Nella mia libreria c'è un taccuino nero con l'elastico sbrindellato. Nella prima pagina c'è appiccicato un adesivo con una piccola rosa rossa che faceva parte di una collezione di sticker dedicata a Il piccolo principe. In alto a destra c'è scritto "2016", e nel centro in grande "La rana bollita". Questa paginetta corrisponde più o meno al momento in cui ho deciso di smettere di navigare a vista e cominciare a darmi qualche obiettivo chiaro. La mia priorità sarebbe stata scrivere un libro, di cui avevo appena l'idea, il titolo, e forse un mezzo capitolo abbozzato. In qualche modo l'avere preso in modo così deciso un impegno con me stessa deve avere prodotto qualcosa, perché poi quel libro l'ho scritto davvero e da lì sono cambiate molte cose.

Ho preso poi l'abitudine di usare quello stesso taccuino per fare alla fine di ogni anno il punto della situazione: come stava andando la mia vita? cosa era andato bene nell'anno precedente o cosa invece era andato male? cosa mi ripromettevo per l'anno nuovo?

Rileggere tutte assieme le mie revisioni annuali è istruttivo e per certe cose mi fa sorridere. A distanza di sei anni comincio a intravedere delle costanti. I miei obiettivi riguardo la scrittura li raggiungo sempre, anche se con un po' di ritardo rispetto al previsto (penso che sia una specie di regola universale quella di sottostimare il tempo necessario a portare a termine un'attività, qualunque essa sia). I miei crucci sono sempre gli stessi: non faccio abbastanza attività fisica, ho una vita troppo sedentaria, viaggio poco, non faccio esperienze nuove. Riguardarsi un anno dopo l'altro è interessante, e questo esercizio è ormai diventato per me un vero rito al quale dedico diverse ore di tempo nelle ultime settimane di dicembre.

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Ora, in fondo il 1° di gennaio è un giorno come gli altri, e sappiamo bene che la nostra vita non cambierà in meglio solo perché abbiamo inaugurato un nuovo calendario, ma questo non toglie che le ricorrenze abbiano un loro senso e una loro valenza, non solo simbolica. Misuriamo il tempo in base a eventi ciclici: il giorno, la settimana, il mese, le stagioni, l'anno. Un anno è il tempo che impiega la terra per completare la sua orbita intorno al sole. Non esiste nessuna ragione per fissare proprio al primo di gennaio l'inizio dell'anno - infatti è solo dalla seconda metà del millecinquecento che in Europa ci si è messi d'accordo su questa data - e tutt'oggi per molti paesi il capodanno cade in date diverse. Resta però il fatto che ogni 365 giorni (circa) si conclude un ciclo e ne comincia uno nuovo ed è dalla notte dei tempi che le civiltà umane celebrano in qualche modo questa ricorrenza.

Riti di passaggio

Questo mese ho fatto una lettura insolita: I riti di passaggio, di Arnold Van Gennep, un libro che risale ai primi anni del secolo scorso e che è considerato un classico dell'etnologia. È un testo abbastanza accademico e molto datato, confesso che non l'ho letto tutto, ho cercato di concentrarmi sull'idea complessiva che mi è sembrata affascinante.

Gli esseri umani nella loro vita all'interno della società non fanno altro che passare da una condizione all'altra: c'è la nascita, l'infanzia, poi arriva la pubertà, diventiamo adulti, molti di noi diventano madri e padri, lavoriamo, poi c'è il ritiro dal lavoro, l'invecchiamento, la morte. In tutte le società, in ogni tempo e in ogni luogo, le varie tappe della vita sono state accompagnate da precise cerimonie: i rituali appunto che segnano il passaggio da una età all'altra, da una situazione all'altra. I riti di passaggio più comuni hanno a che vedere con la nascita, il diventare adulti (riti di iniziazione), il matrimonio, la morte.

Nella nostra società questi rituali si sono modificati, in alcuni casi hanno perso il loro legame con la dimensione del sacro, ma non sono scomparsi, sopravvivono nelle nostre tradizioni e continuano a svolgere il loro ruolo. Continuiamo ad avere i nostri cerimoniali per scandire i momenti di passaggio: l'inaugurazione di una mostra, la laurea, i matrimoni, gli alberi di Natale e le luci, la festa di pensionamento, i funerali. Celebriamo gli inizi, le fini, i cambiamenti.

Difficile dire perché l'essere umano da sempre sente il bisogno dei riti, e in particolare dei riti di passaggio. Secondo gli antropologi i riti sono uno dei modi con il quale l'uomo cerca di confrontarsi con il mistero della vita e con l'imprevedibilità della natura, e hanno anche un ruolo nel rafforzare la coesione sociale: creano legami e identità.

