La prima volta che sono andata in terapia avevo venticinque anni. Avevo avuto attacchi di panico durante l'estate e siccome con l'arrivo dell'autunno la situazione era sì migliorata ma era ancora ben lontana dall'essere risolta, avevo cominciato ad andare da uno psicoterapeuta una volta a settimana.

Mi ricordo che spesso lui mi chiedeva se ero arrabbiata. Mi sentivo sempre un po' a disagio davanti a questa domanda. Io ero una persona mite, gentile, mi sembrava che la rabbia fosse una cosa molto lontana da me. Credevo che la rabbia fosse una cosa da persone aggressive, di quelle che tirano pugni sui tavoli e alzano la voce. Io non facevo mai niente di simile e quindi no, non potevo essere arrabbiata.

Poi un giorno invece mi accorsi che non era vero. Ero arrabbiata, e molto, e per motivi anche validi, solo che non lo vedevo, ero analfabeta riguardo alle mie emozioni. Alla rabbia soprattutto. Ero in grado di riconoscere la paura, qualche volta la tristezza, ma la rabbia mi veniva difficile vederla, e figuriamoci esprimerla o elaborarla.

Le emozioni sono una parte importante della nostra vita. Accadono dentro di noi indipendentemente dalla nostra volontà. A noi piacerebbe essere pervasi di continuo dall'emozione della gioia, ma non possiamo evocarla a nostro piacimento, così come non possiamo impedirci di provare le emozioni spiacevoli come appunto la rabbia, ma anche la tristezza, o la vergogna. Per stare bene in qualche modo dobbiamo costruire un buon rapporto con le nostre emozioni: imparare a riconoscerle, ad accettarle, a considerarle legittime, senza farci spaventare o cercare di reprimerle. E questo vale per le emozioni negative ma anche per la gioia, che qualche volta c'è, ma non riusciamo a contattarla, forse perché crediamo di non meritarcela, o perché siamo così abituati a stare concentrati su quello che non va che quando ci sentiamo bene nemmeno ci facciamo caso.

Ma come si fa a costruire un buon rapporto con le nostre emozioni? Nessuno ce lo insegna in realtà, anzi fin da quando siamo bambini succede di sentirci dire: non avere paura, non essere arrabbiata (o arrabbiato), non essere triste... tutte frasi dette a fin bene, ma che di certo non aprono la via dell'accettazione e della comprensione delle nostre emozioni. Anzi insinuano il sospetto che essere tristi, arrabbiati o impauriti sia in qualche modo sbagliato, e che quindi queste emozioni spiacevoli siano inutili e dannose, qualcosa di cui faremo bene a liberarci. Ma è davvero così?

Emoziònati

Su questo tema delle emozioni ho letto un libro molto carino, nato dall'idea di tre psicologhe, dopo un ciclo di seminari online sulla gestione delle emozioni organizzato nei primi mesi della pandemia, in un momento in cui in molti ci siamo sentiti in difficoltà con le nostre emozioni, considerata l'eccezionalità di quanto stava accadendo.

Il libro si chiama Emoziònati - un invito ad accogliere senza riserve le nostre emozioni nella loro ricchezza. L'hanno scritto Laura Bongiorno, Letizia Ferrante e Giusy Morabito - tutte e tre psicologhe, psicoterapeute, istruttrici mindfulness e fondatrici dell'associazione Mindful Sicilia - ed è accompagnato dalle illustrazioni di Geraldine de León. Il sottotitolo è: libro esperienziale, c'è da leggere, da guardare, e da praticare con gli esercizi e le guide audio collegate.

Le emozioni vivono in una sorta di interregno tra mente e corpo, e sono il modo con cui noi rispondiamo agli eventi, agli stimoli che riceviamo. Tendiamo a considerarle astratte - talvolta poetiche - eppure loro sono molto concrete e si manifestano attraverso precisi cambiamenti fisiologici. Proprio per questo le emozioni hanno un impatto sulla nostra salute. Quando c'è gioia, quando le nostre relazioni con gli altri sono positive, quando ci facciamo una sana risata, nel nostro corpo aumentano gli ormoni del benessere: ossitocina, dopamina, endorfine. Al contrario, le emozioni spiacevoli, se si mantengono per un periodo di tempo prolungato, possono sovraccaricare il nostro organismo e, alla lunga, danneggiarlo.

Vero è quindi che quanto più spesso proviamo emozioni positive meglio stiamo, ma questo non significa che le altre emozioni, quelle scomode, spiacevoli, difficili, siano inutili o che dovremmo cercare di liberarcene. Anzi. Evitare, soffocare, reprimere, alla lunga risulta controproducente.

Ogni emozione porta con sé un messaggio, un'informazione a noi utile per adattarci a quello che stiamo vivendo. Scegliere di scappare dalle emozioni, soprattutto da quelle spiacevoli, oltre a essere difficile da realizzare crea le basi per una condizione di sofferenza prolungata e continua.

Quello che possiamo fare allora è soffermarci con le nostre emozioni, capire quale messaggio portano con sé, senza però lasciare che ci travolgano o che diventino troppo ingombranti. La mindfulness si rivela da questo punto di vista uno strumento utilissimo: è una pratica che ci abitua a osservare quello che accade - dentro e fuori di noi - e a prenderne atto senza reagire in modo immediato. In questo modo possiamo modulare meglio le nostre risposte emotive. La mindfulness però è prima di tutto una pratica: per trarne beneficio bisogna esercitarsi. Proprio per questo Emoziònati dedica solo poche pagine all'approccio teorico - che pure è interessante, ma si può approfondire altrove - per poi concentrarsi sulle pratiche, che comprendono brevi esercizi di scrittura e meditazioni guidate con audio (dal libro si accede direttamente agli audio con i QR Code).

