Il tema del rapporto tra il corpo e la mente è uno dei più affascinanti del nostro tempo.
Nella cultura occidentale, negli ultimi secoli, abbiamo sempre più considerato corpo e mente come entità separate, divise, autonome.
Siamo disposti ad ammettere che in alcuni casi la mente sia in grado di influenzare il corpo, per esempio nelle malattie cosiddette psicosomatiche, oppure quando constatiamo che esiste l'effetto placebo.
Più raramente ci soffermiamo a ragionare su come al contrario il corpo influenzi la mente; ma anche qui gli esempi sono molteplici: dalla sensazione di benessere e felicità che può essere indotta dall'attività sportiva grazie alle endorfine, alle problematiche del corpo che possono andare ad aggravare gli stati d'ansia.
Nel caso dell'ansia poi, che è una condizione che conosco piuttosto bene, c'è proprio una circolarità: l'ansia e la tensione hanno un effetto negativo sul corpo, e possono causare disturbi, ma a loro volta certi disturbi (per esempio i problemi alla cervicale, oppure il reflusso gastrico) aggravano le condizioni di ansia.
Questa circolarità è così stretta che è davvero difficile capire se è venuto prima l'uovo o la gallina.
Personalmente credo di avere capito troppo tardi il ruolo del corpo nei miei problemi ansiosi. Ho perso troppo tempo nella convinzione di dovere trovare un modo per curare la mia psiche (o la mia anima), quando invece avrei dovuto agire di più sul fronte del corpo, con la ginnastica, lo yoga, le camminate all'aperto.
Chissà, forse nei prossimi decenni scopriremo che non ha molto senso pensare all'essere umano come fatto di mente e corpo, spirito e carne, psiche e soma, e cominceremo a considerarci come un tutt'uno, inventando nuove parole per dirlo.
Il corpo nella mindfluness
Lo scorso inverno ho fatto il corso MBSR. Leggo e sperimento la mindfulness da diversi anni per conto mio ed era ora che facessi un percorso un po' più strutturato.
Una cosa che mi ha colpito del corso è il continuo tornare a corpo come filo conduttore di ogni pratica e di ogni scoperta.
Nella celebre definizione di Jon Kabat-Zinn:
Mindfulness significa prestare attenzione intenzionalmente e in maniera non giudicante allo scorrere dell’esperienza nel presente, momento per momento
E fino qui sembrerebbe una disposizione mentale: fare attenzione, dirigendo il pensiero in una direzione precisa. In verità però questo radicamento nel presente passa sempre attraverso il corpo. È il corpo infatti a essere presente sempre qui e ora, mentre la mente ci porta qua e là sulle onde dei pensieri.
Al corpo è dedicata la prima pratica di mindfulness che si insegna ai corsi: il body scan (la scansione del corpo), che consiste nel percorrere con l'attenzione tutte le parti del nostro corpo, una alla volta, soffermandoci ad ascoltare ogni sensazione.
È sempre al corpo che si presta attenzione quando si cerca la giusta posizione per gli esercizi di meditazione seduta, cercando nei limiti del possibile di tenere la schiena dritta, il torace aperto, e di prestare attenzione ai punti di contatto tra il nostro corpo e ciò che lo sostiene (pavimento, sedia, cuscino).
E ancora al corpo si torna ogni volta che emergono sensazioni spiacevoli.
Per esempio a me capita di provare tensione nel collo o di sentire il respiro contratto. Durante il corso l'insegnante mi ha sempre invitata, in questi casi, ad appoggiare gentilmente una mano laddove sento tensione o dolore. Sembra una sciocchezza, ma si tratta di un gesto di grande semplicità ed efficacia.
Il radicamento nel corpo è un aspetto essenziale delle pratiche di mindfulness perché solo attraverso il corpo possiamo sperimentare in pieno la presenza, l'essere qui e ora.
Essere cura
Parlare nel proprio rapporto con il corpo può non essere cosa facile. Non intendo qui temi come l'accettazione del proprio corpo, della propria forma, del peso, o dell'immagine che ci rimanda lo specchio. Parlo più che altro di quel dialogo incessante con il nostro corpo che avviene sottotraccia ogni giorno, in ogni momento, e che non sempre ci soffermiamo ad ascoltare con interesse.
