libro intitolato Ragioni per continuare a vivere, un racconto autobiografico sull'ansia e sulla depressione.
Da poco, di Matt Haig è uscito Vita su un pianeta nervoso, una sorta di libro di self-help con molti riferimenti autobiografici. L'autore è dell'idea che una delle cose che genera maggiore ansia nel mondo odierno sia una forma di sovraccarico alimentata (anche) dalle nuove tecnologie. Troppe informazioni, troppe discussioni, troppe immagini, troppe connessioni.
Mi colpisce che Matt Haig colleghi la sua ansia a un utilizzo eccessivo e compulsivo dei social. Il che non significa che sia lo smartphone a scatenare il panico - io ho avuto i miei problemi con l'ansia quando internet nemmeno c'era - ma forse chi è predisposto ad avere problemi di ansia e di depressione dovrebbe stare doppiamente attento a come utilizza questi strumenti.
A volte ho la sensazione che la mia testa sia un computer con troppe finestre aperte. Troppa confusione sul desktop. C'è una metaforica rotellina arcobaleno che gira dentro di me. Che mi mette fuori uso. Se solo riuscissi a trovare il modo di chiudere qualche finestra, di trascinare un po' di file inutili nel cestino, allora starei bene. Come faccio a impedire alla mia mente di andare in sovraccarico, quando è il mondo a essere in sovraccarico?
Insomma è davvero il nostro pianeta a essere nervoso, e forse l'ansia sta diventando una malattia sociale più che un problema individuale e psicologico.
Non sei solo tu
Mi sono convinta che nel trattare il tema della salute mentale si dia troppo peso ai fattori individuali, e poco a quelli sociali. Diamo per scontato che il mondo è come è - e che tutto sommato vada bene così - e quindi se hai problemi a gestire l'ansia o se sprofondi nell'abisso della depressione, il problema è tuo, è personale, è individuale. Forse dipende dalla tua infanzia, o dai tuoi geni, ma in ogni caso è l'individuo a essere malato e di conseguenza sono individuali le cure e i rimedi. Vai dallo psicologo, prendi le medicine, pratichi lo yoga o la mindfulness.
Probabilmente la vediamo così perché pensare di curare l'ansia della società non è una via praticabile. Bisognerebbe pensare a un mondo nuovo, a una rivoluzione, a un'utopia. Noi tutti, che su questo pianeta nervoso ci viviamo, abbiamo bisogno di prenderci cura di noi stessi, della salute del corpo così come di quella della mente, e non possiamo certo stare ad aspettare che il mondo diventi un posto migliore.
Ma questo non significa che l'ambiente in cui viviamo non abbia le sue responsabilità nel farci sentire più ansiosi.
Riconoscere la quota ambientale della nostra ansia, riconoscere che ci sono luoghi, attività e relazioni che ci fanno stare meglio, e altre che ci fanno stare peggio, può aiutarci ad affrontare i nostri problemi. Non per scaricare la colpa all'esterno e fare le vittime, ma per agire in modo sempre più consapevole per il nostro benessere.
Forse abbiamo bisogno di frequentare meno i centri commerciali, e più i parchi cittadini. Di uscire con persone calme e comprensive e lasciare perdere le grandi tavolate e la gente chiassosa e prevaricante. Forse per noi va meglio un piccolo centro in cui praticare yoga, piuttosto che la palestra all'ultima moda. Andare al mare fuori stagione e stare in casa nei fine settimana più affollati. Disconnetterci dalla rete di tanto in tanto e lasciare i telefoni fuori dalle camere da letto.
Stanze troppo rumorose
Matt Haig, che è molto attivo su Twitter, ha fatto un esperimento un po' rudimentale e senza pretese di rappresentatività, facendo ai suoi follower questa domanda:
I social network sono positivi o negativi per il vostro benessere mentale?
Ha ricevuto oltre duemila risposte e, come ci si poteva aspettare, ne è uscito un quadro complesso e ricco di sfumature.
L'aspetto più positivo dei social sembra essere la connessione: entrare in contatto con molte persone, con le quali si può trovare affinità, comprensione, amicizia. Ma a fronte di questo, i social sono stati identificati come fonti di malessere per diversi motivi. Postare uno status e sapere di essere giudicati per questo (i famosi like). Vedere le vite degli altri al top, mentre magari noi non ci sentiamo in forma. Farci coinvolgere in discussioni piene di aggressività con dei perfetti sconosciuti.
Tra tutte, la risposta che mi ha colpito di più è questa:
Ci sono momenti in cui sembra di stare dentro una stanza piena di gente che si urla contro e non ascolta
Mi sembra che rappresenti bene il livello di molte delle discussioni che infiammano i social al giorno d'oggi. E, a ben guardare, non sono stati i social a inaugurare questa modalità comunicativa; hanno cominciato, molti anni fa, i talk show televisivi. Gente che si urla in faccia. Internet non ha fatto altro che amplificare a dismisura le dimensioni della stanza e il volume delle urla.