In tutto sono sei le emozioni prese in considerazione: rabbia, tristezza, paura, invidia, vergogna, gioia.

Mi faceva piacere in questo articolo soffermarmi su una di queste, anche per dare un esempio pratico di cosa significa dire che le emozioni sono tutte utili e di come possiamo imparare a lavorarci su. Tra tutte ho scelto l'invidia perché credo sia un'emozione con la quale è particolarmente difficile avere a che fare.

Quello che non ho

L'invidia, scrivono le autrici del libro, è l'emozione più disprezzata. Provare invidia è doppiamente spiacevole: perché è un'emozione sgradevole, e perché quando la proviamo è probabile che ci faccia sentire quanto meno in imbarazzo o che addirittura ci faccia vergognare.

Esistono persone che non provano mai invidia? Non lo so, forse sì, io però non sono tra quelle, e mi è capitato di sentire dentro di me quella fitta sgradevole, che deriva dal confronto con un'altra persona e dal desiderare qualcosa che quella persona ha e che a me manca.

L'invidia qualche volta porta con sé una intenzione malevola. Per difenderci da quel senso di mancanza che l'altro rende evidente possiamo essere portati a sminuire o criticare la persona verso cui proviamo invidia. Non sempre però è così, esiste anche un tipo di invidia che non si accompagna a pensieri malevoli verso l'altro e si limita a farci percepire in modo particolarmente doloroso le nostre (a volte presunte) mancanze nel confronto con gli altri.

L'invidia è brutta anche quando la subiamo. Quando le persone che abbiamo vicino invece di gioire assieme a noi dei nostri successi diventano critiche, fanno battute aspre, parlano alle nostre spalle. Si tratta di situazioni spesso spiazzanti, in cui ci sentiamo aggrediti o criticati senza capirne i motivi, perché chi prova invidia e ci tratta male per questo, fa di tutto per nascondere la vera ragione della propria acrimonia.

Quando proviamo invidia è perché stiamo guardando la realtà attraverso una lente particolare, che ci fa percepire in modo particolarmente intenso le nostre mancanze.

L'invidia ci chiude gli occhi, nel senso che ci impedisce di vedere la realtà così com'è, obbligandoci a interpretarla secondo un filtro che rileva solo ciò che manca. Quando proviamo invidia siamo tanto impegnati a notare quello che non c'è, da non entrare in contatto con quello che c'è. In questo modo spesso non siamo in grado di riconoscere quello che invece abbiamo.

L'invidia in qualche caso può anche avere un risvolto positivo, quando a prevalere non è lo sguardo malevolo verso l'altro (che ha troppo) né verso noi stessi (che non abbiamo abbastanza e siamo vittime di ingiustizia). Uscire da questi due poli - opposti ma entrambi dannosi - può aiutarci a trasformare la nostra invidia in ammirazione, e spingerci a fare del nostro meglio per ottenere quello che desideriamo: se c'è l'ha fatta lui (o lei) allora posso farcela anche io!  

E certo riuscire a mobilitare un'invidia di questo genere è una cosa buona, ma forse è ancora meglio andare oltre. Intanto imparando ad equilibrare lo sguardo, smettendo di focalizzarci solo sulle nostre mancanze. E poi osservando con calma la nostra invidia per cercare di capire quale sia il bisogno che vi è celato dietro. Come si diceva prima, le emozioni ci parlano: sono sempre utili, anche quando sono spiacevoli, perché ci stanno dicendo qualcosa su noi stessi. L'invidia può aiutarci a capire quali bisogni o quali desideri stiamo trascurando. O ancora può costringerci a fare i conti con i nostri limiti.

Fidarsi delle emozioni

Se dovessi sintetizzare in una frase il messaggio chiave di questo libro direi questo: fidati delle tue emozioni, e non temerle, perché dietro ognuna di esse si nasconde una informazione utile a capire meglio chi sei e quindi a fare scelte migliori per la tua vita. Il che non significa agire o reagire di impulso in base all'emozione del momento, ma acquisire la capacità di contattarle e di osservarle.

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Se quando provo emozioni negative non faccio altro che respingerle potrei non accorgermi mai delle informazioni preziose che portano con sé perdendo l'opportunità di conoscermi meglio e di agire in modo rispettoso verso i miei sentimenti più autentici.

Forse - ma qui sono io che azzardo ragionamenti - l'ansia viene anche per questo, per l'abitudine prolungata a scacciare le emozioni. Qualcuna potrebbe essere troppo devastante per essere ascoltata, e allora, anche se non ce ne rendiamo conto, l'ansia diventa una alternativa preferibile: se mi concentro sulla mia ansia posso non accorgermi di quanto sono arrabbiata, o triste, o impaurita.

Certo non si diventa capaci di ascoltare le proprie emozioni da un giorno all'altro, soprattutto se per tanti motivi nel corso della vita ce ne siamo allontanati. Forse un po' di educazione emotiva servirebbe a tutti, e questo libro può essere un'ottima guida.


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