Anche la psicologia si è occupata dei riti. I comportamenti rituali individuali eccessivi e ripetuti, sono tipici del disturbo ossessivo-compulsivo, ma se al contrario si mantengono entro i limiti pare svolgano una funzione positiva nel ridurre l'ansia e accrescere la sensazione di controllo (qui un articolo che ne parla). È così per esempio tra gli sportivi, che spesso hanno l'abitudine di compiere una serie di azioni predeterminate prima delle gare. Altri studi si sono concentrati sulla perdita, scoprendo che celebrare una qualche forma di rito aiuta a elaborare il dolore per la morte di una persona cara o anche per la fine di una relazione. D'altra parte non è un caso se si dice che spesso le donne alla fine di una relazione vanno a farsi tagliare i capelli: è un gesto legato al bisogno di cambiare e di rimettersi in gioco, e infatti il taglio dei capelli è presente in molti antichi rituali per simboleggiare la separazione e il passaggio a una diversa condizione.

Tornando a Van Gennep, uno dei motivi per cui il suo libro è considerato di particolare importanza è che ha individuato una struttura comune dei riti di passaggio che sono caratterizzati da tre fasi.

  1. La prima fase è la separazione: sono riti preliminari, in cui ci si prepara al cambiamento.
  2. La seconda fase è quella liminare, o di margine: è la soglia tra il prima e il dopo. Il passaggio non avviene di colpo, ma c'è uno status intermedio. Fasi di margine sono per esempio il fidanzamento prima del matrimonio, o la gravidanza.
  3. La terza fase è quella dell'aggregazione: ciò che era stato separato all'inizio viene reintegrato, il cambiamento è compiuto.

A ognuna di queste fasi corrispondono riti specifici. Quelli della prima fase aiutano l'individuo a separarsi dalla situazione precedente, quelli della seconda fase lo collocano in uno stato di sospensione, quelli della terza fase assecondano la sua introduzione nel nuovo territorio.

Così - tanto per fare un esempio per intenderci - in diverse società del passato le donne incinte venivano separate dal resto della società: lasciavano la loro casa oppure venivano confinate in stanze separate. Poi, l'avanzare della gravidanza (la fase liminare) era scandito da diversi rituali. Dopo il parto, si svolgevano altre cerimonie per preparare la madre (e il bambino) a riprendere la vita normale.

Anche i festeggiamenti di fine anno rientrano in questo schema. C'è una preparazione: per esempio ci si riunisce tutti assieme per congedare l'anno vecchio e si fanno cose come bruciare fantocci o buttare via oggetti da cui ci si vuole separare. Poi c'è il margine: può essere solo il momento in cui si fa il conto alla rovescia, ma anche l'intera notte in cui si festeggia può essere vista come un  momento di sospensione, e volendo anche tutto il giorno successivo in cui di solito non lavoriamo e ce la prendiamo con molta calma. E poi c'è il momento in cui i festeggiamenti finiscono, il cambiamento è avvenuto, e siamo entrati nel nuovo anno.

Questa tripartizione: separazione, soglia e reintegrazione non è in fondo una cosa rigida, è più simbolica e si adatta a ogni forma di cambiamento. C'è sempre una fase in cui ci prepariamo al distacco, una in cui siamo in sospeso, in bilico, sulla soglia, e poi infine il cambiamento diventa la nostra normalità. Mi viene in mente per esempio il processo di smettere di fumare, che non è mai una cosa che avviene dall'oggi al domani: c'è sempre una fase preparatoria, in cui chi fuma pensa di smettere, magari si informa, e cerca di capire che metodo usare, poi si smette ma per diverso tempo si resta come in un limbo, non ci si sente veramente ex-fumatori, servono mesi, forse anche anni, prima di arrivare al punto in cui non fumare diventa normale.

La fase intermedia, la soglia, il limine, è forse quella più affascinante. Il cambiamento non avviene quasi mai tutto assieme, c'è sempre un momento in cui sostiamo sul margine. Può essere un momento faticoso nel quale cerchiamo di adattarci al nuovo; può essere un momento di distensione, nel quale cerchiamo di lasciare andare qualcosa per prepararci a qualcosa d'altro; può essere un momento molto fecondo in cui esploriamo qualcosa che non ci è familiare prima che diventi parte della nostra normalità.

Mi sono resa conto che io tendo a vivere l'ultima parte dell'anno proprio come un periodo di margine, con la sua ritualità: anche se non lo programmo con anticipo, va sempre a finire che in questo periodo mi dedico di più alla casa; poi ci sono un paio di persone che vedo almeno una volta a dicembre, c'è sempre un certo giretto in centro (no, non sono una persona che spende e spande in regali e cose del genere), poi addobbo l'albero, metto qualche luce, spesso mi ritrovo a leggere più del mio solito e a programmare cose nuove che voglio fare per il mio lavoro.