Il nostro corpo ci parla? Cosa ci dice? Quali segnali ci manda? Sensazioni di caldo o di freddo, formicolii, tensioni. Uno stomaco che gorgoglia, un muscolo che chiede di essere stirato, un'articolazione che ha bisogno di essere mossa. O ancora una improvvisa sensazione di stanchezza, il desiderio di un certo cibo, un malumore che non si capisce da dove venga.
Questo flusso di informazioni è presente, c'è in ogni momento della nostra giornata, ma il linguaggio del corpo è sottile, è un sussurro, come un lieve tocco.
Su questo tema ho trovato alcune ispirazioni niente male in un libro dal titolo Essere Cura. Una rivoluzione gentile. L'autrice si chiama Monica Melendez, e si occupa di terapia integrata a mediazione corporea, posturologia e counseling.
L'idea che attraversa tutto il libro è che prendersi cura di sé sia un atto in fondo rivoluzionario, qualcosa che può portarci vicino al centro del nostro essere. E che la cura di sé passa per forza attraverso il contatto con la dimensione del corpo.
Non si tratta di prendersi cura del proprio corpo con una buona dieta, esercizio fisico e andando dal dottore quando serve. Tutte cose queste ovviamente molto importanti che però non ci dicono molto sulla reale qualità del nostro rapporto quotidiano con il corpo.
L'idea allora è quella di prestare attenzione ai segnali che il corpo ci rimanda in continuazione, imparando a poco a poco a capirne il linguaggio. Imparare a prenderci cura di noi stessi rivolgendo un'attenzione gentile al nostro corpo, rinnovando sempre la qualità dell'essere presenti a noi stessi, non solo mentalmente, ma anche e soprattutto fisicamente.
È questo quello che si intende quando si dice abitare il corpo. Tutti noi ovviamente abitiamo nel nostro corpo; non ce ne possiamo andare altrove. Però quello che accade, soprattutto quando siamo sotto stress, quando soffriamo di ansia, quando i ritmi di vita accelerano troppo, è che nella nostra mente proliferano così tanti pensieri (e fanno così tanto rumore) che diventiamo sordi al sussurrare del nostro corpo. Per così dire ce ne dimentichiamo. Il corpo smette di accompagnarci nel nostro viaggio quotidiano perché è come se ce lo lasciassimo indietro. Allora cominciamo a tenere una postura scorretta, i muscoli si riempiono di tensioni, mangiamo senza ascoltare come il nostro stomaco reagisce ai vari cibi, non ci accorgiamo più se abbiamo bisogno di riposare, di prendere sole e aria, di fare un bagno caldo. Il corpo diventa disabitato: la nostra mente ci sta portando troppo lontano, e siamo come divisi, separati, assenti.
L'idea che mi sono fatta leggendo questo libro è che possiamo provare in ogni momento a tornare a casa, allenandoci in alcune pratiche quotidiane che un giorno dopo l'altro possono rinnovare il nostro contatto con il corpo, e insegnarci sempre di più ad ascoltarlo.
Dalla lettura di Essere Cura mi sono portata a casa sei idee da mettere in pratica per tenere vivo l'ascolto del nostro corpo, per ricordarci di allenare la presenza, per tornare a casa ogni volta che abbiamo la sensazione di esserci smarriti un po'.
1) I punti di appoggio
Questa è una pratica semplicissima, che si può fare in qualsiasi momento, e che riesce in pochi istanti a farci sentire più calmi e centrati. Basta fermarci un momento e dirigere l'attenzione sui punti di contatto tra il nostro corpo e l'esterno.
Intendo dire, per esempio, prestare attenzione ai piedi appoggiati al suolo, o alle gambe e alla schiena se siamo sdraiati sul letto o sul divano. Questo ricercare i punti di contatto tra il nostro corpo la materialità del mondo esterno che in qualche modo ci contiene e ci sostiene è veramente il modo più semplice per cercare di radicarsi nel presente.
Soprattutto prestare attenzione all'appoggio dei piedi a terra è particolarmente efficace. Non saprei spiegare esattamente il perché, ma così è, basta provare. Le piante dei piedi che premono sul terreno ci segnalano subito presenza, stabilità, contatto, radicamento.
