La creatività, secondo me, è una capacità sottovalutata. Circolano un sacco di consigli su come essere più produttivi, organizzati, ordinati, focalizzati, ma sul ruolo della creatività per migliorare la nostra vita si legge ben poco.

Si tende a pensare che l'essere creativi abbia a che fare con il lavoro artistico, o con le cose manuali, oppure con il mondo della pubblicità, del design, e cose del genere. Creatività fa venire in mente mani sporche di colore e persone spettinate vestite in modo originale.

Ma essere creativi è qualcosa che si estende ben al di là di questo. Essere creativi significa trovare nuove soluzioni ai nostri problemi, scoprire la modalità migliore per gestire le nostre vite, che nella loro complessità sono uniche e hanno quindi bisogno di essere inventate. Anche per questo è inutile andare a caccia di ricette, pillole magiche e istruzioni per l'uso già confezionate. Abbiamo bisogno di più creatività e meno regolette.

Nuove combinazioni

La definizione più efficace di creatività risale al milleottocento ed è del matematico Henri Poincaré, secondo il quale creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili (ne avevo già parlato qui). C'è quindi sicuramente un elemento di novità, ma non stiamo parlando di qualcosa di assolutamente originale che viene fuori dal nulla, bensì di nuove connessioni. Essere creativi non vuol dire inventare cose mai viste prima, ma avere la capacità di connettere e di ricombinare ciò che già esiste in una nuova prospettiva.

Cercare di inventare il mondo da capo ogni volta non ha alcun senso. Siamo creativi quando utilizziamo in pieno quello che abbiamo a nostra disposizione, e ne facciamo qualcosa di nuovo.

Quello creativo è un processo che si sviluppa in tre fasi.

La prima fase è la preparazione. Si studia il problema, si raccolgono informazioni, si rimugina un po' (anche rimuginare ha qualche vantaggio ogni tanto). In questa fase ci si apre a tutto quello che abbia anche lontanamente a che vedere con il nostro problema. Siamo come antenne, pronte a captare qualsiasi segnale significativo, e immagazziniamo tutto, anche in modo disordinato.

La seconda fase è quella dell'incubazione. È quel che si dice lasciar decantare. Mentre ci prepariamo (nella prima fase cioè) siamo attivi, studiamo, leggiamo, raccogliamo informazioni, teniamo la mente sul nostro problema. Nella fase dell'incubazione invece diventiamo passivi: ci lasciamo il problema alle spalle, cerchiamo di non pensarci più e ci dedichiamo ad altro. Questo non significa che davvero abbiamo smesso di pensarci: finché non abbiamo trovato la nostra soluzione, la mente continuerà in modo inconscio a pensarci mentre noi facciamo una passeggiata, dormiamo, o facciamo le parole crociate.

La terza fase è quella dell'illuminazione: è il momento in cui tutto il lavoro che abbiamo fatto prima dà i suoi frutti, quando finalmente quello che abbiamo appreso ed elaborato trova la sua sintesi e abbiamo l'idea giusta. Apparentemente può sembrare che esca da nulla, proprio mentre eravamo impegnati a fare altro. È una cosa che si sperimenta spesso: le idee migliori ci vengono mentre siamo sotto la doccia, o al mattino appena svegli, o mentre facciamo una camminata all'aperto. È il momento in cui la fase di incubazione termina e l'idea arriva.

L'idea in sé però non basta. Quello che deve seguire è l'azione: dobbiamo cioè mettere alla prova la nostra idea, per vedere se funziona. E questa potrebbe a tutti gli effetti essere considerata la quarta fase.

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Questo processo, descritto così in astratto, si può mettere in moto in molte situazioni diverse, perché sono varie le situazioni in cui abbiamo bisogno di essere creativi. Sapere che la creatività funziona in questo modo è utile perché ci dice come possiamo fare ogni volta che ci troviamo ad affrontare un problema nuovo che richiede soluzioni creative.

Già alcuni suggerimenti li possiamo trarre.

1) Studiare, prepararsi, tenere la mente aperta, ricettiva e accogliere tutto quello che ci sembra anche solo lontanamente interessante. In questa fase è facile trovarsi a un certo punto nel caos, e sentirsi frustrati perché tutte le informazioni che abbiamo raccolto fanno una gran confusione e non capiamo come utilizzarle. Sopportiamo la frustrazione con fiducia nelle capacità del nostro cervello di assorbire e metabolizzare tutte queste nuove informazioni. Occhio però a non indulgere troppo nella fase della preparazione, altrimenti diventa procrastinazione.

2) Staccare, non accanirsi, non stare sempre lì con la testa. Spostare la nostra attenzione su altro, in modo da lasciare decantare il problema e tutte le informazioni e idee che abbiamo raccolto. Possiamo andare a camminare, o al mare, o metterci a pulire le finestre. Possiamo dare in pasto alla nostra mente qualcosa d'altro su cui dirigere l'attenzione, mentre il lavorio inconscio fa il suo corso.

