È possibile vivere senza rimpianti?

Secondo un certo tipo di approccio alla vita (e alla crescita personale) i rimpianti sono qualcosa di detestabile e da evitare assolutamente. Si dice: dobbiamo vivere una vita piena, cogliere le occasioni che ci vengono offerte, fare esperienze, impegnarci e mettercela tutta, per evitare di svegliarci un giorno e scoprire che è ormai troppo tardi e ritrovarci, appunto, pieni di rimpianti.

È un'idea questa che, da un certo punto, di vista ha anche senso: se ci accorgiamo, per esempio, di essere svogliati, poco inclini a impegnarci, o troppo timorosi davanti alle opportunità.

Ma in generale, l'idea di dover mordere la vita per evitare di rimpiangere qualcosa in futuro a me sembra un po' una cavolata. Noi viviamo in un mondo complesso, ricco di possibilità; una delle prime cose che impariamo crescendo è che non possiamo percorrere tutte le strade che ci si parano davanti, sono troppe, servirebbero più vite. È sempre sottointeso che scegliere una cosa significa non scegliere tutte le altre. Nessuna vita, sia pure spinta al massimo, può metterci al riparo dalla sensazione di avere perso qualcosa, o di avere imboccato una strada sbagliata a un certo punto.

Che senso avrebbe quindi vivere nell'ansia di dovere evitare di avere rimpianti?

Vite che non hai vissuto

Ho letto di recente un libro che parla proprio di rimpianti. Si chiama La biblioteca di mezzanotte, scritto da Matt Haig, un autore britannico di cui ho già parlato altre volte (qui e qui), e che seguo con piacere perché parla spesso di salute mentale in un modo che mi piace e che sento affine al mio.

La biblioteca di mezzanotte è una lettura piacevole, se non si hanno aspettative troppo alte: più che un romanzo è una specie di favola per adulti, un racconto fantastico ideato per dare spunti di riflessione. Una favola terapeutica si potrebbe definire.

È la storia di Nora, una donna di trentacinque anni, per nulla contenta della sua vita, che dopo una sfortunata serie di eventi decide di togliersi la vita. Resta però imprigionata in una terra di mezzo, dove esiste una enorme biblioteca nella quale ci sono tanti libri quante potrebbero essere state le sue vite se Nora avesse preso decisioni diverse.

Di rimpianti la protagonista ne ha più di uno. Da ragazzina era una promettente nuotatrice, ma poi aveva smesso di allenarsi. Aveva suonato in un gruppo rock assieme al fratello, ed erano andati molto vicini dall'avere un vero contratto con una casa discografica. Si era innamorata, era arrivata a un passo dal matrimonio, ma poi aveva cambiato idea. Aveva progettato di trasferirsi in Australia con un'amica, ma poi non se l'era sentita.

Insomma una vita costellata di rinunce e mancanza di coraggio si potrebbe dire.  Ora, grazie alla biblioteca di mezzanotte, sotto la guida della gentile signora Elm, Nora ha la possibilità di scoprire come sarebbe stata la sua vita se avesse fatto scelte diverse. Così si trova nei panni della Nora che non ha mai smesso di nuotare ed è diventata una campionessa, poi diventa la leader di un gruppo rock di successo, la proprietaria, assieme al marito, di un pub, ricercatrice dei ghiacci nell'Antartide. Ogni volta si ritrova in una vita nuova, con un corpo che è il suo ma leggermente diverso, e per ognuna di queste vita ci sono cose belle e cose brutte, cose che la rendono felice e altre che la atterriscono.

La morale qual è? Che la vita perfetta non esiste? Be' non proprio, il libro sembra andare in quella direzione, ma a un certo punto Nora trova la vita perfetta, quella che la rende felice e in cui tutto sembra essere andato per il verso giusto... eppure...

Non dico altro per non svelare troppo del libro, ma ecco quale è l'insegnamento che ne ho tratto io. I rimpianti altro non sono che una minima parte di una quantità infinita di decisioni che abbiamo preso e che prendiamo ogni giorno nella vita e che continuamente cambiano il corso degli eventi.

Noi restiamo fissati sui nostri rimpianti, pensando ah se avessi fatto, ah se avessi detto, ma diamo a queste scelte un valore eccessivo, mentre siamo del tutto inconsapevoli di migliaia di altre scelte che facciamo ogni giorno e che hanno un impatto non solo su di noi, ma anche su chi ci sta attorno. A volte non sono neanche scelte, è il caso che ci spinge in una direzione o nell'altra.

Esattamente come nel film Sliding Doors. Nella scena iniziale c'è una donna che corre per prendere la metropolitana. Mentre scende le scale è costretta a fermarsi un istante per evitare di travolgere una bambina che sta giocando con la sua bambola sul corrimano. In un'altra realtà, praticamente identica a questa, la bambina è sempre lì con la sua bambola, pronta a intralciare la corsa della protagonista, ma all'ultimo momento si fa da parte, e la donna riesce a prendere la metro.

Da lì la vicenda si dipana in due storie parallele, avere preso quella corsa della metro o averla persa innesca cambiamenti diversi nella vita della protagonista, che la conducono su strade divergenti.

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Un altro film mi viene in mente: Il curioso caso di Benjamin Button, che parla di tutt'altro ma c'è una bella sequenza che mostra perfettamente il caso all'opera. Una donna, una ballerina, viene investita da un taxi e si rompe una gamba. Il film ricostruisce gli istanti prima dell'incidente, mostrando tutta la catena di eventi che ha portato quella donna e quel taxi a essere lì, nello stesso momento, producendo l'impatto. Una persona in ritardo, una commessa distratta, un telefono che suona, un laccio che si spezza. Micro eventi di cui la nostra vita è piena ogni giorno e che nel loro concatenarsi unico e incontrollabile possono produrre fatti importanti, come avere un incidente, o incontrare la persona con cui passeremo il resto della nostra vita.

