Questo sarà un articolo un po' diverso da quelli che di solito pubblico nel blog. Sarà più personale ma, credo e spero, comunque utile, se non per tutti almeno per qualcuno.

La storia comincia così: uno dei primi giorni dell'anno trovo nella mia casella di e-mail la newsletter di Luisa Carrada. Per chi non la conoscesse, è una professionista che si occupa da molti anni di scrittura e comunicazione. Oltre a essere bravissima, ha da sempre condiviso online molto del suo lavoro. Quando, nei primi anni duemila, andai a lavorare nell'ufficio comunicazione di una agenzia pubblica, passai giorni a studiare i materiali che aveva messo a disposizione sul suo sito e imparai tantissimo su come produrre testi chiari, significativi e ben leggibili.

Insomma, ricevo la newsletter, mi metto a leggere il suo articolo, e mi si accendono tremila lampadine in testa, un tripudio di luci in movimento da fare invidia alle luminare natalizie. La sensazione di quando ti imbatti nella cosa giusta al momento giusto e ti dici: ok, adesso so cosa devo fare.

Quello che ho fatto, il giorno dopo, è stato comprare un libro di esercizi di Design Thinking, e passare molte ore china sul tavolo della cucina, apparecchiato con carta, matite e pennarelli, a scrivere e disegnare. La prima cosa che ho ottenuto è stato un attacco di cervicale epico, che mi ha costretta a letto per tre giorni. Ho dovuto interrompere gli esercizi, aspettare che mi passasse, e poi riprendere, stavolta cercando di fare un po' più attenzione al mio corpo. Però ne è valsa la pena.

È da un po' che sento forte l'esigenza di rinnovare qualcosa nella mia attività. Di cose negli ultimi anni ne ho fatte: più di cento articoli (belli lunghi e ben documentati) in questo blog, il romanzo Polvere d'azzurro, i tre Quaderni di esercizi, la seconda edizione di La rana bollita che esce in febbraio per Sonzogno; ci sono i miei audiolibri su Storytel e anche quest'anno lavorerò con un liceo di Riccione a dei progetti che mi sembrano bellissimi.

Però in tutto questo, piano piano, si sono inserite alcune note discordanti. Soprattutto qui, sul blog, che è il luogo da cui tutto e partito e in cui scrivo ininterrottamente ormai da otto anni. C'era qualcosa che non andava, e non capivo bene cosa, e quando ho letto l'articolo di Luisa Carrada ho subito pensato che avrei potuto fare qualcosa per trovare le mie risposte. O magari semplicemente cambiare le domande.

Design Thinking. Pensare facendo

Una definizione chiara, semplice, e immediata di cosa voglia dire Design Thinking non l'ho trovata. È un'espressione che indica un metodo, uno strumento, un approccio - o forse un insieme di metodi, strumenti e approcci - con i quali affrontare in modo creativo un problema.

La parola design si porta dietro l'idea di disegno, progetto, forma. Qualcosa che ha a che vedere con il bello (con l'estetica?), ma soprattutto con la novità, l'innovazione, e anche con la funzionalità, perché non stiamo parlando di un bel quadro, ma di risolvere problemi. Gli spazi in cui viviamo e gli strumenti che utilizziamo nella nostra vita quotidiana sono stati progettati da qualcuno. E spesso dietro c'è un processo creativo che prende il nome, appunto, di Design Thinking.

A qualcuno a un certo punto è venuto in mente che quello stesso modo di pensare creativo e orientato alla soluzione di problemi potesse essere usato non solo per progettare oggetti ma anche per progettare vite. Anche la nostra vita ha il suo design, la sua forma, e possiamo provare a progettarla nel modo migliore possibile usando gli stessi processi creativi che servono per inventare la forma perfetta per un cavatappi (per dire).

C'è un libro piuttosto conosciuto che parla di questo. Si chiama Design Your Life. Come fare della tua vita un progetto meraviglioso, scritto da Bill Burnett e Dave Evans, che hanno fondato a Stanford un laboratorio permanente di Life Design. Questo libro l'ho letto, ma non mi ha entusiasmato perché è focalizzato tutto sulla carriera e sul trova il lavoro dei tuoi sogni. Non mi sembrava adatto a me in questo momento.

Ho trovato invece decisamente più interessante il testo suggerito da Luisa Carrada nel suo articolo: Design the Life You Love, di Ayse Birsel. Più che un libro è un vero e proprio strumento di lavoro: c'è poco da leggere e molto da fare. È in inglese, però le parti scritte sono poche e semplici, e quindi basta una conoscenza anche un po' zoppicante della lingua.

Perché mi è piaciuto tanto? Be' per prima cosa perché è bello, con le pagine grosse, i disegni, un font originale. È chiaro: si capisce molto bene cosa si deve fare. È di ispirazione: anche se le parti scritte sono poche, ho sottolineato un sacco di frasi. E alla fine, seguendo il percorso passo passo, mi ha aiutata davvero a chiarirmi le idee.

Come dicevo, non è un libro da leggere, ma una sequenza di esercizi da fare con carta, penna, matite e pennarelli colorati. Si scrive e si disegna seguendo un percorso diviso in quattro parti.

  1. Decostruire: ovvero scomporre la nostra vita nei singoli ingredienti di cui è fatta, usando soprattutto le mappe mentali

2. Osservare la nostra vita così destrutturata da un diverso punto di vista: è nello spostare il punto di vista che possono emergere nuove soluzioni. In questa sezione c'è anche l'esercizio che mi è piaciuto di più: individuare i miei eroi - e le mie eroine - e descrivere le loro caratteristiche. Mi sono resa conto qui che molte delle qualità che ammiro nelle persone le posseggo già e ho capito che quelle che mi mancano, una in particolare, avrebbe dovuto diventare le mia priorità di questo periodo.