2) Il respiro
Anche fermarsi ad ascoltare il respiro è uno dei modi più semplici e immediati per cercare una connessione con il proprio corpo. Anche in questo caso è qualcosa che possiamo fare in ogni momento della giornata: fermarsi un momento, portare l'attenzione verso l'interno e poi cominciare ad ascoltare il nostro respiro assecondandone il ritmo naturale. Per un minuto o due, o anche solo per tre respiri. Si può fare in metro, in autobus, mentre guidiamo la macchina, seduti alle nostre scrivanie, quando camminiamo. Ogni occasione è buona per riconnettersi al corpo e al presente attraverso l'ascolto del respiro
3) Acqua calda
Da qualche anno cerco di concedermi spesso un paio di giorni (o anche uno solo, o anche mezzo) alle terme. Le acque termali sono una medicina antica. L'uomo lo sa da sempre che l'acqua e il calore curano. Come dice l'autrice di Essere Cura è proprio la scoperta dell'acqua calda ;)
Non è raro che le cose più risapute siano anche quelle più efficaci. Ecco, fare il bagno nelle acque calde termali è una di quelle cose che da sempre regalano benessere. Tutta la muscolatura si distende, l'effetto rilassante è garantito così come la riconnessione con il proprio corpo.
Se poi alle terme non possiamo andare, anche un bagno caldo in casa, assaporato con calma, è un'ottima idea. E infatti io non mi pentirò mai abbastanza di avere comprato una casa senza la vasca...
4) Massaggi
Magari abbinati con i bagni in acqua termale ;)
Non a tutti piace l'idea di farsi massaggiare da mani estranee, però vale comunque la pena provarci, almeno una volta. L'effetto è benefico non solo per quello che il massaggio in sé procura al nostro corpo, ma anche per l'aspetto simbolico e rituale: ci stiamo affidando alle mani dell'altro. Ci possiamo rilassare perché abbiamo lasciato (momentaneamente) a qualcun altro il posto nella plancia di comando.
5) Silenzio
Il silenzio sta diventando sempre più raro e prezioso. C'è molto rumore nelle nostre vite; un rumore reale (il traffico, la televisione, la radio, i telefoni), ma anche rumore metaforico: troppa informazione, troppa connessione, troppi canali di comunicazione.
L'ascolto dei segnali del corpo ha bisogno di silenzio. È utile imparare a coltivare attimi di silenzio attorno a noi, crearli, cercarli attivamente.
Restare soli con se stessi a qualcuno fa paura. Ed è una cosa che capisco perché a volte la nostra mente è un tale tumulto e casino di pensieri che abbiamo assolutamente bisogno di qualcosa che ci distragga per non impazzire. Però, se in questa solitudine, in compagnia del silenzio, spostiamo la nostra attenzione sul corpo, su quello che sentiamo, sulle sensazioni della pelle, probabilmente il silenzio ci farà meno paura.
6) Domeniche casalinghe
Una buona pratica per rinnovare la connessione con il nostro corpo è quella di concederci del tempo in casa, da dedicare senza fretta a qualche faccenda manuale. Possiamo dare una pulita a casa, dedicarci a qualche lavoro di bricolage, cucinare una torta. Il tutto con calma, non con l'ansia di chi deve per forza sbrigare le faccende per prepararsi alla settimana, ma con l'atteggiamento rilassato di chi è deciso ad assaporare un po' di tempo lento.
Certo, possiamo trascorrere momenti così anche leggendo o guardando la televisione, ma l'idea di dedicarci a qualche faccenda che impegni la nostra manualità è ottima proprio per ritrovare la presenza e il senso di connessione con il corpo.
Queste sono le sei idee che mi sono portata a casa dalla mia lettura. Alcune di queste cose sono già presenti da anni nella mia vita, su altre ci devo ancora lavorare. Quello di cui sono comunque sicura è che Monica Melendez ha ragione: la cura di sé passa per forza attraverso l'attenzione al corpo fisico. E questo non significa andare in palestra, pesare tutto quello che mangiamo e spalmarci di creme costose. Cioè, volendo anche questi sono gesti di cura, ma prima ancora viene la qualità del contatto quotidiano con il corpo, la capacità di darci attenzione, imparando a riconoscere come stiamo e di cosa abbiamo davvero bisogno.
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