3) La creatività di esprime nel fare. Come diceva Giorgio Gaber: un'idea, finché resta un'idea, è soltanto un'astrazione. Quindi una volta che il processo creativo è terminato e ci sembra di avere avuto l'idea buona, dobbiamo sottoporla alla prova dei fatti: metterla in pratica, vedere se e come funziona, saperla adattare.

Diversamente intelligenti

Di recente ho letto Lo spirito creativo di Daniel Goleman (autore del più famoso Intelligenza emotiva). Si tratta di un saggio non tanto lungo (220 pagine) in cui vengono delineati diversi aspetti della creatività, con una appendice che contiene qualche esercizio per esercitare la propria. C'è anche un capitolo dedicato alla creatività nei bambini, e uno sulla creatività al lavoro, con spunti utili e da applicare.

Alcune pagine sono dedicate alla teoria delle sette intelligenze dello psicologo americano psicologo americano Howard Gardner. Secondo Gardner dovremmo smetterla di parlare di intelligenza al singolare, e dovremmo invece considerare una pluralità di intelligenze diverse.

Una delle caratteristiche della creatività è che in ogni persona tende a manifestarsi soprattutto in un particolare campo. Diventa quindi importante - soprattutto se ci occupiamo, da genitori o da professionisti, di dell'educazione dei bambini - imparare a riconoscere in quali aree si manifestano le particolari inclinazioni dei bambini. Ma anche da adulti possiamo riflettere sugli ambiti in cui maggiormente tende a manifestarsi la nostra creatività.

La base della creatività è fornita a ciascun individuo dalla sua intelligenza: siamo più creativi nei campi in cui siamo più intelligenti. Ma intelligenti in che senso?

La teoria delle sette intelligenze di Gardner è piuttosto nota, ma vediamole velocemente.

1) Intelligenza linguistica - riguarda l'uso del linguaggio, la capacità di inventare e raccontare storie, è quella tipica di poeti, scrittori, oratori.

2) Intelligenza logico-matematica - è quella di chi utilizza il ragionamento, riguarda i numeri e le operazioni logiche.

3) Intelligenza musicale - riguarda il mondo dei suoni e delle note.

4) Intelligenza spaziale - è il dono di capire il modo in cui gli oggetti si orientano nello spazio. Uno scultore per esempio esercita l'intelligenza spaziale, ma anche il pilota di un aereo. Anche la capacità di orientamento è indice di intelligenza spaziale.

5) Intelligenza corporeo-cinestetica - riguarda la capacità di usare il proprio corpo, o parti di esso (le mani per esempio). Grandi atleti e ballerini esprimono questo tipo di intelligenza, ma anche chirurghi e artigiani.

6) Intelligenza interpersonale - riguarda la capacità di comprendere gli altri e le loro motivazioni, sapere lavorare in gruppo in modo proficuo ed essere capaci nel dirigere o motivare gli altri, ma anche di prendersene cura.  Questo tipo di intelligenza la possiamo vedere in azione in azione in chi insegna, per esempio, o nella psicoterapia, ma anche nel settore della vendita e nella politica.

7) Intelligenza intrapersonale - è la capacità di capire se stessi: conoscere i propri punti di forza e di debolezza, sapere vedere in modo chiaro i propri desideri e le paure, e sapere usare questa conoscenza in modo produttivo. Per esempio esercitando l'autodisciplina, o facendo scelte appropriate.

Sappiamo bene che nel nostro sistema educativo vengono privilegiate le prime due forme di intelligenza: quella logico-matematica e quella linguistica. Se avessi dei figli credo che proverei a stimolare in loro tutte queste diverse forme di intelligenza, per cercare di capire a cosa si appassionano.

È interessante pensare all'intelligenza in questo modo, anche se forse ormai le categorie di Garnder sono datate. Il concetto di fondo è che sono vari gli ambiti in cui ci possiamo esprimere. Scoprire in cosa riusciamo a essere più creativi ci aiuta a orientare le nostre scelte e a sviluppare in modo completo le nostre potenzialità. E questo serve, credo, non solo (e non tanto) a farsi strada nella vita, ma anche a sentirsi soddisfatti e realizzati come individui.

Ansia e creatività

Una delle cose più belle che ho mai letto riguardo la creatività, l'ha scritta Elizabeth Gilbert nel libro Big Magic. Vinci la paura e scopri il miracolo di una vita creativa.

Avere una mente creativa è un po’ come avere un border collie: il cane deve lavorare, altrimenti vi creerà un sacco di problemi. Date alla vostra mente un lavoro da fare, altrimenti se ne troverà uno da sé, e potrebbe non essere piacevole (fare a pezzi il divano, scavare una buca nel pavimento del salotto, azzannare il postino e così via). Mi ci sono voluti anni per metterlo a fuoco, ma a quanto pare se non sono impegnata a creare qualcosa, è probabile che io sia impegnata a distruggere qualcosa (me stessa, una relazione, il mio equilibrio interiore).