Si chiama anche effetto farfalla: un'azione molto piccola innesca una serie di eventi a catena che producono effetti imprevedibili.

Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza - Alan Turing

Tutto questo cosa c'entra con i rimpianti?

Secondo me c'entra perché alla fine i rimpianti altro non sono che un'illusione: alimentiamo la convinzione che se avessimo fatto una scelta al posto di un'altra la nostra vita sarebbe stata migliore. La verità è che non lo sappiamo: non possiamo prevedere l'esito delle nostre decisioni.

Amor fati

Il giornalista Oliver Burkeman ha dedicato un articolo della sua famosa rubrica proprio a questo tema dei rimpianti.

Il segreto, per vivere una vita senza rimpianti è sviluppare l'amor fati: l'amore per il nostro destino, qualunque esso sia. È un concetto che risale allo stoicismo, ripreso poi anche da Friedrich Nietzsche. Amare il proprio destino significa accettare le cose che non possiamo cambiare, e tra queste ci sono le scelte che abbiamo fatto in passato.

Oliver Burkeman scrive così.

Dopotutto, se un certo aspetto della vita è veramente “necessario”, non accettarlo significa rifiutare la realtà. E che cosa è più necessario del passato che, essendo già successo, non può essere cancellato?

Abbiamo fatto le scelte che abbiamo fatto perché in quel momento ci sembravano quelle giuste; perché la persona che eravamo allora, in quel momento ha deciso di fare così. Impariamo a rispettare quel che è fatto, a non giudicare il nostro passato con la testa di oggi. Possiamo provare una punta di tristezza immaginando quel che avrebbe potuto essere e non è stato, ma consapevoli che in verità è solo una fantasia, un gioco che fa la nostra mente.

Ed evitiamo anche di vivere il presente con l'ansia di non perderci niente o con quella di fare scelte sbagliate, nell'assurdo e inutile tentativo di invecchiare senza rimpianti.

Una volta capito questo, il mantra moderno del “non avere rimpianti” comincia a non sembrare più un atto di coraggio ma di vigliaccheria: un disperato tentativo, dettato dal panico, di evitare la tristezza futura. Invece, paradossalmente, l’amor fati è un modo migliore per evitare i rimpianti. Non si tratta più di fare scelte coraggiose “prima che sia troppo tardi”, ma di capire che è già troppo tardi, e lo è sempre stato. Questo è estremamente liberatorio. Abbiamo una sola vita. Perché sprecarla cercando di non avere rimpianti?

Ascoltare i nostri rimpianti più grandi

Ho appena finito di dire che i rimpianti non hanno ragione di esistere, citando addirittura i latini e l'amor fati, e adesso invece dico che i nostri rimpianti andrebbero ascoltati?

Alla fine penso di sì. Ho la sensazione che qualche volta i rimpianti, soprattutto se sono persistenti, siano lì per dirci qualcosa, e questo qualcosa non ha tanto a che vedere con il passato, come siamo portati a credere, ma con il presente.

Quello che è successo non lo possiamo cambiare, ma se continuiamo a pensare a un errore che abbiamo commesso - o che ci sembra di avere commesso - è possibile che questo pensiero stia cercando di indicarci una via? Forse quel rimpianto ci sta dicendo che abbiamo lasciato indietro delle cose di noi che erano importanti.

Faccio un esempio che mi riguarda. Per molti anni uno dei miei rimpianti più grandi, forse il più grande di tutti, è stato di non essere riuscita a presentare una raccolta di racconti a un editore che era interessato a valutarla per una pubblicazione. Lasciamo perdere il perché mi sono fatta sfuggire dalle mani questa occasione: non ero pronta, non avevo il materiale, e mi sono fatta prendere dall'ansia da prestazione.

Ma perché ho continuato per anni a rimpiangerlo? Quello che rimpiangevo davvero non era tanto il non avere colto una buona occasione, quanto l'avere smesso di scrivere. Era quello il vero tarlo: io volevo scrivere, e non lo facevo, era questo il messaggio.

Invece di guardare al passato e piangerci sopra, aveva molto più senso prendere quel rimpianto e cercare di agire in modo diverso nel presente. Così mi sono rimessa a scrivere, e stavolta, sia pure lottando continuamente tra dubbi e insicurezze, non ho più smesso, non mi sono arresa. Non posso prendere i treni che ho perso in passato, ma posso cominciare da adesso a riprendermi quel che ho lasciato indietro se non l'ho veramente mai lasciato andare.

Non credo di sbagliare se penso che molti grandi rimpianti abbiano a che vedere con questo. Non è tanto l'occasione sfumata, la possibilità non sfruttata, quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Piuttosto il rimpianto viene da noi a dirci che abbiamo perso per strada qualcosa di noi, e si tratta di qualcosa che vale la pena recuperare. Come? Nei limiti del possibile a seconda di quello che il nostro presente di consente di fare.

Stringi, stringi, alla fine il succo è questo: rimpiangere il passato non ha senso. Primo perché non possiamo cambiarlo. Secondo perché non possiamo sapere davvero come sarebbero andate le cose: continuare a nutrire i nostri rimpianti alimenta l'illusione di avere sulla nostra vita un controllo che in realtà non abbiamo.

Questo però non significa che i nostri rimpianti li dobbiamo ricacciare indietro come ospiti indesiderati. Se ci sono, se insistono, magari è perché ci stanno suggerendo di fare qualcosa, nel presente, che è l'unico tempo della nostra vita su cui possiamo esercitare almeno un po' di controllo.