3. Ricostruire: decidere quali ingredienti tenere, quali lasciare andare, e quali modificare, cercando di ridurre tutto all'essenziale, di fare una sintesi, di scegliere: cosa conta davvero? Nella mia sintesi ci sono finite tre parole: creatività, fluire, amore/cura. Ed è incredibile come davvero in questi soli tre cerchi ci stia tutta la vita che desidero.

4. Espressione (expression in inglese, e qui bisognerebbe essere bravi e trovare una parola più efficace in italiano: forse manifestazione) - dare voce a quello che è emerso nel processo, usando strumenti espressivi diversi: disegni, poesie, mappe, lettere.

Gli esercizi si possono fare anche direttamente sul libro, ma ho preferito usare dei fogli di carta a parte per non precludermi la possibilità di rifarli di nuovo in futuro. Non so, onestamente, se sono stata davvero creativa: alla fine non mi sembra di avere scoperto niente che già non sapessi, però è come se tutto avesse assunto un ordine diverso, alcune cose mi sono divenute più chiare e ho capito meglio in che direzione agire.

Ma forse era proprio questo il senso: la creatività infatti non riguarda tanto il creare qualcosa di completamente nuovo, quanto il ricombinare in modo diverso elementi che già esistono.

E l'autenticità?

Ho parlato di autenticità nel titolo di questo articolo, e ho accennato a qualche difficoltà che ho avuto ultimamente nel portare avanti con coerenza e convinzione tutto il progetto che ruota attorno a questo blog.

Autenticità è una parolina che è apparsa spesso tra i miei esercizi, nelle mappe, nei disegni. Non era una cosa che mi aspettavo, e ho capito che questo è per me un valore molto forte. Ho bisogno di essere autentica (forse perché a causa dell'insicurezza mi costa fatica esserlo?) e ho bisogno di rapportarmi a persone autentiche. Ed è stato questo che a un certo punto mi ha messo in difficoltà.

In questo blog sono stata per molto tempo me stessa. Fin dai primi articoli, il mio desiderio era questo: trovare la mia voce. Le prime cose che ho scritto erano un po' tentennanti, risentivano molto di quello che leggevo sugli stessi temi di cui scrivevo. Poi, piano piano, ho trovato il mio tono, la mia formula, sono stata sempre più me stessa. E lo sono stata perché con questo blog io stavo facendo un percorso personale. Non è mai stata mia intenzione quella di mettermi in cattedra e spiegare le cose, più che altro esploravo idee, strumenti, ragionamenti e pratiche per aiutarmi in un momento difficile in cui soffrivo molto di ansia, e poi ci facevo gli articoli, così intanto mi allenavo a scrivere. E la cosa ha funzionato alla grande, per me, ma anche per le tante persone che sono passate tra queste pagine e che hanno deciso di fermarsi.

Con il passare del tempo però io sono cambiata, come è naturale cambiare in otto anni di vita. Quel sottofondo di disagio e di fatica che a un certo punto ho cominciato a sentire dipendeva da questo: io cambiavo ma il blog non cambiava con me. Ho cercato di restare aderente al progetto originale, perché volevo continuare a scrivere cose utili e interessanti per chi segue, e nello stesso tempo facevo sempre più fatica a trovare cose nuove da scrivere e mi sono sentita spesso frustrata e incapace di dare nuova linfa alle mie parole.

Non arriverò a dire che non sono stata più autentica perché non è vero: ho sempre messo il massimo dell'impegno e della sincerità in ogni parola. Però era come se il blog non mi riflettesse più così bene, come se ci fosse uno scarto, e mi dava fastidio.

Un nuovo laboratorio

Questo blog è cominciato come un laboratorio, e poi piano piano ha preso la sua forma e si è stabilizzato. Adesso capisco che è il momento di cambiare qualcosa, ma non so di preciso cosa; esattamente come quando ho cominciato non sapevo di preciso dove stavo andando a parare.

Resterà sempre: la newsletter mensile, quello è un punto fermo. Ci saranno sempre articoli nuovi, ma non per forza uno al mese, qualche volta di più, o qualche volta di meno. Probabilmente ci saranno articoli di lunghezze diverse, non più quindi solo questo long form che ha caratterizzato praticamente da sempre questo blog. Ci saranno anche argomenti diversi, che però restano all'interno del mio ombrello ideale di cose buone per la mente.

Un'altra cosa che voglio fare è riprendere articoli che già ci sono e aggiornarli. Ci sono argomenti di cui ho scritto qui che sono stati per me delle vere e proprie scoperte che mi hanno migliorato la vita in molti modi. Nessuno però ai giorni nostri si va a leggere articoli scritti tre o quattro anni fa. Internet è diventata velocissima, si producono e si consumano miliardi di contenuti mordi e fuggi, e dopo un po' ci si trova per forza nella condizione di ripetersi. Qualche volta ha senso ritornare con uno sguardo fresco su argomenti già trattati, ma solo se abbiamo davvero qualcosa di nuovo da dire. Altrimenti preferisco aggiornare e migliorare quello che già c'è, piuttosto che ripetere sempre le stesse cose facendo finta che siano nuove.

Insomma ogni tanto bisogna togliersi le ragnatele di dosso, recuperare energie nuove e cominciare a guardare in posti insoliti. Perché ve l'ho raccontato con questo articolo? Non era necessario in effetti, ma ho sempre sentito molto forte una sorta di patto di alleanza con chi passa da queste pagine, e quindi mi fa piacere condividere anche qualche retroscena quando mi sembra importante come in questo caso. E poi perché ho la sensazione che l'esigenza di rinnovamento in questo momento sia abbastanza diffusa e sono certa di non essere la sola ad attraversare una fase come questa. Magari parlarne aiuta.