Quando ero molto giovane, ero convinta che la normalità della vita fosse che le cose andassero bene. Quando sei in salute, non fai la fame, hai una famiglia che ti vuole bene, e lo stesso vale per tutti quelli che hai attorno, ti abitui a pensare che le cose brutte accadono solo da qualche altra parte.

Probabilmente condividevo questo infantile ottimismo con buona parte dei miei coetanei. Ricordo che quando i miei genitori decisero di divorziare, ne parlai con un'amica e lei senza un istante di esitazione rispose: ma no dai, vedrai che si aggiusterà tutto.

Ricordo che quella risposta in qualche modo mi ferì, anche se adesso capisco che la mia amica voleva solo essermi di aiuto. Entrambe in qualche modo eravamo convinte che le cose spiacevoli non potevano riguardarci.

Crescendo poi succede che la vita comincia a tirarti qualche sberla e ti ritrovi a fare i conti con delusioni, frustrazioni, rabbia, dolore, confusione. Io ho impiegato molto tempo ad accettare tutto questo come parte normale della vita. Dentro di me forse sopravvive ancora quella ragazzina che crede che tutto le sia dovuto e che la vita debba essere sempre serena e priva di inciampi; una ragazzina che si arrabbia e soprattutto si abbatte quando invece le cose vanno in maniera diversa.


I rovesci della vita


Ho letto un bel libro che parla proprio di questo: degli scarti di realtà; cioè di cosa succede quando la realtà diverge dalle nostre aspettative, quando le le tessere del mosaico della vita non corrispondono nella nostra mente.

Il libro si chiama Se il mondo ti crolla addosso. Imparare a veleggiare tra le ondate della vita. L'autore è Russ Harris, uno psicologo australiano tra i maggiori esponenti di un approccio terapeutico che si chiama ACT: Acceptance & Commitment Therapy, che in italiano potremmo tradurre come terapia basata sull'accettazione e sull'impegno. L'idea di fondo è che la cosa migliore che possiamo fare per noi stessi è da una parte accettare tutto quello che ci succede, senza cercare di resistere alla realtà e alle nostre emozioni, e dall'altra parte però agire sempre nella direzione giusta, quella utile a dare senso e scopo alla nostra vita. Insomma accettare + agire. Quindi tutto il contrario di quell'idea di rassegnazione passiva che talvolta rischia di essere associata all'idea di accettazione.

Russ Harris è più conosciuto per un altro libro, La trappola della felicità, che in effetti è un ottimo libro, una perla rara direi (di cui ho già parlato qui e qui). Se il mondo ti crolla addosso forse non è altrettanto incisivo, ma è comunque un libro interessante e molto delicato, anche perché l'autore racconta a più riprese anche di sé e della sberla più grossa che la vita gli ha rifilato: la diagnosi di autismo al suo unico figlio.

Scarti di realtà

Quando le cose non vanno così come desideriamo, si produce quello che Russ Harris chiama scarto di realtà.

Ogni scarto di realtà produce dentro di noi una reazione di dolore. Delusione, frustrazione, rabbia, tristezza, disagio. Sono queste le emozioni che proviamo davanti a uno scarto di realtà. Dalle cose semplici a quelle più gravi. Dal nervoso che ci prende quando troviamo la strada intasata dal traffico e arriviamo a casa tardi per la cena, ai grandi dolori della vita come le perdite, i lutti, i fallimenti.

Certo l'intensità è diversa, ma si tratta sempre di scarti di realtà. È la vita che ci prende a schiaffi: a volte sono buffetti sulla guancia quasi quasi affettuosi, altre volte sono sganascioni tremendi che ci fanno barcollare addirittura cadere per terra.

Quello che di solito facciamo davanti a uno scarto di realtà è darci immediatamente da fare per eliminarlo, o per lo meno per ridurlo. Facciamo la pace se abbiamo litigato, ci impegniamo di più sul lavoro se abbiamo preso una lavata di capo; ci alleniamo per migliorare il nostro corpo o il nostro stato di forma, prendiamo un'aspirina per farci passare il mal di testa, andiamo a fare shopping quando il nostro guardaroba non ci soddisfa più, cerchiamo compagnia quando ci sentiamo soli...