Ma ci scommetto che non sono l'unica a vivere in questo modo questo periodo dell'anno.

La revisione annuale

La revisione fa parte dei miei rituali di dicembre: ci dedico un po' di tempo, non tutto assieme, tendo a seguire uno schema ma lo cambio un po' ogni anno. Ho pensato che la revisione stessa può essere organizzata come un rito di passaggio seguendo le tre fasi: preparazione, sospensione, integrazione, che poi a ben pensarci, in un certo senso corrispondono alle tre dimensioni temporali: passato, presente e futuro.

E quindi ho pensato a un modello di revisione annuale che combina assieme una fase riflessiva, una focalizzata sul presente e una progettuale.

Ecco come è fatto questo modello in tre fasi, da fare nell'arco di tre settimane.

Fase 1 - Riguardare l'anno appena trascorso

Si comincia la revisione annuale facendo l'elenco degli eventi più importanti accaduti durante l'anno, aiutandoci con la nostra agenda o con il diario se ne teniamo uno.

Poi facciamo due liste: una delle cose che sono andate bene, e l'altra di quelle che invece ci risultano più problematiche. E infine  un'ultima lista con quello che vogliamo lasciare andare: paure, preoccupazioni, comportamenti che ti fanno male, cattive abitudini, sensi di colpa, persone con le quali non abbiamo più niente da condividere.

Fase 2. Restare sulla soglia

La seconda settimana è dedicata a stare nel presente. Pensiamo a come stiamo in questo periodo, a come sta andando la nostra vita, a come sta il nostro corpo, facendoci aiutare da un diario in cui scrivere anche poche righe ogni giorno.

E poi, ripensando alla lista delle difficoltà che abbiamo fatto la settimana precedente, pensiamo a una piccola azione da mettere in pratica subito. Non c'è bisogno infatti di rimandare i cosiddetti buoni propositi all'anno nuovo, molto meglio fare un primo piccolo passo fin da subito. Non deve essere niente di eclatante, basta un'azione simbolica che ci invii questo messaggio: io sono capace di prendermi cura di questo aspetto nel quale desidero migliorare.

Fase 3. Le mie intenzioni

Nella terza settimana, per completare il processo di revisione, stabiliamo le nostre intenzioni per l'anno nuovo. Io non sono una grandissima fan degli obiettivi in senso stretto. Personalmente fisso massimo un paio di obiettivi di risultato che vorrei raggiungere, ma per il resto mi concentro sulle mie intenzioni. Le intenzioni mi danno la direzione, una volta chiare quelle, per come la penso io, non è necessario mettersi lì a misurare tutto, è più utile cercare di tenere il timone nella direzione desiderata, accettando i momenti no, ma senza perdersi mai del tutto.

Sto guardando adesso l'elenco delle intenzioni che avevo stabilito a gennaio: erano dieci in tutto. Sei credo di averle rispettate in pieno, le altre quattro un po' meno. La cosa interessante però è che - anche grazie a questo sistema - non mi succede più di... dargliela su... come si dice dalle mie parti. Alcuni dei miei punti deboli restano tali, ma continuo comunque a lavorarci, con miglioramenti così impercettibili da sembrare nulli, ma invece ci sono, e anno dopo anno piccoli miglioramenti si sommano e portano a quel risultato che sembrava impossibile da raggiungere.

Sì certo è un modo di procedere da lumache, ma sempre meglio così che rassegnarsi. Accettare l'esistenza dei nostri spigoli e lavorare piano piano, di fino, per smussarli: questa è un po' la mia filosofia.

Io trovo il processo di revisione annuale molto utile (anche se mi piacerebbe trovare un modo diverso di chiamarlo; la parola revisione mi fa pensare al controllo dell'auto o alla contabilità). È un modo per fermarsi un momento, respirare, scrollarsi qualcosa di dosso, ricaricarsi di energie. Le nostre vite sono complesse, non è sempre facile stare focalizzati, tenere la rotta. Uno strumento come questo aiuta a riflettere e fare tutto questo per iscritto significa anche lasciare una traccia che ci permette poi di rivedere a ritroso chi eravamo ieri e chi siamo oggi.

Ho creato un contenuto dedicato agli iscritti al blog. È da un po' che non facevo niente del genere. Si tratta di un pdf con una guida dettagliata per fare la revisione annuale secondo questo modello. Chi è iscritto alla newsletter l'ha già ricevuto. Se vuoi iscriverti puoi farlo direttamente da qui:


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