Provate a farci caso a come vi sentite davanti a questo genere di dibattiti, sui social così come in televisione. Sentite la pancia che leggermente si contrae? Il battito cardiaco che accelera un pochino? Una sensazione crescente di fastidio, rabbia e impotenza?
Provate ad ascoltarvi, e se vi sentite così anche voi, la strada è una sola: chiudere, allontanarsi, spegnere. Non si risolveranno i problemi del mondo litigando su Facebook e su Twitter. Urlarsi in faccia serve solo a farci sentire male. Non cascarci. Disconnettiti.
Il cambiamento non avviene solo concentrandosi su ciò da cui si vuole fuggire. Avviene concentrandosi su dove si vuole andare. Sostenete i buoni, non limitatevi a dar contro i cattivi. Cercate la speranza che già esiste e aiutatela a crescere.
Se una causa vi appassiona, sostenetela concretamente. Questo è senz'altro più costruttivo che litigare online con chi non la pensa come voi.
Come restare umani con uno smartphone in tasca
Vita su un pianeta nervoso è un libro che in qualche modo riflette il disordine e la disorganicità della comunicazione nell'era dei social network. Gli argomenti si susseguono senza un ordine preciso, a tratti è ridondante, e pesca dalla comunicazione online la passione per le liste ;)
Ho messo assieme un po' di cose tratte qua e là da diversi capitoli, per fare la lista dei consigli di Matt Haig per restare umani (e sani di mente) all'epoca dei social network. Forse son cose che sappiamo già, ma abbiamo bisogno di metterle in pratica.
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Astinenza e autocontrollo. Se i social (ma anche qualche giochino online per esempio) esercitano su di te troppa attrazione e ti rendi conto di sprecare troppo del tuo tempo e della tua attenzione, allora comincia, a piccoli passi, a rafforzare i muscoli dell'autocontrollo. Imponiti qualche limite, e rispettalo.
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Ricordati che a nessuno interessa il tuo aspetto. Gli interessa il loro. Tu sei l'unica persona al mondo che si preoccupa della tua immagine. Non è liberatorio saperlo?
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Internet non è la realtà. Se ti sembra di avere la tendenza a dimenticarlo, stacca tutto e vai là fuori. Vedrai che certe situazioni che ti hanno molto coinvolto dietro lo schermo del tuo telefono perderanno molto velocemente di importanza.
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Non andare a cercare le cose che ti rendono infelice. Non definire te stesso contro. Cerca di definirti a favore, e poi naviga di conseguenza. Appoggia le iniziative che apprezzi, e ignora quelle che disprezzi. Non sprecare il tuo tempo e la tua attenzione condividendo contenuti che trovi disdicevoli allo scopo di esprimere il tuo disaccordo. Così facendo non fai altro che alimentare la loro visibilità.
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Non cadere nel gioco dei rating. Non contare i like, le recensioni, le stellette. Lascia stare le classifiche che tanto piacciono a internet. Pensa che Sogno di una notte di mezza estate, il capolavoro di William Shakespeare, su Goodsreads non arriva nemmeno quattro stelle.
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Disattiva le notifiche sul tuo cellulare. Non servono, non ne hai bisogno. È importante riuscire a contrastare la sensazione di dovere essere sempre presenti, reperibili, connessi.
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Trascorri alcune ore al giorno lontano dal tuo cellulare. Stabilisci dei confini. Niente cellulare a tavola per esempio. O in camera da letto. Quand'è che hai preso l'abitudine di andare a dormire con il telefono di fianco? È un'abitudine che ti fa bene o in qualche modo ti provoca nervosismo o altri fastidi? Proviamo a fare un esperimento insieme?
Sfida
Ho pensato di lanciare una piccola sfida. O meglio un esperimento, per tutti quelli che hanno l'abitudine di andare a dormire con il cellulare accanto.
Scegli un giorno della settimana e impegnati, solo per quel giorno, a lasciare il cellulare fuori dalla camera da letto. È un esperimento. Serve per vedere se c'è differenza.
- Dormiamo meglio senza cellulare?
- Ci addormentiamo in modo diverso?
- Ci svegliamo in modo diverso?
- Cosa facciamo come prima cosa al mattino al posto di prendere il cellulare?
Io scelgo la domenica. Domenica sera proverò a lasciare il cellulare fuori dalla camera da letto. E ripeterò l'esperimento ogni domenica per un mese. Poi ne riparliamo assieme.
Scegli un giorno anche tu e dimmelo nei commenti. Fai l'esperimento una sera a settimana, per un mese, e poi raccontiamoci come è andata.