Ogni volta che ci imbattiamo in uno di questi divari il nostro istinto è cercare di colmarlo: agiamo per modificare la realtà, così da renderla conforme ai nostri desideri. Se ci riusciamo, il divario si richiude e noi ci sentiamo bene.

Ma cosa succede quando non possiamo avere quello che vogliamo? Cosa facciamo quando non possiamo colmare quello scarto di realtà? Quando per esempio qualcuno che amiamo muore, o quando il nostro partner ci lascia, o non piacciamo a una persona che vorremmo forse nostra amica, o ci scopriamo ammalati… E che cosa succede quando possiamo sì colmare lo scarto di realtà, ma soltanto in tempi molto lunghi? Cosa facciamo nel frattempo?

Dobbiamo cominciare a fare i conti con quelle situazioni che non siamo in grado di risolvere, con una realtà che non si piega ai nostri desideri. È qui che ci troviamo davanti a un bivio: soccombere, diventare vittime delle nostre emozioni dolorose, oppure farvi fronte in modo costruttivo.

Bambini che muoiono di fame e altre frasi inutili

Quando siamo alle prese con uno scarto di realtà, ci piacerebbe che le persone attorno fossero comprensive e gentili con noi.

Certo, c'è chi preferisce soffrire da solo, e chi al contrario nelle situazioni spiacevoli della vita si stringe agli altri, però, differenze a parte, un po' di comprensione e calore fanno piacere a chiunque.

Il problema però è che spesso accade che quando stiamo male, gli altri attorno a noi hanno delle reazioni che invece di aiutarci ci fanno stare peggio.

Soprattutto quando quello che è successo è davvero grave, le espressioni di autentica compassione e comprensione da parte degli altri non sono affatto scontate. Questo di solito accade non perché gli altri siano insensibili o maldisposti verso di noi; piuttosto il problema è che non siamo educati a trattare con il dolore, nessuno ci spiega come fare. Abbiamo difficoltà a stare con il dolore degli altri, tanto quanto con il nostro.

Russ Harris fa un bell'elenco delle reazioni più comuni e lo voglio riportare qui perché secondo me è molto illuminante riguardo quello che non si dovrebbe fare con una persona che soffre.

  • Citare proverbi e dirti di pensare positivo
  • Domandarti come va, ma poi cambiare subito argomento
  • Darti dei consigli su cosa dovresti fare
  • Mettere in secondo piano la tua sofferenza dicendo cose come: sì ci sono passato tante volte anch'io
  • Dirti di andare avanti con frasi come passaci sopra, lascia perdere, è ora che superi questa cosa
  • Svalutare o banalizzare il tuo dolore dicendo cose del tipo non dimentichiamo che in Africa i bambini muoiono di fame
  • Cercare di distrarti dal tuo dolore dicendo cose tipo: prendiamoci una bella sbronza, usciamo a divertirci
  • Non venire a trovarti, non passare del tempo con te, o anche evitarti attivamente
  • Rassicurarti dicendo cose come vedrai che andrà tutto bene, non è così grave

Nella gran parte dei casi questi sono tentativi sinceri di dare un aiuto. Tuttavia, quando siamo noi a ricevere queste risposte, ci rendiamo conto immediatamente che non sono adeguate e anzi che qualche volta ci fanno sentire feriti. Quando soffriamo, in genere abbiamo bisogno di sentirci compresi, accettati e aiutati, prima di essere pronti a cercare soluzioni, strategie e nuovi modi di pensare a una situazione. C'è un tempo per piangere e uno per reagire. Cercare di saltare subito alla fase successiva, o spingere qualcuno a farlo, in genere non è salutare.

Una frase semplice come: cavoli amico, quanto mi dispiace, immagino quanto tu ti possa sentire male adesso è in gran parte dei casi molto più appropriata di mille ragionamenti, inviti all'azione o a prendere in considerazione la volontà divina.