La trovo interessante perché mi corrisponde molto bene. Non è detto che sia così per tutti, ma io ho capito già da tempo che la creatività è un ottimo contenitore per la mia mente iperattiva. Essere impegnata in un progetto di scrittura mi fa stare meglio. La mia mente è portata a rimuginare. Se non dirigo questa attività in una direzione costruttiva mi ritrovo preda di preoccupazioni e pensieri catastrofici. Molto meglio allora rimuginare su quello che sto scrivendo, su come scriverlo al meglio, su come fare quadrare i particolari che non quadrano, su come risolvere questo o quell'altro problema.

L'ansia ha a che vedere con la creatività anche da un altro punto di vista. L'ansia può essere una delle molle che fanno scattare la creatività, ma funziona solo se accompagnata dal desiderio di affrontarla, perché l'atto creativo è in sé portatore di ansia.

Quando cominci qualcosa di nuovo, hai davanti a te il vuoto: che sia una pagina bianca, un foglio, o la superficie metaforicamente liscia di un problema che non sai come risolvere. Nulla è già codificato, non c'è una strada già tracciata, devi creare qualcosa che ancora non c'è, e non puoi mai avere la certezza di saperlo fare. Essere creativi significa avere la capacità di affrontare questa paura, di attraversare questo vuoto per scoprire cosa c'è dall'altra parte.

Nel libro di Goleman c'è una lunga citazione di Chuck Jones, che è stato il disegnatore di Wile E. Coyote e Bugs Bunny.

In tutta una vita dedicata ai cartoni animati non ho mai fatto un disegno senza aver affrontato questo mostro - la paura. Non ho mai finito un disegno senza chiedermi se sarei riuscito a farne un altro. O addirittura se avrei osato iniziarne un altro!
L'ansia è l'ancella della creatività. Ma quel che conta è la volontà di riconoscere la paura e di servirsene. La paura è il drago e tu sei il cavaliere. Il cavaliere che prima di andare a combattere non se la faceva sotto l'armatura non era un vero eroe.
Credo che l'ansia sia vitale. Ma è la volontà di affrontarla che fa di un tipo ansioso un artista. Quando metti giù la matita e dici: "ora so che cosa posso fare", in quel momento sei in uno stato di grazia perché sai di avere gli strumenti per fare quello che vuoi. Improvvisamente non c'è più ansia. L'ansia non è che la molla che spinge la tua abilità a unirsi alla tua musa.

Insomma anche qui, l'ansia sta lì sono a dirci che vuole essere affrontata, e affrontarla non solo la fa sparire, ma ci consente di creare qualcosa.

Prendi la tua ansia e mettila in qualcosa di creativo, mi pare uno dei consigli più sensati che si possano dare.

Le risposte dei saggi sono inutili

Esiste una leggenda nella tradizione cinese che riferisce di un dialogo tra un carradore (un artigiano che costruisce ruote) e un nobile. L'artigiano afferma che i libri dei saggi sono solo spazzatura. Interrogato sul perché di una tale affermazione, spiega di essere in grado di creare ciò che fa solo grazie a una abilità che non può essere interamente spiegata a parole. C'è qualcosa nelle sue mani che gli permette di fare buone ruote e che non può essere tradotta in un algoritmo, in un elenco di istruzioni.

Per questo, dice l'artigiano, i consigli contenuti nei libri dei saggi non servono: perché non è possibile che al loro interno contengano quel che non può essere tramandato.

Quello che non può essere tradotto in parole, espresso in una sequenza di istruzioni, è quel guizzo creativo che ci fa combinare le cose in una modalità unica, guidata dalla nostra esperienza e dal nostro istinto.

Dovremmo quindi stare attenti a non cascare nella trappola del saggio. Fateci caso: ovunque spuntano come funghi esperti che pretendono di spiegarti come dovresti vivere la tua vita. Sembra che per ogni cosa debba esserci un metodo.

Un metodo per essere ordinati, quello per avere buone relazioni, quello per rimorchiare, per essere più produttivi, per guarire dall'ansia, per essere felici. Sembra che tutto possa essere tradotto in un algoritmo, in una sequenza di azioni, in una ricetta, che se seguita correttamente porterà al risultato desiderato. E invece così non è: la mia vita è diversa dalla tua, le mie soluzioni non possono semplicemente essere applicate a qualcun altro.

Con questo ovviamente non intendo dire che non dovremmo ascoltare i consigli di o scambiarci esperienze, non credo che i libri dei saggi siano davvero inutili. Solo che va prima capito che consigli ed esperienze non sono istruzioni da applicare alla cieca. Dobbiamo metterci, appunto, la nostra creatività.