Se da un lato è difficile riuscire a trovare la comprensione di cui abbiamo bisogno da parte delle altre persone, dall'altro lato è vero che c'è almeno una persona al mondo che è in grado di capire il nostro dolore, e starci accanto per davvero.

Per quanto le cose possano farsi difficili, tu ci sei sempre, e tu puoi sempre fare qualcosa per aiutarti.

Generalmente non siamo troppo bravi nell'accettare, apprezzare, prenderci cura, sostenere e incoraggiare noi stessi. Molto più spesso, ci rimproveriamo, ci giudichiamo oppure ci trascuriamo e ci diamo per sconfitti. Quello che dobbiamo cercare di fare allora è di trovare la compassione per noi stessi.

Mi rendo conto che non è facile da fare. Succede - a me per esempio succede non di rado - che diventiamo ancora più duri con noi stessi nelle situazioni difficili. Bisognerebbe invece diventare capaci di prenderci cura del nostro dolore esattamente come faremmo davanti a un bambino in lacrime o a un cucciolo ferito.

Una mano amorevole

Russ Harris, nel suo libro Se il mondo ti crolla addosso, propone un esercizio da fare quando ci troviamo in difficoltà, alle prese con dolori, delusioni, perdite, fallimenti.

Ecco le istruzioni.

Mettiti seduto in una posizione comoda. L'ideale è una posizione che consenta di tenere la schiena eretta, per esempio seduti su una sedia con i piedi bene appoggiati a terra. Ora pensa a uno scarto di realtà con il quale sei alle prese. Prenditi qualche momento per riflettere, per ricordare cosa è successo, per considerare gli effetti che sta avendo su di te. Osserva se emergono pensieri ed emozioni difficili.
Ora solleva la tua mano, e immagina che sia la mano di una persona molto amorevole e premurosa. Appoggia la mano, lentamente con delicatezza, sulla parte del corpo dove senti più male.
Sì, lo so, che stiamo parlando di dolore (o di un semplice dispiacere), emotivo e non fisico. Però se ci fai caso, c'è sempre un punto del corpo in cui sentiamo di più le emozioni. Spesso dalle parti dello stomaco, o del petto, o della zona del collo e delle spalle.
Resta così per qualche minuto, tieni in mano il tuo dolore, con molta delicatezza. Lascia che la gentilezza fluisca dalle tue dita dentro il tuo corpo. Alla fine, usa entrambe le mani in un gesto amorevole: appoggiane una sul petto, e l'altra sullo stomaco. Lasciale appoggiate lì delicatamente, in una dolce carezza.

Ok, mi rendo conto che così, in prima battuta, a qualcuno potrebbe sembrare un esercizio un po' insulso. Ma non lo è. Io ho sperimentato in diverse occasioni, anche durante il corso di MBSR che ho frequentato in inverno, che il semplice gesto di appoggiare una mano nella parte del corpo in cui sentiamo un'emozione spiacevole, è un vero toccasana. È qualcosa che possiamo fare in qualunque momento. Io per esempio lo faccio spesso. Certe mattine in ufficio, se sento che mi sto innervosendo per qualche motivo, mi massaggio con delicatezza la pancia. Funziona. Provare per credere ;)

Per riassumere

Come sempre, visto che l'articolo è lungo, proviamo a riassumere i messaggi da portarsi a casa.

  1. Lo scarto di realtà. È importante capire che dietro ogni sofferenza di fatto c'è questo: uno scarto, una differenza, tra i nostri desideri e quello che accade. Il solo capire questo già ci può aiutare, soprattutto quando siamo alle prese con problemi non troppo grandi. Dirci: ok, non è come avrei voluto, ma così è, e quindi affrontiamo la situazione, è già un importante passo avanti rispetto al rimuginare e recriminare.

  2. Impariamo a essere gentili con la sofferenza nostra e altrui. Cerchiamo di non sminuire mai il dolore (nostro e degli altri) e cerchiamo, anche se si fa fatica, una modalità adeguata per manifestare compassione.

  3. Quando siamo noi a soffrire, vediamo se l'esercizio della mano amorevole ci aiuta: identifichiamo in quali parti del corpo si manifesta il disagio, e facciamoci una carezza.